(Di Carlo Di Stanislao) “My Week With Marilyn”, esordio del britannico Simon Curtis, che esce nelle nostre sale venerdì, col più sintetico e meno felice titolo “Marilyn”, dopo l’anteprima al Festival di Roma 2011; non soltanto è un film bello e toccante, ma è a tratti divertente come una commedia di Wylder e restituisce l’aria del tempo e la fragilità sensuale della bionda più celebre della storia del cinema: il primo tentativo riuscito di rifare, sullo schermo, la irraggiungibile Norma Jean Mortenson Baker, in arte Marilyn Monroe.
Naufragati miseramente i vari tentativi passati, nonostante l’impegno di fuoriclasse come Theresa Russell, (“La signora in bianco” di Nicolas Roeg), Blake Lively, Uma Thurman (nelle serie tv “Gossip Girl” e “Smash”), Lindsay Lohan (che ha posato nuda su “Playboy”, pantografando il famoso servizio delle origini), fino alla patetica Suzie Kennedy, assoldata da Leonardo Pieraccioni per il devastante “Io e Marilyn”; ora il colpo riesce in pieno a Michelli Williams, che nel bel film di Curtis è la Monroe, quanto, nel 1957, vola a Londra per girare “Il principe e la ballerina” di e con Laurence Olivier.
Oltre a ciò il film è perfetto nella ricostruzione d’ambiente, con il valore aggiunto di un Kenneth Branagh mirabile nel restituire la senile impazienza/meraviglia di Olivier di fronte al magnetico istinto della star hollywoodiana.
La trama è molto semplice, adattata per lo schermo da Adrian Hodges, da due diari scritti da Colin Clark, che raccontano le esperienze sul set e dei giorni trascorsi in compagnia della Monroe, dopo che il secondo marito, Arthur Miller, era ripartito per gli USA.
Su tutti rifulge Michelle-Marlyn, una donna insicura all’eccesso, inibita dagli psicofarmaci, minata dalla solitudine, eppure specchio anziché maschera, magia senza spiegazione e senza rivali della fotogenia e della passione.
Il prossimo 5 agosto saranno cinquant’anni dalla mai chiarita morte di Marilyn, e fioriranno di sicuro celebrazioni, rivelazioni, fotografie mai viste, raduni di sosia, pubblicazioni, eccetera.
La cosa né mi stuzzica né più mi appassiona, mentre ripensare a lei in questo film è davvero vicenda esaltante.
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