(di Carlo Di Stanislao) – Il 1 settembre 1950, all’alba della guerra fredda, il fisico nucleare Bruno Pontecorvo scompare improvvisamente. La sua fuga crea un vero e proprio terremoto politico: Pontecorvo è infatti uno scienziato noto a livello mondiale che lavora in un settore delicatissimo, quello delle ricerche nucleari. La storia della sua scomparsa è uno dei misteri più affascinanti legati alla bomba atomica. Sulla vicenda sono rimasti aperti molti interrogativi e se per alcuni si trattava di una spia che rivelò ai russi importanti segreti atomici, per altri si trattava di un comunista limpido, che scelse l’URSS per mettere il suo cervello al servizio di scopi pacifici e progressisti. Della vicenda si è occupata la trasmissione di Rai Storia “La storia siamo noi”, in due diverse edizioni, nel 2007 e pochi giorni or sono. Il primo a sostenere che lo scienziato Pisano, membro di spicco del gruppo degli studiosi di Via Panisperma, fosse una spia al servizio del KGB su il giornalista inglese Pincher, convinzione basata più su convinzioni personali che su autentiche prove. Negli ani ’80, una spia Rissa passata all’occidente, in un suo loibro di memorie affermò la medesima cosa, venendo però smentito da autorevoli storici russi e da scienziati che in USRSS col fisico italiano lavorarono a lungo.
Nell’ ultima pagina del volume di Miriam Mafai, “Il lungo freddo (Mondadori, pagg. 318, lire 33000)”, con sottotitolo, “Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’ Urss”, si legge una frase embletatica. Dice Pontecorvo alla amica giornalista: “Credo di essere sempre stato un onest’uomo che ha però fatto delle scelte sbagliate”. In questo modo, commenta la giornalista, Pontecorvo chiarisce , di non essere mai stato né un traditore, né un genio della simulazione, né una vittima della guerra fredda, ma soltanto un figlio del secolo scorso; un secolo terribile. Il secolo della guerra fredda, dominati da passioni ingenue e da certezze proterve, in cui spesso il confine tra fede e malafede appariva indistinto. Anni che a volte, a ricordarli, si stendono su un fondale da romanzo giallo.
L’ Italia si sentì quasi promossa potendo disporre di un giallo tutto suo, che le offriva un ruolo nel giuoco delle Superpotenze. Almeno così ci parve, allora, all’inizio degli anni cinquanta. Tutto ha inizio, nel caso emblematico di Pontecorvo, un ventennio prima. ureato, membro di un celebre sodalizio scientifico, animato nei riguardi di Fermi da un’ ammirazione sconfinata, poco più che ventenne Pontecorvo è già maturo per debuttare nella comunità scientifica internazionale. Gli studiosi del suo rango sono contesi dai centri di ricerca stranieri con tanto maggiore interesse quanto più acute si avvertono le tensioni nel mondo. Il trionfo di Hitler e le connesse persecuzioni razziali hanno dato inizio alla diaspora dei cervelli dalla Germania verso i paesi anglosassoni. Il turno dell’ Italia non tarderà a venire.
Nel 1936, il ventitreenne Pontecorvo è a Parigi con una borsa di studio. Lavora con Frédéric Joliot-Curie e sua moglie Hélène. Conduce esperimenti di “isomeria nucleare” e, nel clima del Front Populaire e della guerra di Spagna, comincia a interessarsi di politica.Gran parte dei suoi colleghi sono di sinistra. Un suo cugino, Emilio Sereni, in esilio a Parigi, è una delle menti del partito comunista italiano (nel dopoguerra ne diventerà il responsabile per la cultura). Per suo tramite Bruno stabilisce rapporti con tutta l’ intelligencija politica emigrée. Nell’ agosto del ‘ 39 “firma” la propria iscrizione al Pci in presenza di Luigi Longo. Ebreo, comunista. Per gente come lui comincia ormai a non esserci più posto nel Vecchio Continente. In Italia già vigono le reggi razziali e la Nazione è entrata in guerra nel ’39.
Anche gli altri fratelli Pontecorvo (sono sette, e uno, Gillo, il futuro regista, quello più legato a Bruno, si trova anche lui in Francia) emigrano avventurosamente verso ciò che resta del mondo libero. Nell’ agosto del 1940 Bruno è negli Stati Uniti con la famiglia (si è unito intanto a una ragazza svedese, Marianne, e hanno un figlio, Gil). Lavora a Tulsa, nell’ Oklahoma, dove sperimenta un’ ap-pli-ca-zio-ne dei neutroni nel campo degli idrocarburi, il cosiddetto “carotaggio elettronico dei pozzi di petrolio”. Nel 1943 è in Canada, prima a Montreal, poi a Chalk River, a studiare i neutrini, le particelle elementari ad alta energia cui dedicherà gran parte della sua vita scientifica. Nel ‘ 45 è finita la guerra, ma per la comunità internazionale dei fisici, dopo Hiroshima e Nagasaki, comincia un altro tipo di guerra, quella “fredda”, che li coinvolge di persona come detentori di drammatici “segreti”. Gli studi sui raggi cosmici All’ inizio del 1949, Pontecorvo trasloca ancora.
Adesso la meta è la Gran Bretagna. Ad Harwell, vicino ad Oxford, nel centro di ricerche nucleari installato dal governo inglese, si dedica ai suoi studi sui raggi cosmici. E’ alto, giovane, di bell’ aspetto, sorridente, affabile benché si consideri un po’ timido. Ama gli sport. E’ bravissimo nel tennis (lo è stato sempre), appassionato di pesca subacquea e di sci nautico. Non se la passerebbe male se la sua condizione non fosse ormai quella di un viandante scientifico. Il suo mestiere lo colloca, dovunque vada, a ridosso dell’ argomento che scotta – l’ energia atomica per uso bellico e i connessi segreti – anche senza esservi coinvolto in maniera diretta. Enrico Fermi, che era arrivato in America fin dal gennaio dei ‘ 39, aveva evitato di associarlo al progettto di costruzione dell’ atomica, cui lavorava nel mistero di Los Alamos. I canadesi e poi gli inglesi si fidavano poco di lui. Alla sua connotazione di comunista notorio altre circostanze si aggiungevano ad accrescere la diffidenza.
In un clima da caccia alle streghe comincia l’ultimo atto della vita di Bruno Montecorvo: il più misterioso, che si apre con la scomparsa dello scienziato con sua moglie e i figli dalla casa casa di Abington, nei pressi di Harwell, senza avvertire nessuno e riappare, dopo un breve arrivo in Italia per salutare parenti e amici, riappare in Russia. A Mosca gli viene assegnato un comodo appartamento in via Gorkij e sebbene gentili e deferenti, in materia di segretezza i sovietici si mostrano inflessibili. Per alcuni mesi, l’ intera famiglia vive isolata. Lo scienziato chiede di spiegare alla radio, il perché della sua “fuga all’ Est”, ma gli viene vietano e quando, dopo qualche tempo, i Pontecorvo potranno uscire di casa, saranno accompagnati costantemente da guardie del corpo. Inoltre le autorità sovietiche non si fidano di lui e, pur consentendogli interveste e conferenze, lo tengono ben lontano dalle ricerche avanzata in materia nucleare. Diviene cittadino sovietico nel 1952, impara perfettamente la lingua e solo nel 1958 lo chiamano a far parte dell’ Accademia sovietica delle scienze.
Lui resta per sempre un ingenuo che crede nel “complotto dei medici ebrei” del 1953, che considera controrivoluzionari i patrioti di Budapest del ’56 e, nel ’68, pur condannando l’ invasione della Cecoslovacchia, non aderisce alle proteste dei comunisti italiani. Non si schiera né a favore né contro Sakcharov e, da ultimo, come nota la sua biografa Maffai, a stagione del disinganno per tanti milioni di comunisti produce in lui “un progressivo, silenzioso e doloroso distacco dalla chiesa, una perdita di fiducia nei dogmi e negli ideali” di una vita intera. Nel 1963 riceve il premio Lenin per un ciclo di lavori sulla Fisica delle interazioni deboli. E’ nominato Accademico all’Accademia dei Lincei e Dottore Honoris Causa delle Università di Budapest e di Ferrara. Nel 1978, dopo ventotto anni di assenza, torna in Italia per qualche giorno in occasione del settantesimo anniversario di Amaldi. Con grande emozione torna nello studio di Enrico Fermi e di Edoardo Amaldi.
Torna in Italia in altre occasioni ma continua a vivere in Russia dove muore nel 1993, senza aver mai avuto il Nobel per studi che invece, dicono gli stessi scenziati, ne avrebbero meritati invece tre. Il fatto è che fu sempre considerato dagli americani, che sull’Accademia delle Scienze hanno grande potere, una spia comunista e, al contempo, visto come uno troppo idealista per cui fidarsi dai capi della Unione Sovietica. La sua vita è stata dedicata allo studio del neutrino, partecella che intuì e definì nei particolari solo oggi emersi. La caccia al neutrino iniziò “per disperazione” nel 1930 con Wolfgang Pauli, fisico tedesco tra i più noti e geniali della sua epoca, come estremo tentativo di preservare il principio di conservazione dell’energia nei decadimenti radioattivi.Sarà poi Enrico Fermi a battezzare come “neutrino” questa particella, formulando per la prima volta una teoria coerente delle particelle allora note (elettrone, protone e neutrone).
La trovata di Pauli era geniale e precorse i tempi, basti pensare che solo nel 1956 i fisici sperimentali riuscirono effettivamente a rivelarne l’esistenza con una ricerca condotta sulle particelle prodotte nei reattori nucleari. Proprio in quegli anni salì in cattedra italiano Bruno Pontecorvo, le cui intuizioni sono poi valse 2 premi Nobel ai fisici sperimentali che confermarono le sue idee (e un terzo nobel è pronto per chi confermasse le sue rivoluzionarie idee sull’oscillazione del neutrino), ma nessun riconoscimento internazionale a lui. Nel 1995, in riconoscimento dei suoi meriti scientifici, fu istituito a suo nome il prestigioso Premio Pontecorvo, attribuito annualmente dal Joint Institute for Nuclear Research in Russia al fisico che ha maggior contribuito alla ricerca nel campo delle particelle elementari, ma niente altro. Intanto, l’intuizione di come rivelare gli antineutrini prodotti nei reattori nucleari (metodo utilizzato da Frederick Reines che per questo ricevette il Nobel nel 1995), la predizione che i neutrini associati agli elettroni fossero diversi da quelli associati ai muoni (la verifica sperimentale di questa predizione ha fruttato il premio Nobel a J. Steinberger, L. Lederman e M. Schwartz) l’ipotesi che i neutrini, nel vuoto, si potessero trasformare in un altro tipo di neutrini, fenomeno noto come ‘oscillazione dei neutrini’, di cui esistono moltissime prove sperimentali, non sono mai stati riconosciuti dal comitato del Nobel. Nel 2007 il giovane studioso Simone Turchetti, nel bel libro “Il caso Pontecorvo.
Fisica nucleare, politica e servizi di sicurezza nella guerra fredda2, ha scritto che il suo caso è emblematico di un clima, quello della guerra fredda, in cui le conoscenze scientifiche sono state il vero oggetto del contendere. Il saggio svela che in realtà il fisico italiano aveva un’enorme esperienza applicativa che poteva essere strategica in URSS; svela il complotto della diplomazia britannica per nascondere le lacune nella sicurezza atomica del Regno Unito agli occhi dell’alleato USA e dell’opinione pubblica. Più che fuga politica, quella di Pontecorvo fu invece determinata dal timore dell’arresto, con false accuse, che hanno gravato su di lui per l’intera vita e che, misteriosamente, rimangono dure a morire anche dopo più di settanta anni.
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