(di Carlo Di Stanislao) – C’è tutta la paura di una Nazione che si credeva inviolabile e si è scoperta fragile e vulnerabile, dopo l’11 settembre di undici anni fa, nell’ultimo capitolo della saga batmaniana di Cristopher Nolan: episodio finale della saga iniziata nel 2005 con “Batman Begins”, rilettura del super (anti) eroe di Frank Miller, in un film monumentale, crepuscolare e imperfetto e, proprio per questo riuscito.
Dopo l’uscita americana (160 milioni di dollari nel primo week-end) e l’anteprima di un solo giorno in alcune sale (suipergremite) in tutto il mondo, autorevoli testate di tutto il mondo si sono divise nel catalogare politicamente il film a destra o sinistra (i repubblicani americani leggono riferimenti nel nuovo cattivo a Mitt Romney: Bane, il cattivo, si pronuncia come Bain, la controversa finanziaria del repubblicano), mentre il Wall Street Journal lo considera celebrazione del capitalismo come unico sistema sociale possibile.
Naturalmente non è in questo modo che il film va visto, ma come un capolavoro visivo (e sonoro) di due ore e 42 minuti, con un personaggio molto umano che affronta una apocalisse moderna, in una Gotham City che, per la prima volta, ha il volto di una città vera (New York), confrontandosi con la ribellione sociale, il terrorismo, gli speculatori dell’alta finanza: le tre paure attuali della Nazione che ora sa di non essere invincibile.
La sceneggiatura, di Cristopher Nolan e del fratello Jonathan, lontana mille miglia dall’interpretazione pop di Tim Burton, imprime un marchio dark al personaggio, prendendo le distanze – eppure rispettandone i codici – dalle graphic novel, con una storia che assomiglia alla realtà e dentro cui, involtariamente, la realtà entra con un climax di follia, con la strage all’anteprima nel cinema di Aurora, in Arizona.
Registi e cast, quel giorno a Parigi per il lancio europeo del film, si sono rinchiusi nel silenzio, hanno cancellato ogni promozione.
“Il cavaliere oscuro – Il ritorno”, resta un film straordinario, che inizia là dove era finito Il Cavaliere oscuro, nel 2008 e col miliardario Bruce Wayne, alter ego di Batman, che da sette anni vive esiliato nella sua Manor, fisicamente provato e incapace di superare il dolore per la morte dell’amata. Lo risveglia dal torpore una ladra di perle, Selina Keyne, alias Catwoman che gioca con le dark lady anni 40 ed è incarnata da una perfetta Anne Hathaway.
E’ la prima di una serie di nuovi personaggi che fanno il loro ingresso nella storia, misteriosamente legati al passato di Batman e determinati a scriverne il futuro.
Tra le altre new entry la manager ecologista Marion Cotillard e il poliziotto orfano Joseph Gordon-Levitt; mentre sempre dalla parte di Barman (o meglio di Wyne) il tenace e leale commissario Gordon/Gary Oldman, il tecnologico Morgan Freeman e il maggiordomo-patrigno Michael Caine, protagonista delle scene più commoventi.
Insomma in questo magnifico film si ricomincia da zero, con Nolan che spazza via il gotico di Tim Burton e il kitsch di Joel Schumacher, e punta sul dramma umano e la veridicità, riflettendo l’assenza di superpoteri del suo eroe in set, gadget, armi e acrobazie, in cui tutto ciò che si vede è reale o verosimile.
La sua sceneggiatura (in collaborazione con David S.-Blade-Goyer) seduce nei dialoghi, sparge tasselli di un mosaico che si ricompone in modo circolare, elargisce curiosità sulle origini del protagonista e, soprattutto, fa leva su di un tema che racchiude tutte le sue parti: la messinscena della Paura, del protagonista e di una intera Nazione, ferita a morte da aerei assassini e da una finanza non meno distruttiva.
Nel finale di Il Cavaliere Oscuro, Batman ferma l’ondata di minacce che incombono su Gotham City a costo di immensi sacrifici. Agli occhi della gente della città, non è più l’eroe che ha giurato di proteggere tutti quanti ma un “male” da estirpare e, accompagnato dalla colonna sonora di Hans Zimmer, Batman scompare nella notte.
Qui ritorna e vince, ma la paura aleggia ovunque e l’unica via d’uscita è ritrovare un minimo di umanità.
Perché i pilastri su cui è stata costruita la pace sono fragili come la bugia sulla morte di Harvey Dent, il procuratore che a causa del Joker impazzisce diventando il folle Due Facce.
E sta arrivando una tempesta su Gotham, da sempre sospesa tra dannazione e salvezza, e i suoi figli sono costretti a restarvi chiusi come i protagonisti della novella di Poe La Morte Rossa. La loro Morte Rossa è Bane accompagnato dal fantasma di Ra’s Al Ghul, mentore e nemesi di Batman. Così come il Joker del secondo capitolo rappresentava la follia e il kaos primordiale, Bane (Tom Hardy) è la lucida rivoluzione per cui ogni azione è pianificata al dettaglio; un mercenario cresciuto in una galera uzbeca, un posto infernale dal quale non si esce vivi.
Come nei migliori fumetti, l’entrata in scena del protagonista è centellinata e viene preparata con cura, inserendola come elemento fondamentale nel rapporto padre e figlio, conflitto compreso, tra Alfred (Micheal Caine) e Bruce. La nuova Catwoman non ha la sensualità di Michelle Pfeiffer, è vero, ma quella impersonata da Anne Hathaway è un’eroina anche lei diversa, indipendente, padrona del proprio destino. Una donna del terzo millennio con potenzialità e contraddizioni.
Dark Knight Rises, è un film eccellente, dove tutti, non solo Nolan, sono stati grandi e con un epilogo (magnifico a mio avviso) renderà difficile per chiunque raccoglierne il testimone, a conferma che la missione del regista di Inception è pienamente riuscita.
All’inizio del suo viaggio sembrava impossibile che il suo Batman reggesse il confronto con quello di Tim Burton, ora che l’ho visto posso dire che (forse) lo ha superato, con un passo fuori dal comune e una straordinaria rappresentazione della crisi d’identità del sistema occidentale e sul potere che se non viene esercitato bene alla fine genera mostri come Bain e rischia dunque l’autodistruzione. Ma è anche una pellicola sulla forza delle persone, che è la sola ad essere in grado del potere vero, quello ideale. Così Batman trova la forza di scalare il pozzo in fondo a cui viene rinchiuso. E non importa che sia ricco o povero in quel momento. E ricorda il primo incontro tra il piccolo Bruce e il commissario, perché l’eroe – gli rivela l’ormai grande milionario – è chi fa anche una cosa semplice e rassicurante come mettere il cappotto sulle spalle a un bambino per fargli capire che il mondo non è finito. Insomma è nella speranza e nel rapporto con gli altri che si trova la vera forza e si può sperare di vincere la paura.
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