Consiglio, in questa manciata di giorni che ancora ci separano dalla Befana, di uscire dalle ambasce di un presente pieno di incognite, con una sana “evasione” al cinema. Non certo i rincretinenti “cinepanettoni” ormai sempre più stantii e privi sia di uvetta che del benché minimo candido, ma una scelta un po’ più intelligente, rivolta a film ben fatti ed in cui avventura e “suspence” la facciano da padroni. Quindi disertate “Vacanze di Natale a Cortina”, “Capodanno a New York” e anche “Finalmente la felicità”, di un ormai esausto Pieraccioni e scegliete fra “Il principe del deserto” di Jean-Jacques Annaud, con Antonio Banderas e Fiedra Pinto; “Scherlock Holmes: Gioco di Ombre” di Guy Ritchie, con Robert Downey Jr, Jude Law e la bellisima Noomi Rapace; “Le idi di Marzo” con e di George Clooney o, se si preferiscono i cartoons, “Il gatto con gli stivali” in 3D, diretto con grande classe da Chris Miller. E veniamo all’analisi per ogni singola scelta. Il primo dei film proposti, “Il principe del deserto”, ci trasporta con sfarzo scenografico ed ambientale degno della Hollywood che fu, nella Arabia dell’ inizio del ventesimo secolo, in cui, sotto il sole spietato del deserto, due sultani si incontrano faccia a faccia. Tutto attorno, sul campo di battaglia, i corpi dei loro combattenti. Il vincitore Nesib, emiro di Hobeika (Antonio Banderas), detta le condizioni di pace al suo rivale Amar, sultano di Salmaah (Mark Strong). Nessuno potrà mai più reclamare i diritti della cosiddetta terra di nessuno, denominata “La Striscia Gialla”. Quando però un petroliere texano dimostra che nella Striscia Gialla c’è il petrolio, Nesib, che vuole lo sviluppo del suo polo, infrange il trattato. Nel frattempo Saleeh è divenuto un giovane atletico e audace, mentre Auda si è dedicato totalmente alla sua passione: la lettura. Il futuro prevede però per lui un’altra sorte. Annaud ritorna dopo molti anni sui nostri schermi: il suo ultimo film (del 2007), infatti, Sa majesté minor, non ha mai visto accendersi la luce dei proiettori italiani. E lo fa con un film d’avventura vecchio stile, dirigendo da par suo una storia d’amore e di principi (arabi e non), desiderosi di riscatto e pronti a lanciarsi nell’azione con gran sprezzo del pericolo. Tratto dal romanzo “South of the Heart: A Novel of Modern Arabia” di Hans Ruesch, “Il principe del deserto” non vi farà di certo rimpiangere il prezzo del biglietto. Di eccellente fattura e con un ritmo serrato, dall’inizio alla fine”, è anche “Sherlock Holmes: gioco di ombre”, seconda puntata di Guy Ritchie sulla saga del grande personaggio di Conan Doyle, film in cui il regista britannico, che non deve più preoccuparsi di presentare i personaggi, o meglio di illustrare la loro rilettura, come era accaduto nel primo film del 2009, si diverte e diverte alla grande. In questa seconda avventura, sapendo superare i problemi della prima, Ritichie raggiunge un livello più alto e decisamente buono. Numerose sono le invenzioni visive, al punto che i flashforward sincopati che precedono le mosse d’azione di Holmes, per quanto giustificati dal metodo e dalle caratteristiche del personaggio (e, a questo punto, anche dalla continuità dovuta al capitolo uno), sono in fondo la trovata più banale e scontata. Preziosissima, invece, per rendere la miscela più frizzante, è l’introduzione del fratello maggiore di Sherlock, Mycroft Holmes, interpretato con flemma “britisch”, dal grande Stephen Fry. In questo “Gioco di ombre”, Holmes deve affrontare il caso più importante della sua onorata carriera: secondo il celebre investigatore infatti una vera e propria ragnatela di eventi non sarebbe affatto casuale ma costituirebbe l’intricatissimo mosaico ordito dall’insospettabile e stimatissimo accademico Professor Moriarty, un genio del male che ha organizzato un piano che potrebbe cambiare il corso stesso della storia. Il tutto proprio mentre il Dr. Watson, suo inseparabile compagno d’avventure, ha deciso di convolare a giuste nozze con la sua Mary. In definitiva il film si rivela un thriller d’azione di grande impatto ipercinetico, che si fa guardare piacevolmente fino ai titoli di coda. Passando, poi, al trascurato, a Venezia, “Le idi di Marzo”, si tratta della storia di Stephen Myers, un giovane e talentuosissimo guru della comunicazione, che lavora come vice addetto stampa per il governatore Mike Morris, il lotta per le primarie del Partito Democratico che lo potrebbero lanciare alla Presidenza degli Stati Uniti. Idealista al punto giusto, ma anche pragmatico e col pelo sullo stomaco, Stephen è corteggiato dalla concorrenza, ne viene tentato ma tiene fede ai suoi principi e alla fiducia che ha nel suo candidato. Ma, con precipitare di eventi, si ritroverà involontario protagonista di un intrigo di potere, che metterà in luce gli inganni e la corruzione che lo circondano. Un cast assolutamente stellare, che va da Ryan Gosling, Evan Rachel Wood, Marisa Tomei, Paul Giamatti e Philip Seymour Hoffman, per un film di altissimo pregio. George Clooney, cui i 50 anni hanno donato piccoli cedimenti che rendono sublime un viso maschile, al suo quarto film da regista, Clooney non rivela nulla che gli americani non sappiano già: che cioè la politica è corrotta, che ogni mezzo anche il più spietato è buono per raggiungere il potere. Ma Clooney sa emozionare in modo raffinato e intelligente raccontando come fosse un noir ed evitando ogni ideologia, il mondo crudele e affannoso, quasi delinquenziale, di ipotetiche ma verosimili primarie americane del partito democratico, (di Obama, suo), nello stato cruciale dell’Ohio. Ed è questo che deve fare il cinema, quando sia buon cinema anche popolare e di intrattenimento. Quando a “Il gatto con gli stivali”, scatenato come un heist-movie e iconico come il miglior spaghetti western, il film non sfata il mito del personaggio principale, che non perde mai il suo coté eroico, anche se il valore complessivo è un po’ smorzato sia da un lungo fashback che rompe il ritmo, sia dal messaggio buonista che quasi ogni film natalizio si sente in dovere di portare: in questo caso la necessità di dare a chi si comporta male una seconda possibilità. Eccellente il doppiaggio di Antonio Banderas. Vi si racconta, con molte citazioni da Sergio Leone e dal “caro” (a noi) Tonino Valeri (cui il nostro Istituto Cinematografico Lanterna Magica, con il supporto de La Provincia de L’Aquila, dedicherà una rassegna a marzo), del mitico protagonista della fiaba di Charles Perraul, noto combattente, seduttore e fuorilegge, che diventa un eroe, molto prima di incontrare Shrek, quando, per salvare la sua città, si imbarca in un’avventura con la tosta e intelligente gattina di strada Kitty Zampe Di Velluto e il cervellone Humpty Dumpty. A complicargli le cose lungo la strada ci penseranno i famigerati fuorilegge Jack e Jill, pronti a tutto per far fallire l’impresa di Gatto e la sua banda. La vicenda è più cinematografica che affine a la trama (e la morale) della seicentesca fiaba francese, dove, si sa, si sa che il gatto è la povera eredità che un mugnaio lascia a uno dei suoi figli. Una ben misera eredità, si può affermare; ma invece il micio è talmente scaltro e simpatico da far arricchire, “coll’opera e col talento”, il suo padrone, e da fargli sposare la figlia del Re. Bellissima soddisfazione quella di arricchirsi grazie ai propri meriti; tuttavia, dal momento che al giorno d’oggi, per una serie di motivi sui quali qui non ci soffermiamo, diventare milionari onestamente e solo grazie ai propri talenti appare un’impresa titanica, se non proprio una vera utopia, molti di noi sarebbero assai lieti di ricevere “una pingue eredità”, senza dover esercitare alcun talento. E chiudiamo con un film in uscita poco subito prima della “Befana”: “J. Edgar””, di Clint Eastwood, distribuito dalla Warner Brothers e nelle sale dal 4 gennaio. Sceneggiato da Dustin Lance Black ( quello di “Milk”) e interpretato da Leonardo Di Caprio, il film è molto più che una semplice biografia su un personaggio potente, controverso e fondamentale nella storia politica americana e racconta, in modo preciso e impietoso, oltre cinquant’anni della vita del “padre-padrone” dell’FBI, lanciando a Di Caprio la grande sfida di dargli un volto dai 19 ai 74 anni (un ruolo che attraversa il tempo – dunque – e che è costato all’attore lunghe sedute di trucco). John Edgar Hoover ha combattuto contro gangster e criminali del calibro di John Dillinger, perseguitò comunisti e Pantere Nere e trasformò l’FBI in una potente e feroce macchina di polizia in grado di tenere in scacco l’intero palcoscenico politico americano del Ventesimo secolo. Di questo protagonista storico, Clint Eastwood mostra l’intero percorso di vita, dalle investigazioni più celebri (come il caso Lindbergh) agli aspetti meno conosciuti della sua personalità, alternando vicende pubbliche e vicende private (come il rapporto con l’amatissima madre Annie, che sullo schermo ha il volto di Judy Dench). Il risultato è un biopic di sicura presa (vecchio stile, ma assolutamente efficace) che mostra luci ed ombre dell’ambiguo personaggio e rappresenta “una metafora tragica sul potere” – come l’ha definita lo stesso Eastwood. E, scrive Variety, per la sua interpretazione di John Edgar Hoover, Leonardo Di Caprio potrebbe finalmente conquistare il tanto atteso premio Oscar. Ho letto, proprio oggi, che anche il cinema risente della crisi, una crisi nera, a causa della quale, durante il trascorso weekend natalizio i cinepanettoni hanno incassato 10 milioni di Eu in meno rispetto al 2010. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Chi non ha rinunciato al tradizionale 26 dicembre cinematografico, per una volta ha messo da parte le gag di Christian De Sica, preferendogli un film scacciapensieri a stelle e strisce: il lungometraggio più visto di queste feste è stato, vivaddio, Sherlock Holmes (che in due settimane ha incassato 7.505.949 Eu). E le cose non sono andate meglio a Pieraccioni che, per il moment,o si classifica al quarto posto con 3.872.128 Eu incassati, sopravanzato da Il Gatto con gli stivali (4.863.998 in 2 settimane). Fra le scontate commedie Natalizie la punta Capodanno a New York (730.993 Eu in 3 giorni), la commedia romantica di Gary Marshall con Robert De Niro, Ashton Kutcher, Halle Berry, Hilary Swank, Zac Efron, Michelle Pfeiffer, John Bon Jovi, Sarah Jessica Parker, niente di eccezionale, ma sempre meglio degli improponibili e banali prodotti nostrani.
Carlo Di Stanislao
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