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H come handicap

H come handicap

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(di Mons. Giuseppe Molinari) – Sono andato a consultare il vocabolario. Alla parola Handicap è scritto: «Svantaggio iniziale di distanza imposto ai migliori concorrenti, specialmente nelle corse ippiche». Solo successivamente è detto: «difetto fisico o morale, incidente o avvenimento sfavorevole che arrecano un danno iniziale a chi intraprende una carriera o partecipa con altri ad un’impresa». Ma sono state soprattutto quelle parole del vocabolario che parlano di uno «svantaggio iniziale di distanza imposto ai migliori concorrenti», che mi hanno profondamente colpito. Confesso: non lo sapevo affatto. Anche io sono stato vittima, fino a questo momento, del pregiudizio comune: «chi è portatore di handicap è uno che ha uno svantaggio fin dall’inizio di fronte a tutti gli altri; uno che è più debole, è meno perfetto. E perciò è diverso, nel senso peggiore del termine». E con tutte le prevedibili e disastrose conseguenze nella vita di ogni giorno. Ora, invece, ho capito che chi è portatore di handicap ha, di fronte a tutti, lo svantaggio iniziale che si assegna nella corsa della vita, ai migliori concorrenti.

Non è una mia esagerazione. È una profonda verità umana ed evangelica. Da un punto di vista semplicemente umano ognuno di noi sa quante volte ci imbattiamo in persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, che sembrano di non essere stati favoriti molto dalla salute, dalla bellezza fisica, e da tutte le altre prerogative che costituiscono, agli occhi dei più ( e secondo criteri molto discutibili) il modello ideale di uomo e di donna. Ma poi ci accorgiamo che sono proprio questi uomini e queste donne che nascondono una bellezza interiore e una bontà del cuore che quasi sempre i nostri poveri occhi di carne non vedono. E spesso, anche, dimostrano una tenacia, una forza spirituale, una intelligenza incredibili. Da un punto di vista, poi, della fede avviene un ribaltamento totale. Il Libro Sacro dice di Gesù che «la pietra scartata dai costruttori» è divenuta pietra d’angolo, cioè pietra importante e decisiva per la costruzione della storia. San Paolo, duemila anni fa, scriveva che Dio sceglie ciò che nel mondo è piccolo, disprezzato, debole, per confondere coloro che credono di essere importanti, intelligenti, migliori degli altri.

Così ha fatto con sua Madre Maria di Nazareth. E Dio non si è pentito. Continua con lo stesso stile di sempre. Anche oggi sceglie, per realizzare i suoi progetti (gli unici che dureranno per l’eternità) chi sembra avere degli svantaggi insanabili, chi appare ai nostri occhi superficiali e accecati meno bravo, perché magari è un portatore di handicap. E con queste pietre, scartate dagli uomini, continua a costruire la sua storia. Perché è sempre il Libro Sacro che ce lo ricorda (nella bellissima storia di Davide): l’uomo guarda l’apparenza. Solo Dio sa guardare il cuore.

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