(Di Carlo Di Stanislao) E’ stato un mito della mia generazione, latin lover impenitente e conquistatore di donne del calibro di Brigitte Bardot, animatore delle notti di Saint-Tropez e di quelle a L’Escalle, con Dino Fabbri, Renzino Avanzo, Paolo Vassallo e, molto spesso, Jacqueline de Ribes, Marina Cicogna, Florinda Bolkan (allora ancora quasi sconosciuta e molto bionda), Nathalie Delon( che però era ancora Barthélemy) e finanche Gianni Agnelli.
La Francia aveva messo in campo un esercito di professionisti della conquista che ruotava attorno ai fratelli de Barges, miliardari e un po’ arroganti, proprietari dell’Epy Plage, una spiaggia esclusivissima. E che dvano feste con la crème tropézienne e scatenavano nelle notti brave Philippe Junot, futuro sposo di Caroline di Monaco e Alix Chevassux, compagno di Françoise D’Orléac.
Ma noi, con Gigi (Rizzi) e Willy (Rizzo) facevamo terra bruciata e li battevamo su tutto, soprattutto nell’accapararci le donne più famose e più belle.
Leggendo delle loro imprese, che spesso passavano anche nei cinegiornali (ma in tv no, perché era il tempo del moralismo bigotto), sognavamo un futuro da avventurieri, con champagne, yaght e belle donne, assediati da fans e fotografi, che spiavano ogni gesto, ogni nostro respiro.
Gigi Rizzo è morto l’altro ieri, a soli 68 anni, con alle spalle una vita intensa da bello e dannato, conquiste e periodi neri, fatti di droga, gioco d’azzardo e problemi con la giustizia, fino al clamoroso scandalo della discoteca Number One di Roma, quando venne trovata cocaina nei bagni e il locale fu chiuso.
Era la metà del cupo settanta e lui capì che doveva cambiare aria. Se ne andò in Argentina, dove lo spirito alla Rubirosa era meglio compreso e lì fondò un’azienda agricola, da dove non si mosse fino al 2004, quando tornò in Italia, per partecipare allo show televisivo la Fattoria.
E’ morto all’improvviso, il 24 scorso, mentre si godeva il sole nella sua Saint Tropez, a casa di amici, con la sua quarta, bellissima moglie, Dolores Mayol, che ancora era gelosa di lui e non gli permetteva mai di parlare dei suoi trascorsi, soprattutto di quelli alla Mandrague, dove aveva issato, per l’orgoglio di tutti noi, il tricolore, passando alla storia, come Che Guevara e Bernard.
Negli ultimi anni viveva sulla Costa di Levante e si faceva chiamare Luigi, con una metamorfosi stupedacente, che aveva trasformato il vecchio dragueur in un serissimo uomo che si avvicinava ai giovani per metterli in guardia dai rischi della cocaina, che credeva nella vera amicizia, che rideva e sorrideva e sapeva parlare con gentilezza alle signore, che non si vergognava delle rughe, che sognava continuamente una rivincita, un riscatto si domandava ancora che cosa avrebbe fatto da grande.
Ha ragione chi ha scritto che con lui i latin lovers hanno compiuto l’ultimo giro di valzer, sepolti dall’ideologia e dall’impegno, con singoli anni vissuti col valore e la consunzione di dieci e con una gioia di vivere tetragana a tutto.
Quattro anni fa, nell’estate del 2008, è uscito “Ho ammazzato Gigi Rizzo”, libro-intervista scritto con Giangiacomo Schiavi, dove si raccontava un sessantotto di feste e non di impegno, ma pur esso, a suo modo rivoluzionario, liberatorio rispetto a certi tabù, divenuto in breve “minoritario” rispetto a quello politico della contestazione globale, eppure importante come lo furono Flower Power e l’Era dell’Acquario, meteore fugaci che pure produssero opere considerevoli e smarrite, come Oh Calcutta e Hair, Jesus Christ Superstar, eclissate dall’impegno e dalla cultura on the road, da Kerouac, Bob Dylan e Joan Baez; ma non per questo meno rivoluzionarie ed importanti.
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