(di Carlo Di Stanislao) – Cosa accomuna un manipolo di mercanti e giardinieri inglesi, un intraprendente agricoltore americano e il botanico svedese più famoso di tutti i tempi? Fairchild, Miller, Bartram, Collinson, Banks, Linneo: sono solo alcuni membri della “confraternita dei giardinieri” che, con ruoli, motivazioni e interessi diversi, nel corso del Settecento animarono una vera e propria “rivoluzione botanica”, così profonda e invasiva da aver dato forma non solo ai giardini e ai parchi inglesi così come oggi possiamo ammirarli, ma perfino a un “paesaggio psicologico” di provata “britannicità”, un tratto inconfondibile nei costumi e nelle propensioni di un popolo. Fino agli inizi del Settecento i giardini occidentali erano un affare formale: viali, siepi potate, prati rasati o amministrati a fieno, qualche aiuola geometrica con bulbi, rose e poco altro disposti in maniera ordinata, come gli alberi dei boschetti. Certo lo stile variava con l’ epoca e il luogo, favorendo qui i labirinti e là parterres à l’ anglaise , e v’ erano umili eccezioni come i giardini di campagna, dinamico miscuglio dove s’ affastellava di tutto tra un cavolo e una viola, ma i nostri giardini rimanevano fondamentalmente un affare architettonico. Al contrario, vari e confusi erano i sistemi di classificare le piante. Carl von Linné risolse la faccenda con l’ idea del doppio nome latino: prima il genere, sorta di cognome condiviso da tutti gli organismi simili (come Rosa), seguito da un nome proprio, la specie: canina, alba, gallica, ecc… La soluzione semplificò la botanica, e piacque tanto che si latinizzò pure il nome. Dall’ altra parte dell’ oceano un colono, tal John Bartram, decise che la vita avesse da offrire più della fattoria fuori Philadelphia. Imparò il latino, studiò gli scritti di Linnaeus freschi di stampa e scoprì centinaia di piante dalla Florida al Canada, molte delle quali spedì in Europa per pagare il suo tempo lontano dalla fattoria. Il Boston Tea party era lungi dal venire, e tra i suoi regolari acquirenti v’ era Peter Collinson, un intraprendente mercante londinese. Nel clima mite del Sud d’ Inghilterra le novità dalle colonie attecchirono, e presto vi si aggiunsero altre scoperte da Joseph Banks e Daniel Solander. Sullo sfondo delle grandi esplorazioni di James Cook e degli anni cruciali che portarono alla nascita degli Stati Uniti d’America, il giardino all’inglese non divenne solo il passatempo e l’ossessione per milioni di inglesi – oltre che un lucroso affare per molti di loro – ma simbolo e veicolo stesso dell’Illuminismo, espressione visiva di un paese famoso per essere la “sede della libertà”. In pochi decenni, quei pionieri riuscirono a unire orticoltura pratica, botanica sistematica ed espansione coloniale in un progetto omogeneo, rafforzando il potere imperiale di una nazione sul mondo: questo libro, a metà tra il saggio e il romanzo storico, ripercorre l’avventura di coloro che riuscirono a plasmare con le proprie mani il “capolavoro della natura” e a penetrarne i segreti. “La confraternita dei giardinieri2”di Andrea Wulf, appena pubblicato da Ponte alle Grazie, è un libro estremamente interessante, scritto con garbo e cultura da una autrice scettica che, come molti tedeschi (anche se lei è nata in India e si è poi trasferita in Inghilterra), considerava il giardinaggio un’attività da pensionati. Invece è ben altro e ce lo dice, con sorpresa, in questo libro, pieno di aneddoti e di curiosità. Sì, perché andare a razzolare nella storia della botanica riserva sorprese e storie affascinanti. Come ad esempio quella dei tulipani, non fiori autoctoni olandesi, ma nativi delle montagne dell’Asia centrale e del Caucaso, amati dagli imperatori Ottomani e da loro importatati in Europa, nel XVI secolo, a partire dalla Turchia. E, da quel momento, nessun altro fiore ha stravolto la vita delle persone, delle nazioni e richiesto più attenzione del tulipano. Si pensi, per esempio, che durante il regno degli Stuart, l’Inghilterra fu testimone, in rapida successione, di due guerre civili, un regicidio, una repubblica, una restaurazione e una rivoluzione. L’unica cosa su cui però tutti sembravano essere d’accordo erano, appunto, i tulipani. Insomma, libro della Wulf, non è il solito saggio sul giardinaggio, ma un romanzo vero e proprio su eucalipti e magnolie, pitosforo e robinie, che si legge si piacevolmente, perché le vicende dei botanici che nel Settecento hanno contribuito a cambiare per sempre il verde di casa nostra sono davvero molto avventurose.
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