(Di Carlo Di Stanislao) Della sua prima giovinezza sappiamo soltanto che era chierico della Chiesa di Valenza ed ebbe, per opera dello zio vescovo, benefici ecclesiastici in questa e altre diocesi spagnole. Né è noto con precisione quando venisse in Italia: certo nel 1453 era studente a Bologna, dove si laureò, il 13 agosto 1456, in diritto canonico.
Frattanto lo zio era salito al soglio papale (8 aprile 1455) e dal suo nepotismo ebbe origine la sua fortuna, nominato, il 10 maggio 1455, notaio della Sede apostolica e, il 20 febbraio 1456, creato cardinale diacono in un Concistoro segreto per unanime consenso dei cardinali presenti.
Così inizia la carriera di Rodrigo, il capostipite della famiglia aragonese dei de Borja y Borja, uomo divorato dal demone della ambizione, accorto ed astutissimo, che nel 1492, quando Innocenzo VIII muore, non perde l’occasione per usare le sue doti di manipolatore allo scopo di ottenere la nomina a Papa, assumendo il nome di Alessandro VI.
Iniziano così i suoi giochi di potere dove perfino i figli sono utilizzati per consolidare la sua posizione, collocandoli in strategici posti di comando o combinando matrimoni con famiglie influenti.
Il primogenito è Cesare, detto “Il Valentino”, ambizioso e crudele, affascinante, galante e lussurioso, che mal sopporta la porpora cardinalizia impostagli dal padre per sostenerlo in Vaticano e saprà rendersi molto utile organizzando efferati omicidi per sgomberare la strada dei Borgia da qualsiasi ostacolo. Legato in modo morboso alla sorella Lucrezia, vive invece un rapporto conflittuale con il fratello Juan, il secondogenito, il figlio prediletto di Rodrigo e Vanozza, ex cortigiana ed amante di Rodrigo, dotato di una bellezza che gli permette di ottenere tutto ciò che vuole, ma con una intelligenza piuttosto modesta, che, nominato dal padre, comandante dell’esercito pontificio, si dimostrerà vanesio e borioso, più interessato ai bordelli e alle prostitute che all’arte della guerra e del potere.
C’è poi l’unica femmina, la bellissima Lucrezia, che fin dalla più tenera età è usata per allacciare alleanze strategiche con le famiglie politicamente e militarmente più influenti d’Italia ma che, coraggiosamente, non subisce passivamente il proprio destino e vive seguendo il proprio cuore, creando scandali e problemi, coperti con ogni mezzo dal potentissimo padre.
Il minore dei figli è Jofré, un ragazzo poco ambizioso e sostanzialmente debole, che il padre disprezzava, ma che comunque utilizzò lo stesso come pedina sulla sua personale scacchiera politica.
Figura complessa e contraddittoria, Alessandro VI, nonostante la sua simonia, il nepotismo e la condotta morale scandalosa, non contraddisse mai l’ortodossia dottrinale, difese la Chiesa contro gli eretici, rinnovando la bolla In coena Domini e la censura di libri e promosse anche la vita religiosa, soprattutto degli ordini Agostiniani, Minimi e Francescani, cercando di promuovere l’evangelizzazione degli indios, lasciando in mano ai re di Spagna (le Bolle Alessandrine) il patronato indiano e arbitrando nel litigio con la corona portoghese.
In politica, sin dall’inizio manifestò , un favore speciale per la politica aragonese, con il fine di evitare che gli Anjou prendessero la corona di Napoli. Ma la situazione politica europea lo trascinò in diverse scelte che si possono considerare contraddittorie: prima sostenne la corona francese, ma in seguito ritornò a sostenere quella napoletana e riprese l’amicizia con gli Orsini di Firenze.
Dopo la scomparsa del re Ferdinando I di Napoli, la corona francese vide l’opportunità di riprendersi Napoli. Ma non riuscendo a trovare il consenso del Papa o della città di Firenze, cominciò a preparare l’invasione degli Stati Pontifici. Il Papa si affrettò a chiedere a Carlo VIII di preparare la difesa contro i turchi o una crociata, invece di invadere o fare la guerra agli stati cristiani. Alla fine Alessandro VI incoronò Alfonso II e chiese protezione per l’Italia.
Nel 1494 Carlo VIII entrò in Italia e ben presto arrivò a Roma: Alessandro dovette accettare le sue difficili pretese ma non lo proclamò re. Da quel momento gli altri Stati e le grandi città d’Italia si resero conto del pericolo, nel permettere al re francese di impadronirsi del regno di Napoli. Perciò assecondarono la richiesta del Papa e si unirono vincendo l’esercito francese, obbligandolo a ritirarsi dopo la sconfitta di Fornovo.
Contro di lui operò il cardinale Giuliano Della Rovere (poi Giulio II) e il domenicano Girolamo Savonarola, che fu sospeso dalla predicazione, scomunicato e infine condannato, impiccato e arso il 23 maggio 1498.
L’anno dopo, mentre Luigi XII aveva ripreso, modificandoli, i piani italiani del suo predecessore, mirando al ducato di Milano (1499) e il papa, nella nuova guerra, per la politica di famiglia che perseguiva era costretto ad appoggiarsi al re di Francia., a Roma ucciso misteriosamente il secondogenito Giovanni, duca di Gandia e benché la voce pubblica ritenesse l’altro figlio del papa, Cesare, responsabile della morte del fratello, concentrò su di lui, già cardinale, tutte le sue cure perché potesse costituirsi uno Stato proprio sia pure a danno dello Stato della Chiesa.
Nel 1500, tre anni prima della morte per febbre malarica e durante il giubileo che vide a Roma anche Copernico, divise il regno di Napoli tra quello francese e quello spagnolo e chiese alla famiglia Colonna di collaborare a questa causa cedendo i loro castelli e, dinanzi al loro rifiuto, non solo prese i loro beni ma addirittura li scomunicò. In seguito fu il turno degli Orsini, le cui terre furono tolte e concesse al figlio Cesare, che da quel momento iniziò ad avere problemi con il re di Francia.
A causa della sua morte improvvisa, il piano di una Stato Italico guidato dal Valentino fallì e questi, dopo aver incautamente appoggiato l’elezione del Della Rovere al soglio di Pietro, fu costretto ha smettere la porpora e a fuggire per tutta Europa. Dapprima dovette giurare fedeltà al Sacro Collegio e per intercessione della Spagna, Pio III, Papa per un solo mese, gli lasciò, oltre al titolo di vicario e gonfaloniere, la Romagna.
Poi Giulio II, gli tolse ogni privilegio e lui, fiaccato alla sventura e dalla malattia, fattosi irresoluto, fu imprigionato una prima volta nel 1503 e poi, rifugiatosi a Napoli (1504), fu arrestato ancora per sollecitazione dello stesso, e inviato in Spagna, fuggì presso il cognato re di Navarra (1506) e l’anno dopo finì la sua vita combattendo con grande valore sotto il castello di Viana.
Ritenuto da Macchiavelli il Principe per eccellenza, audace, senza scrupoli, capace di organizzare rapidamente una trama diplomatica o un governo, la sua straordinaria fortuna fu legata alla situazione del padre pontefice,; cosicché il comportamento debole e incerto dell’ultimo periodo va visto soprattutto in relazione al venir meno di questo appoggio.
Sono lui e Rodrigo le figure centrali dello sceneggiato in nove puntate “I Borgia”, diretto e scritto da Nei Jordan, in onda la domenica su La7, che non è piaciuto allo storico e scrittore Luigi Alberto Gandini, ma che, anche con l seconda puntata, ha toccato una share di quasi cinque punti che non è male per l’emittente televisiva.
Oltre ad una splendida scenografia ed una direzione attoriale minuziosa e attenta, lo sceneggiato tratteggia bene anche le cosiddette figure minori.
Quella di Vanozza Cattanei, giovane di eccezionale bellezza, amante de l’allora cardinale Rodrigo, madre dei suoi quattro figli, costretta, dopo l’elezione a Papa a farsi da parte per non essere motivo di scandalo; donna testarda e gelosa, che mal sopportava le numerose relazioni di Rodrigo e l’umiliazione di essere tenuta nascosta come un segreto scabroso.
Ancora, Giulia Farnese, è nota nelle corti di tutta Italia come “Giulia la bella”, giunta a Roma in pellegrinaggio e che divenne presto l’amante di papa Borgia, che la colmò di ricchezze e privilegi, riuscendo in questo modo a fare la fortuna della propria famiglia, destinata ad avere un ruolo fondamentale nella politica italiana degli anni a venire. In Vaticano strinse amicizia con Lucrezia e riuscì ad allontanare ulteriormente Vanozza dal papa. Dietro l’apparente innocenza nascondeva una sfrenata ambizione e tuttavia l’amicizia che la legava a Lucrezia era sincera, al punto che Giulia si impegnerà in prima persona per sottrarre Lucrezia al funesto matrimonio con il violento Giovanni Sforza.
E, ancora, Michele Corella, detto “Michelotto”, scelto da Cesare come suo sicario personale, prima al servizio del loro acerrimo rivale Della Rovere, che servì i Borgia con fredda e spietata efficienza, dotato di una contorta ma profonda religiosità, che lo spinse a credere di agire per ordine diretto di Dio attraverso la volontà di Alessandro VI.
Infine, Giuliano Della Rovere, anch’egli possibile successore di Innocenzo VIII, uomo ricco e influente, colto e mecenate, alleato con il re di Francia, che mai si rassegnò alla sconfitta e decise di fare qualsiasi cosa per rovesciare il papato di Alessandro VI, che egli considera vizioso e indegno di ricoprire la carica di successore di Pietro.
E per perseguire il suo scopo non esitò a ricorrere a mezzi moralmente discutibili e non dissimili da quelli del suo rivale.
D’altra parte l’impercettibile confine fra bene è male è sempre stato uno dei temi cari a Neil Jordan, affrontato in modo coraggioso in “The Brave One”, con Jodie Foster, dove l’irlandese va oltre “Taxi Driver”, giungendo alle estreme conseguenze della amoralità generata da folle disperazione in una umanità davvero disperata.
In quel film (“Il buio nell’anima” in Italia), Jordan affrontare un tema politicamente e spalma il bene e il male su tutte le minoranze di New York: la protagonista una donna bianca, il suo fidanzato è un giovane medico di origine indiana, il poliziotto buono è nero, le vittime di Erica (i cattivi) sono bianchi adulti affermati e ragazzi neri di periferia, i teppisti del parco sono ispanici, ma ispanica è anche la ragazza che la aiuta.
Difficile dare giudizi e dire chi è davvero buono e chi cattivo. Intervistata nel 2007 sul film, Jodie Foster dichiarò: “da giovane pensavo in bianco e nero; ora vedo le sfumature, la complessità delle situazioni. E se per molti il problema della sicurezza nelle metropoli è drammaticamente presente nella quotidianità, io a Los Angeles, la città dove vivo, mi sento strasicura e sono convinta che New York è in assoluto la più sicura delle metropoli. Eppure, in profondità, tra le persone scorre una corrente di paura che finisce per impadronirsi di loro”.
Nel finale del film c’erano tre opzioni possibili: che Erica venisse punita; che Sean morisse a causa delle azioni di lei; e quello effettivamente girato, in cui Jodan ha voluto ribadire che la vendetta è nell’aria e che molte persone la fanno franca e che i sentimenti di violenza e vendetta hanno origini antiche ed antiche, irriducibili fascinazioni.
In fondo tutto questo è anche ne “I Borgia”, anche se riguarda una storia di più di 5 secoli fa.
Anche in uno dei suoi primi successi (“In compagnia del lupi”, 1984), tratto dalle storie “di licantropi” comprese nella raccolta La Camera di Sangue di Angela Carter, radicalizzazione della favole di Cappuccetto Rosso, la forza dell’immagine duale della ragazzina vestita del colore della passione, “del sangue”, contrapposta alla ferocia incoercibile della belva che, lungi dall’essere rappresentata con connotati diabolici (se non verso la fine del racconto), del diavolo adotta la capacità mimetica, il travestimento, onde irretire la vittima e portarla a cedere volontariamente alla violenza e alla fine, è un discorso aperto ed ambiguo su bene e male che ci costringe a riflettere, al di là di ogni edulcorante semplificazione.
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