(Di Carlo Di Stanislao) – Ha compiuto 89 anni a gennaio e a febbraio ci ha ricordato cosa sia l’intelligenza, col suo ultimo libro “Esercizi superficiali. Nuotando in superficie”, edito da Mondadori, con un incipit tanto chiaro quanto folgorante: “Nuotando in superficie sulle profondità marine che scorrevano sotto di me, il rapporto superficie-profondità mi si rivelava in maniera diversa da quella, più volte sperimentata, di chi sorvola in aereo e vede dall’alto il paesaggio”.
E dentro questo magnifico libro, Raffaele La Capria, pone tutta la sua anima partenopea, nella critica a Malaparte (“sarà perché sono napoletano e ce l’ho con lui per come ha usato Napoli”) e nell’elogio a Matvejevič per la sua descrizione di Venezia in L’altra Venezia (vale per Venezia ciò che ho scritto per Napoli “bisogna disseppellirla dagli strati delle vecchie rappresentazioni che la coprono, bisogna farla venire alla luce con un’accurata archeologia della mente”).
La Capria non solo ha raccontato le sensazioni di una generazioni di vinti, con “Ferito a morte”, ma anche un itinerario esistenziale complesso e contrito, un viaggio fuori dal coro perché, per una sorta di gioco di rifrangenze, la società italiana e i singoli italiani – noi – si condizionano relegandosi in un presente orfano del passato e senza prospettive.
Facili prede della mistificazione, del narcisismo, del presenzialismo e dell’orribilismo di questi ultimi decenni gli italiani – noi – hanno perso il contatto con l’aspetto più originale della propria natura: la bellezza e la capacità di distrarsi dal contingente per mettere a frutto la prodigiosa creatività che pare essere il tratto distintivo delle itale genti.
E continua la sua napoletanità ad esprimersi quando parla di Italia (“Arlecchino, Pinocchio e Pulcinella sono l’Italia del popolo che si rappresenta, si denigra e si riscatta con la felicità che trasmette questo trio”) e di canzoni (“tra me e le canzoni napoletane i rapporti non sono stati sempre facili”).
E c’è la nuova Napoli in queste pagine, quella che La Capria e tutti i bambini degli anni Venti e i ragazzi dei Trenta non possono più riconoscere, quella Napoli ritratta nel film Passione di Turturro che suscita in lui un’onda emotiva molto intensa.
Nel libro ci sono le sue radici geografiche, culturali, sociali, la sua intimità, la formazione, la maturità, il ricordo, la vecchiaia. Ma tutto narrato con quella naturalezza assoluta, quel linguaggio semplice e piano che caratterizza i suoi lavori, la leggerezza di esercizi superficiali anziché spirituali, fragili, che possono sfuggirci dalle mani trascinati dal vento come una libellula.
E quando, sbigottiti di fronte alla follia del mondo, chiediamo a lui, esperto, saggio, colto, “che fare”? la risposta è sincera, come sempre: “Non lo so”. Una risposta tanto acuta quanto, davvero, disarmante.
Ma con un ammonimento, nella parte finale del libro, che vogliamo riportare per intero: Aggrappati ai libri che ti ho suggerito, e vedrai che ti porteranno ad altri libri, come è successo a me. Ma ricordati che leggere è indispensabile comunque e in qualsiasi condizione, non solo perché terrà allenata la tua mente, ma perché ti lega a una tradizione che non tarderai a riconoscere, e dunque a un’identità. Ricordati che la letteratura è la nostra memoria, e leggere significa stabilire un legame con l’umanità”.
Il secondo libro che intendo suggerire è più recente. Si intitola “Grazie per quella volta. Confessioni di una donna difettosa” e l’ha scritto una donne di spettacolo Serena Dandini, che aveva esordito con “Dai diamanti non nasce niente”, già mostrando penna fluida e sguardo intelligente.
Un libro semplice dedicato alle debolezze ed ai problemi di tutti i giorni.
Un’autobiografia (o forse no) in cui l’autrice ripercorre i fatti quotidiani che segnano la vita di un adolescente, di una famiglia nell’Italia degli anni ’70.
Raccontando una “vita vera” nella quale essere fieri di se stessi e anche dei propri errori. Un libro scorrevole e di facile lettura che arriva in tempo per cercare di ottenere il “diritto” di essere protagonista dell’estate degli italiani come fedele compagno di ombrellone.
Per essere riletto poi, con più calma e maggiore concentrazione, per comprendere come importanti come “il femminile” ed il retaggio della “imperfezione”. Piccole ‘imperfezioni’ di cui andare fieri, che bisogna accettare e con cui bisogna imparare a convivere, come insegna questo libro catartico che ci aiuta a sorridere di tutti i nostri difetti, che ci spinge a essere indulgenti con noi stessi, che ci fa sorridere delle piccole e grandi cose della vita.
Un libro da leggere per sentirci migliori. Un libro per capire che non importa quante debolezze possediamo, non importa quante siano le nostre fragilità. L’importate è imparare ad autoassolverci e a vivere la vita con il sorriso sulle labbra. Sempre.
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