Il rapporto ricostruisce il percorso del cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo: attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smart phone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. E sono proprio queste a rifornire 16 famose multinazionali (Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE), ree di non conoscere al 100% la provenienza del materiale e le sue modalità di estrazione.
Il fatto certo è che la Repubblica Democratica del Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale e che oltre il 40 per cento del cobalto trattato dalla Huayou Cobalt proviene da quello stato. Mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici o batterie automobilistiche fanno lucrosissimi profitti, calcolabili in 125 miliardi di dollari l’anno, e non riescono a dire da dove si procurano le materie prime, nella Repubblica Democratica del Congo i bambini minatori – senza protezioni fondamentali come guanti e mascherine – perdono la vita: almeno 80, solo nel sud del paese, tra settembre 2014 e dicembre 2015 e chissà quanto questo numero è inferiore a quello reale.
Secondo l’Unicef, nel 2014 circa 40.000 bambini lavoravano nelle miniere delle regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo. Prevalentemente, nelle miniere di cobalto. Come Paul, 14 anni, orfano. È uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International in vista del rapporto. Ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi: “Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere”. Il cobalto è al centro di un mercato globale privo di qualsiasi regolamentazione. Non è neanche inserito nella lista dei “minerali dei conflitti” che comprende invece oro, coltan, stagno e tungsteno. (dire.it)
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