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Spielberg a Cannes

Spielberg a Cannes

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(di Carlo Di Stanislao) – Premio di consolazione che lo ripaga dell’’Oscar mancato con “Lincoln” per Steven Spielberg che, c a 66 anni e con un carriera iniziata a soli 18, è chiamato a presiedere la giuria del prossimo Festival del Cinema Di Cannes, che si svolgerà dal 15 al 26 maggio.
Dopo Moretti, quindi, un rappresentante di primo piano del cinema hollywoodiano, che ha accettato il prestigioso incarico con grande entusiasmo, dicendo: “La mia ammirazione per Cannes è totale”, soprattutto per il modo in cui il Festival difende il cinema internazionale confermandone la vocazione ad essere un’arte che trascende le culture e le generazioni. E’ il festival più prestigioso del mondo che ribadisce una verità inconfutabile: il cinema è il linguaggio del mondo”.
Mentre il direttore artistico Thierry Frémaux ha detto che le trattative con Spielber durano da due anni, il presidente Gilles Jacob, ha ricordato che l’autore statunitense è un regular, cioè un ospite assiduo di Cannes, dove ha portato film come Sugarland Express e il Colore viola ed ET, in anteprima mondiale nel 1982.
Dopo un grande amore per i suoi primi film, la critica europea ha poco amato e tenuto in secondo piano la filmografia di Steven Spielberg.
Il grande problema che ha la critica europea, in particolare quelle italiana e francese, con i registi americani, è che si trova in grande imbarazzo nel capire perché un regista americano non si consideri Autore.
E perché gente come Howard Hawks considerasse il cinema intrattenimento e non arte.
E ancora perché tutti i registi – almeno quelli il cui pensiero ci è stato dato conoscere – hanno considerato film “brutti” quelli di scarso successo, a dispetto di quello che ne pensava e ne pensa il pubblico cinefilo.
E infine perché Hitchcock avesse confessato a Bogdanovich di avere preso un po’ in giro quel regista francese intellettuale che gli faceva tutte quelle domande (da cui peraltro uscì un libro godibilissimo del quale Hitchcock siamo convinti era contento se non altro per il recupero in fama europea e quindi in rilancio durante un periodo non troppo felice).
Lincoln non è stato capito e neanche il precedente “War Horse”, che invece è capace di farci piangere, senza vergogna, ricordandoci che il cinema, se è vero cinema, deve essere uno spettacolo per tutti.
“Nessuno come De Mille sa cosa vuole il pubblico americano e nessuno come lui sa come darglielo”, affermò Jonh Ford durante una riunione della Screen Director Guild e ci racconta molte più cose sull’industria del cinema americano di tanti saggi critici dotti ed estremamente paludati.
E Spielberg più dei coevi Coppola, Scorsese e Di Palma, è il rappresentante di un cinema di un cinema consapevole delle proprie potenzialità che al contempo serve un’industria e sa fare davvero spettacolo.
Ma mentre ad Ang Lee questo è perdonato ed anzi considerato un merito (due Leoni D’Oro, due Orsi a Berlino, vari BAFTA, l’Oscar quest’anno), ha Spielberg è computato come un difetto.
Eppure, anche dopo i “favolosi anni ottanta”, Spielberg ha continuato ad incantare e far pensare con “Minority Report”, “La guerra dei mondi” e “Munich”, affrontando, senza rinunciare allo spettacolo, temi scottanti come il rispetto della privacy e la tutela dei diritti dei singoli cittadini, il senso della vendetta e la cupezza di una nazione priva di identità dopo l’11 settembre.

Da sempre attento ai temi del razzismo, della Shoah e della discriminazione, come dimostrano i suoi film più “impegnati” (Il colore viola, Schindler’s list, Amistad, Munich), nel 1994 ha creato la Survivors of the Shoah Visual History Foundation, associazione non profit per la raccolta e catalogazione audio-video delle testimonianze dei sopravvissuti e testimoni della Shoah.
Alla vigilia dei Giochi Olimpici di Pechino 2008, forte del suo incarico di consulente artistico del comitato organizzatore e di direttore artistico delle cerimonie di apertura e chiusura, insieme ai rappresentanti di molti paesi occidentali, ha condotto una campagna di pressione sulla Cina, affinché lo stato riconoscesse e garantisse la Dichiarazione universale dei diritti umani, sia nella sua politica interna che estera, in particolare sulla condotta cinese nella regione sudanese del Darfur, di cui la Cina è primo partner commerciale e partecipa attivamente alla gestione delle politiche petrolifere. A seguito del rifiuto, o meglio, dell’indifferenza dimostrati dalla Cina, Il 13 febbraio 2008, abbandonò l’incarico.

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