(Carlo Di Stanislao) Esce domani nei cinema (in Abruzzo, al Massimo di Pescara), dopo aver vinto alla “Semaine de la critique” a Cannes, dove ha incantato per la fotografia di Ciprì e lo stile bressoniano ed insieme innovativo dei due registi (allo loro prima opera), Fabio Grassadonia e Antonio Piazza e per essere riuscito nella difficile scommessa di fondere uno stile ultra-realista con lunghi piani sequenza che pedinano il protagonista (molto bello quello del suo ingresso nella casa dell’uomo da uccidere), con una lettura “magica” della realtà, dove l’amore finisce per superare la crudeltà del mondo e, come nel toccante finale di ‘Lucky Star’ di Borzage, la forza dei sentimenti riesce a superare i limiti del corpo.
Ma “Salvo”, prodotto da Massimo Cristaldi e distribuito dalla Goods film, ha per noi abruzzesi un altro motivo di interesse: la splendida interpretazione della ventiduenne pescarese Sara Serraiocco, nel ruolo di Rita, ragazza cieca ed insieme solare, che farà breccia nel duro cuore del killer interpretato con bravura dal palestinese Saleh Bakri.
Splendida la lezione, drammaturgicamente ben sviluppata: nel mondo dove Salvo e Rita hanno sempre vissuto, l’amore e la libertà sono i doni più pericolosi e la nuova debolezza di Salvo è un pericolo che infrange i codici e le regole del mondo cui appartengono e che pretende di restare immutato nelle sue leggi.
Felicemente e sorprendentemente diverso da ogni altro film sul tema, “Salvo” è l’opera prima di due esperti sceneggiatori, che sono riusciti a raccontare una storia di Mafia parlando il linguaggio dei grandi generi cinematografici e incrociando la tradizione francese e americana all’epicità e all’ampio respiro del cinema orientale più rarefatto. Dal noir alla Jean-Pierre Melville agli spaghetti western, da Kitano alla black comedy, un film che racconta l’amore e la Mafia, con due protagonisti che sembrano destinati al fallimento in nome di una hybris che ha portato lontano dal seminato quelli che li hanno preceduti, ma che invece, con caparbia tenacia, rendono possibile un doppio miracolo: riacquistare la vista e cominciare a vedere veramente, perché solo vedendo in profondità si può intervenire sulla realtà o, almeno, immaginare di farlo.
Sara Serraiocco è bravissima, nonostante sia la sua prima parte importante (studia ancora al Centro Sperimentale di Cinematografia e si occupa di danza e di teatro fin dalla più tenera età), tracciando un personaggio con l’angoscia di un animale braccato, con mani che toccano superfici che non conoscono, teste martellate da discorsi assurdi e rumori amplificati che finiscono per assordare.
In lizza per il Film Festival Opera Prima di Roseto degli Abruzzi (al via il 14 luglio), “Salvo” dovrà vedersela con altri eccellenti film usciti in questi ultimi tempi. Non tanto “Ci vediamo domani” di Andrea Zaccariello o “Tutti contro tutti” di Rolando Ravello, ma RazzaBastarda” di Alessandro Gassman, “La città ideale” di Luigi Lo Cascio e “Miele” di Valeria Golino.
Di ben altra pasta (e sostanza, dato il budget da 225 milioni di dollari), è “L’uomo d’acciacio”, nelle sale dal 20, reboot di Zack Snyder che la Warner ha affidato, nel ruolo di produttore esecutivo, al “revisionista sacrilego” Cristopher Nolan, con sceneggiatura scritta da David S. Goyer, che con Nolan ha lavorato alla partitura de “Il cavaliere oscuro”, aiutato, nella fase finale, da Kurt Johnstad, collaboratore di Snyder in 300 e, ancora, sempre con Goyer, autore del reboot di “Godzilla”, che sarà la prossimna fatica di Snyder.
Il film, ancor prima di uscire (negli USA già il 14 giugno), ha fatto incassare 170 milioni di dollari alla Warner grazie ai partner commerciali: Mattel, Gillette, Chrysler, Converse, Lego, Fisher Price, Nokia e, addirittura, la Guardia Nazionale statunitense.
Campione d’incassi ovunque, “L’uomo d’acciaio” ha come protagonista il giovane palestratissimo Henry Cavill e, ancora, Amy Adams, Russell Crowe, Diane Lane, Kevin Costner, Michael Shannon, Antje Traue, Ayelet Zurer e Laurence Fishburne.
Nel pantheon dei supereroi Superman è certamente il personaggio più riconoscibile e riverito di tutti i tempi.
Qui si racconta di Clark Kent/Kal-El, giovane intorno ai vent’anni che si sente alienato dai suoi poteri che oltrepassano qualsiasi immaginazione. Trasportato tempo fa sulla Terra da Krypton, un pianeta tecnologicamente avanzato e distante, il giovane Clark è attanagliato dalla domanda “Perché sono finito quaggiù?”. Plasmato dai valori dei suoi genitori adottivi, Martha (Diane Lane) e Jonathan Kent (Kevin Costner), Clark scopre che l’avere delle straordinarie abilità conduce a dover intraprendere delle difficili decisioni. E quando il mondo è in estremo bisogno di stabilità, ecco sorgere una minaccia ancor più grande. Clark dovrà diventare l’Uomo d’Acciaio per proteggere le persone che ama e per ergersi a salvatore del genere umano.
Il film, certamente accurato, ha comunque delle pecche. Due ore sono troppe e troppo lungo è il combattimento finale.
Interessante, invece, la rappresentazione del super-eroe come di un alieno, un estraneo che cerca di stare il più lontano possibile dal resto dell’umanità: certamente un interessante e noliano stravolgimento rispetto alla psicologia del personaggio che, invece nei fimetti e nel cinema precedente, ama profondamente gli uomini e si sente un essere umano prima che un superuomo.
La partenza è eccellente ed eccellente la capacità di “pensare in grande” di Snyder o Nolan, ma spiace che, soprattutto come dicevamo nella parte finale, tutto si trasformi in uno scatolone che ricorda i “Trasformers” di Michael Bay, e, dopo l’incipit folgorante, chiamo lo spettatore ad una gara di resistenza.
Alla fine ci sentiamo di dare a questo film, uscito a 75 anni dalla creazione, da parte di Jerry Siegel, dell’eroe volante ed indistruttibile per eccellenza, solo un buono, anche a causa del protagonista, Henry Cavill, il Teseo di Immortals e il Charles Brandon della serie tv I Tudors, che non sa dare il necessario spessore al personaggio.
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