(di Carlo Di Stanislao) – La scoperta della riprogrammazione cellulare e delle cellule pluripotenti indotte (o Ips) ha una portata talmente vasta che il Nobel al giapponese Shinya Yamanaka, 50 anni e al britannico, classe 1933, John Gurdon è più che giustificata.
In epoche diverse hanno dimostrato che le staminali adulte, già diventate tessuti, possono tornare indietro e recuperare le capacità di totipotenza delle cosiddette staminali bambine dell’embrione.
Dunque specializzarsi a loro volta e diventare cellule cardiache, renali, cerebrali ed essere utilizzate per terapie salvavita. Riparare tessuti degenerati e costruire farmaci contro malattie che attualmente non hanno soluzione. Gurdon è stato il precursore di queste scoperte e nel 1962, ., l’anno in cui nacque il più popolare Yamanaka, dimostrò che la riprogrammazione era possibile, se a certe condizioni, con esperimenti sugli anfibi.
Riuscì a far nascere un girino dopo aver inserito il nucleo di una cellula dell’intestino di una rana in un’altra cellula svuotata a sua volta del Dna.
Ma a proseguire il cammino fu il giapponese, un chirurgo ortopedico conquistato dal fascino della vita in laboratorio, che, nel 2006, dimostrò che la reversibilità è possibile anche nell’uomo.
A sorpresa, invece, il Nobel della fisica, che tutti davano a Higgs, è andato all’americano David J. Wineland e al francese Serge Haroche, che sono riusciti a “domare l’invisibile”, intrappolando e controllando il comportamento di un singolo atomo senza distruggerlo.
Ai due va il merito di avere tradotto in realtà concetti molto complessi, isolando i singoli atomi o le singole particelle di luce (fotoni) dall’ambiente in cui sono immersi e, soprattutto, osservandone direttamente i comportamenti bizzarri previsti dalla fisica quantistica.
Valentino Arcovio su La Stampa, a commento dei Nobel per Medicina e Fisiologia e Fisica, fa una ricerca in cui si chiede che fine fanno i soldi assegnati con i premi.
Fino allo scorso anno il premio destinato ai vincitori consisteva in 10 milioni di corone e da quest’anno la somma è stata ridotta del 20%, passando a 8 milioni di corone (poco meno di 900 mila euro). I
l direttore generale Lars Heikensten ha spiegato che la decisione di ridurre la somma è stata presa per assicurare che “vi sia il potenziale per ottenere un buon reddito dal capitale investito, aggiustato all’inflazione, per molti anni a venire”.
I premi vengono ancora finanziati grazie agli interessi ottenuti sul capitale donato dall’industriale Alfred Nobel, inventore della dinamite, all’inizio del secolo scorso e la Fondazione si è impegnata a tagliare i costi di gestione e le spese per la cerimonia di assegnazione, in programma a dicembre a Stoccolma e a Oslo.
Ciò che si apprende da La Stampa è che la somma può essere interamente spesa a discrezione del vincitore. E siccome, in genere, i vincitori dei premi Nobel non sono persone già ricche, la maggior parte di essi spende il proprio premio in modi che molti potrebbero definire banali: estinguere il mutuo, comprare un’automobile o risparmiarli in previsione di tempi più bui. Ad esempio Wolfgang Ketterle, docente del Mit e uno dei tre scienziati vincitori del premio Nobel per la Fisica del 2001, ha usato i soldi per comprare una casa e per pagare gli studi ai figli. Franco Modigliani, anch’egli docente del Mit e vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 1985, con il denaro vinto comprò invece una barca a vela.
Sono stati pochi quelli che hanno investito la somma nel proprio lavoro, anche tra i vincitori più celebri. Ade esempio Einestein diede una buona fetta del premio all’ex moglie Mileva Maric, che ora sappiamo essere stata per lui una collaboratrice importante che contribuì significativamente al suo successo; mentre Gunter Blobel, donò l’intera somma per la ricostruzione di una cattedrale e di una sinagoga a Dresda (Germania), la sua città natale.
Circa il caso di Higgs, infine, sono vari gli episodi definiti di “Nobel mancati”, come, ad esempio nel caso del fisico italiano Nicola Cabibbo, considerato il “padre” delle idee sviluppate dei due fisici giapponesi premiati con il Nobel nel 2008, ma neanche menzionato.
E vi sono poi stati, per la letteratura, due che il Nobel l’anno rifiutato: Pasternak perché costretto dal suo governo e Sartre, per ragioni ideologiche.
Il 23 ottobre del 1958, quando l’Accademia di Svezia conferì a Pasternak il Premio Nobel per la Letteratura, “per il ragguardevole contributo alla lirica contemporanea e alla grande tradizione dei prosatori russi”. La reazione delle autorità sovietiche fu immediata. Il 25 ottobre la ‘Literaturnaja Gazeta’ pubblicò un lungo articolo che attaccava apertamente Pasternak, mentre al contempo si svolse una manifestazione ‘spontanea’ contro il poeta. Su di un cartello, racconta la Ivinskaja, c’era scritto “via dall’URSS, Giuda”. La campagna era volta a far passare Pasternak come un traditore del popolo, e le accuse a lui rivolte durante la riunione dell’Unione degli scrittori del 27 ottobre lo dimostrano chiaramente.
Pasternak non si presentò, ma fece consegnare una lettera nella quale delineava la sua posizione: “Credo che chi ha scritto il romanzo Il dottor Živago possa restare uno scrittore sovietico, […] non mi considero un parassita, […] nulla mi obbliga a rifiutare l’onore di essere un premio Nobel, […] non mi attendo giustizia da voi. Potete fucilarmi, espellermi, fare di me tutto quello che vi pare”. La risoluzione finale della riunione così recitava: “Pasternak è diventato un’arma della propaganda borghese […]. Il suo tradimento del popolo sovietico, della causa del socialismo, della pace, del progresso, il suo tradimento pagato con il premio Nobel, […] privano Boris Pasternak della qualifica di scrittore sovietico, e lo escludono dall’effettivo dell’Unione degli scrittori dell’URSS”.
Per non essere espulso dall’Unione Sovietica, il 5 novembre Pasternak fu costretto ad inviare alla redazione della ‘Pravda’ una lettera nella quale rifiutava il premio Nobel: “Ho considerato il premio Nobel come un’onorificenza letteraria, e ne sono stato lieto […]. Mi sbagliavo. In capo a una settimana, quando vidi quali dimensioni stava assumendo la campagna politica organizzata intorno al mio romanzo, mi convinsi che il conferimento del premio era stato soltanto un passo politico, e di mia iniziativa comunicai all’Accademia il mio volontario rifiuto”.
Ma il sacrificio di Pasternak non risulto’ vano, perché il fermento intellettuale che la sua vicenda aveva introdotto nella società sovietica, ebbe l’effetto positivo di destare gli animi dal torpore, e permise di canalizzare nuove energie sul fronte della battaglia contro il regime per l’affermazione dei diritti fondamentali dell’individuo. Non è un caso se il 2 giugno, ai funerali di Pasternak a Peredelkino, la bara contenente la salma del poeta era portata a spalla da Julij Daniel e Andrejj Sinjavskij, due giovani scrittori che ebbero in seguito un ruolo di fondamentale importanza per la nascita del dissenso in Unione Sovietica.
Quanto a Sartre, come aveva già spiegato in occasione del conferimento della Legione d’Onore nel 1945, e dell’attribuzione del seggio al Collegio di Francia, egli riteneva che tali onori alieniassero la sua libertà di pensiero e, nella lettera inviata all’Accademia di Stoccolma, scrisse: “Il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. […] Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso”.
Sempre in prima linea nel prendere posizione sui problemi politici dell’epoca, Sartre si schierò contro la politica francese in Algeria, entrò a far parte del Tribunale Russell sui crimini americani in Vietnam e nel 1968 appoggiò il movimento studentesco, condannando l’atteggiamento del partito comunista francese in tale frangente e dirigendo il giornale ‘La cause du peuple’.
Sartre nasceva a Parigi al’inizio del secolo scorso e lo scrittore Bernard-Henri Lévy sostiene, come recita il titolo francese di un suo libro uscito nell 2000, che quello che si è da poco concluso è Le siècle de Sartre (in Italia il volume è stato pubblicato da Il Saggiatore).
Ma ci sono anche altre valutazioni sulla sua opera; inoltre, molti altri personaggi sono stati altrettanto importanti e soprattutto non è necessario “personalizzare” anche i secoli.
Sartre, negli ultimi tempi, è stato per lo più banalizzato e attaccato riducendo il suo pensiero a poche frasi e puntando su di esse tutta l’artiglieria pesante per demolirne ogni possibilità di recupero. Una prassi a cui ci ha abituato la società dello spettacolo, si fissa polarizzando e si ripete fino alla nausea annullando l’informazione. La saturazione è il nuovo nome della censura. Il 15 aprile 1980, trentadue anni fa, moriva Sartre e una folla oceanica accompagnava la salma del filosofo al cimitero di Montparnasse. “È l’ultima manifestazione del `68”, disse Claude Lanzman a Simone de Beauvoir. Ma non saopevo che poi, su tutto, sarebbe caduto l’oblio più totale.
In verità l’influenza di Sartre sulla letteratura francese e sulle ideologie intellettuali comincia a diminuere già negli anni ’60, specialmente nel confronto con gli strutturalisti come l’antropologo Lévi-Strauss, il filosofo Foucault o lo psicanalista Lacan.
Lo strutturalismo è in qualche modo l’avversario dell’esistenzialismo: in effetti nello strutturalismo non c’è molto spazio per la libertà umana, essendo ogni uomo imbrigliato nelle strutture che lo sovrastano e sulle quali non ha presa. Sartre è altrove, non si cura di discutere di questa nuova corrente: è interamente impegnato in un progetto personale, rappresentato dall’analisi del XIX secolo e della creazione letteraria, e soprattutto dalla critica di un autore di cui non ha mai condiviso lo stile parnassiano, Flaubert. Inoltre, in quegli stessi anni, la sua salute peggiora rapidamente. Sartre è prematuramente logorato; logorato per la sua costante iperattività letteraria e politica e logorato dal tabacco, dall’alcool che assume in gran quantità, nonché dalle droghe che lo mantengono in forma (chlorydrane e anfetamine).
Ma il rifiuto, la rivolta, l’intransigenza si vedono sempre nelle azioni di Sartre. Nel 1964, fatto che avrà una grande risonanza mondiale, rifiuta il Nobel, che gli era stato conferito per il romanzo “Le parole”, in cui, a cinquanta anni, gioca con i ricordi e racconta come è nato filosofo in una famiglia piccolo borghese, giungendo a ritrovare la propria dimensione e, insieme, il significato profondo della letteratura: in essa ciò che conta è l’uomo che rinnova se stesso spezzando l’incantesimo che l’ha imprigionato nei segni del linguaggio.
Filosofo, uomo di impegno sociale e politico, Sartre, per me, fu un grande romanziere ed uno straordinario critico letterario.
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