(Di Carlo Di Stanislao) La prima puntata di “Trilussa” batte di nove punti il varietà di Canale 5 e ci racconta, in modo piacevole, di un vero anticonformista, un poeta sagace e un uomo differente, con l’incubo giornaliero dell’affitto da pagare, sempre pieno di debiti, ma, nonostante tutto, amante del lusso, del bel vestire e delle belle donne.
Trilussa, anagramma del vero cognome Salustri, di nome Carlo Alberto, trasteverino ed ebreo, cantore di Roma e della romanità, non fu mai nominato Accademico d’Italia e, quando il Presidente della Repubblica Einaudi lo nominò senatore a vita nel 1950, commentò : “m’hanno nominato senatore a morte” , e fu buon profeta, morendo pochi giorni dopo.
Lungi dall’essere un intellettuale, fonte della sua ispirazione furono le strade di Roma, assai più che i libri. Quando un giornale locale gli pubblicò i primi versi, questi conobbero presto il consenso dei lettori e furono in seguito pubblicati nella prima delle sue molte raccolte di poesie. La sua fama crebbe, e tra il 1920 e il 1930, la sua notorietà raggiunse il culmine.
Tuttavia non frequentò mai i circoli letterari, ai quali continuava a preferire le osterie. Trilussa, come Belli, fu orfano di padre a pochi anni e visse sempre in certe ristrettezze economiche. Al contrario del Belli fu però subito famoso. Commentava per i giornali i fatti del giorno, e con la sua vistosa eleganza frequentava i bar di Roma (al contrario di Pascarella che già ai primi del secolo per la sordità e le delusioni italiane si era molto ritirato). Faceva recital di sue poesie non solo a Roma ed ebbe in vita un successo clamoroso, paragonabile, forse, a quello di D’Annunzio e Pirandello ma, a differenza loro, senza mai aver preso la tessera del fascismo.
Si dice che Trilussa usa un vernacolo troppo “italiano”, ma non perché intenda addolcire la lingua, ma farla aderire al cambiamento dei tempi. Fu anche tacciato di qualunquismo, accusa non vera, perché il suo verso si lega al disincanto e al pessimismo e, a differenza del Belli, non si fa illusioni e critica tutti i diversi partiti.
In definitiva, come nota il regista romano Fabrizio Giannino, Trilussa sarà sempre un uomo dell’Ottocento, che nasce in una Roma appena diventata capitale d’Italia che da papalina diventa umbertina poi fascista e antifascista e sarà sempre contrario alle guerre, anche se ne vivrà, suo malgrado, due mondiali. Passerà dalla botticella all’automobile, dalla radio al cinematografo.
Dalle serate a scialare elegante e generoso alle gite dallo zio prete per trovare soldi per pagare i debiti. Dalla calata dei buzzurri piemontesi, al seguito del Re alla venuta di Hitler l’imbianchino austriaco. Ottant’anni in cui tutto è successo. Dalle canzonette a San Giovanni alla serenata che nel ’48 gli dedica Balzani.
Lui vive tutto con lo stesso garbo, con la stessa eleganza, con i sui baffi a punta e i capelli alla Mascagni, sempre a suo agio, sempre Trilussa, sia quando è ospite nei salotti bene, sia quanno se perde pe’ l’hosterie, sia quando si reca a San Lorenzo in una Roma ferita a morte, una Roma che non sarà più la stessa ma che per tutti rimarrà la Roma di Trilussa.
Nel tv-movie in due puntate (stasera su Rai 1 l’ultima, con inizio alle 21,10), scritto da Exacoustos, Logli e Pondi, con musiche di Stelvio Cipriani, che ha per protagonisti Michele Placido, nel ruolo di Trilussa e Monica Guerritore, in quelli della fedele governante Rosa che, per più di 40 ani, fu presenza fissa e costante nella vita del poeta; il protagonista è l’emblema di un popolo, cantore amaro della decadenza dei costumi e della politica, capace, con ironia ed arguzia, di mettere alla berlina i potenti del tempo: dal Papa a Mussolini.
La storia non è un bioptic, ma racconta un solo anno, il 1937, della vita del poeta, con lui all’apice della fama, in una Roma piena di tensioni. Tra i personaggi chiave, il compagno di bevute Rapiselli (Rodolfo Laganà), e la giovane Giselda Lombardi (Valentina Corti), trasteverina come lui, con la quale – secondo la vulgata – ebbe una relazione e a cui cambiò il nome ed il destino, facendone una diva del cinema muto: Leda Gys, nonna del produttore della miniserie Guido Lombardo, nipote del capostipite Gustavo e il cui figlio Goffredo, produsse opere memorabili come “Il Gattopardo” e “Rocco e i suoi Fratelli” con la sua Titanus e a cui Tornatore, tre anni fa, ha dedicato il documentario-omaggio, presentato a Venezia : “L’ultimo gattopardo”.
Il film in due puntate è stato girato interamente a Roma, per la regia di Lodovico Gasperini, con i quartieri storici, i vicoli del centro, la Galleria Sciarra a Trastevere, l’Arco de’ Cenci, Villa Borghese, l’Isola Tiberina e il Campidoglio, a fare da sfondo al racconto dell’irriverente e singolare poeta che, in fondo, ha vissuta una sola autentica storia d’amore, con Rosa che, come dice l’interprete Monica Guerritore: “è stata la salvezza di Trilussa, la custode di tutta la sua intimità, capace di salvarlo dai creditori e da se stesso, accudendolo amorevolmente come un’amante, una badante, una madre, un’amica, una sorella, per consentirgli di scrivere in serenità”.
Quanto a Michele Placido, che torna in tv dopo “La piovra”, ha appena concluso la tournée italiana di “Re Lear” e ad aprile uscirà il suo ultimo film, girato in Francia, “Il cecchino”, presentato al Festival del Cinema di Roma.
Il suo accento romanesco è esitante e a volte goffo (non così per la Guerritore), ma funziona nel complesso riuscendo a rappresentare un sessantataseienne ancora dinamico, arguto, anticonformista e pieno di vita.
Il 16 gennaio scorso Elio Germano e Libero De Rienzo sono Belli e Trilussa, impegnati al Cinema America a Roma, in un botta e risposta per denunciare la speculazione edilizia, con un fraseggio che si situa nel solco della miglior tradizione romana del far parlare le statue, ma con una declinazione tutta trasteverina e completamente collocata nel presente.
Il Cinema America ora lo si vuole abbattere, per costruire una palazzina da 20 miniappartamenti e due piani di garage sotterraneo.
E Belli dice: “A Trilù, ma che è ‘sta storia? / Trestevere sta a perde la memoria? / Vonno abbatte’n luogo de cultura, / Pe’ magnacce co’la speculazzione. / Se famo rifilà sta fregatura / Popo qui, ner rione der leone?”; con Trilussa che risponde: “A Gioacchì, te sveji adesso? / Stanno a trasformà Roma in un cesso. / Questi se pensaveno d’avé svortato, / D’avè scoperto qui la Merica… / Ma intanto er Rione s’è mobilitato: / Loro occupando, noi co’ la metrica”.
(93)