Inchiesta produzione jeans: l’etica scolorita
Chimica nei tessuti, diritti dei lavoratori negati, poco rispetto per l’ambiente.
E’ il quadro fornito dall’inchiesta internazionale su 11 delle maggiori marche di jeans condotta con ispezioni nelle fabbriche in Cina, Pakistan, Marocco, Turchia e Italia e con analisi di laboratorio sui capi per verificare l’eventuale presenza di residui chimici e allergizzanti.
Sei marche su undici hanno aperto le porte delle proprie fabbriche.
Il settore non splende in salubrità. Il ciclo del denim pretende consumi d’acqua altissimi e impone trattamenti chimici sull’intero processo di produzione, dalla coltivazione del cotone, alla filatura, tessitura, tintura e manifattura del jeans.
La tecnica della sabbiatura – sandblasting – per conferire al jeans l’effetto usato, è letale se non realizzata con le protezioni necessarie per evitare di inalare silice, strumenti inesistenti nelle fabbriche della produzione del sommerso. Si calcola che in Turchia, sino a quando non è stata bandita come tecnica, nel 2009, a partire dal 2005 abbia prodotto oltre 5000 morti per silicosi. Purtroppo la produzione è stata dislocata su territori meno esigenti sul rispetto della salute degli operai e sottoposti a controlli saltuari: Cina, India, Bangladesh, Pakistan e in parte del Nord Africa.
Il 60% delle aziende e brand coinvolti nell’indagine ha dichiarato di aver abbandonato la tecnica. Tra tutte le fabbriche visitate l’unica che adottasse la sabbiatura, pur con attrezzature protettive, è stata proprio quella in Italia. L’azienda ha dichiarato di aver abbandonato il sandblasting subito dopo la nostra ispezione. E’ un fatto: succede che nei Paesi occidentali i controlli si affievoliscano perché si dà per scontato il rispetto delle regole. Quanto di più fuorviante, come abbiamo visto.
Il settore a rischio chimico nella fabbrica è quello della finitura. Tinture, spruzzature, effetti abrasivi, utilizzo resine sono effettuati con sostanze chimiche pesanti in aree dove la ventilazione è carente e gli scarichi per i fumi e i lavaggi non sono adeguati. la prassi è di inviare i neoassunti a lavorare in quest’area perché i lavoratori con esperienza si rifiutano.
La chimica può arrivare sino a chi indossa il jeans, perché non tutte le sostanze si lavano via. Tre modelli da noi portati in laboratorio hanno evidenziato tracce di arsenico, antimonio e formaldeide, pur in quantità non preoccupanti. In un modello trovate invece alte quantità di rame.
Il consiglio per tutti è di lavare sempre il capo prima di indossarlo.
Nel complesso meglio le catene di abbigliamento low cost che garantiscono a prezzi contenuti una maggiore responsabilità sociale.
Tirando le fila: il settore di produzione del denim non è privo di macchie. Scegliete con responsabilità anche quando acquistate un jeans. L’indagine integrale è consultabile su www.altroconsumo.it
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