(Di Carlo Di Stanislao) Pronostici rispettati allo Strega 2013: vince con “Resistere non serve a niente” Walter Siti, secondo Alessandro Pasinotto con “Le colpe dei padri” e terzo, con Mandami tanta vita”, Paolo Di Paolo.
Fuori da podio le due donne: Romana Petri con “Figli dello stesso padre” e Simona Sparaco con “Nessuno sa di noi” .
Eccellente nel ruolo di presentatore-intervistatore Antonia Capranica, grande lettore ed appassionati di libri che, da poc, o ha pubblicato un nuovo interessante saggio per Sperling & Kupfer: “Ci vorrebbe una Thatcher“, in cui racconta, con eccellente stile, della Lady di Ferro che, con una fede incrollabile nel liberismo, somministrò al Regno una medicina amarissima, fatta di tagli alla spesa, privatizzazione delle aziende statali e deregulation, ma che si rivelò grandemente efficace.
Tornando allo Strega, giunto alla sua 67esima edizione, introdotto da Terza Pagina, il programma settimanale di Rai Educational che si occupa di illustrazione, lettura e commento delle principali pagine culturali della stampa italiana, con una lunga puntata dedicata ai cinque scrittori finalisti, con, in studio, accanto al conduttore Paolo Fallai, giornalista del Corriere della Sera, Franco Cordelli, scrittore e critico e Andrea Caterini, scrittore, con numerosi contributi video, anche storici, che hanno illustrato le più importanti edizioni del premio, gettando nel contempo uno sguardo alle polemiche che ogni anno investono l’iniziativa; ha prodotto anche quest’anno i soliti malumori, con un duro attacco di Aldo Busi, rimasto fuori col suo “El especialisti de Barcellona”, che ha riempito di contumelie il libro di Siti, si è rifiutato di partecipare alle tappe di presentazione dei dodici candidati e infine ha accusato la propria casa editrice, la Dalai, di non averlo appoggiato a sufficienza.
Poi, la solita tirata generale sul fatto che, come in tutti i premi letterari (con la eccezione, si dice, del Calvino), tutto è deciso dagli editori, sicché, dopo la vittoria 2012 di Piperno (Mondadori), era normale quella di Siti (Rizzoli).
Qualche mormorio si era già levato con l’abbandono della giuria da parte di Emanuele Trevi, secondo classificato dello scorso anno, motivato con l’insostenibile insistenza delle case editrici sulla selezione di finalisti e vincitori. E Inge Feltrinelli si era accodata, accusando l’organizzazione dei candidati allo Strega di essere “un po’ mafiosa”. Comunque il libro di Siti è meritorio e gli altri quattro piuttosto interessanti.
Ciò che più ha colpito, invece, è stata l’assenza al Ninfeo, per la serta finale, del nuovo sindaco di Roma Marino, mentre erano presenti due ex sindaci: Alemanno e l’abbrozantissimo (come la moglie Palombelli) Rutelli, oltre che al solito Meli e a tutto l’apparato RCS che, dopo un digiuno di due lustri, è tornato a vincere.
Per la verità, senza voler aizzare le polemiche e tenendo conto che il libro di Siti l’ho trovato folgorante, già prima della selezione dei dodici finalisti, si parlava dell’abbinata Siti-Rizzoli (l’anno scorso il premio era andato a Piperno-Mondadori e Rizzoli non vinceva, come detto, da 10 anni), ma, comunque, tra i cinque nomi arrivati in vista del traguard, Siti si è meritatamente aggiudicato i 50 mila euro messi in palio e la magnum di liquore Strega, dalla quale per tradizione il vincitore beve dopo la proclamazione.
Chissà perché, però, dopo la diretta in tv, ho avuto voglia di rivedermi “Hansel e Gretel cacciatori di streghe”, uscito a maggio, con il belloccio Jeremy Renner e la ancor più belloccia Gemma Arterton, un trash/ splatter che, appena dietro la porta di marzapane che, ghiotti, non vediamo l’ora di assaporare, nasconde un rovesciamento letterario che, strizzando l’occhio allo steam-punk, riesce ad essere molto più convincente ed originale di tanti altri prodotti del filone recente “fiabe modernizzate”.
Ora, siccome tutto ha un senso, mi sono chiesto il perché abbia sentito la voglia, dopo Lo Strega, di riguardarmi il DVD “pirata” di questo film e una spiegazione me la sono data, dicendomi che ciò che cerco (e spesso non trovo) nelle espressioni (letterarie e artistiche più in generale), anche quando sono di buona fattura, è una “visione postmoderna” che possa definirsi “anniventizzata”, capace cioè di superare quella che Fredric Jameson chiamava “cinquantezza” e che lega la letteratura e l’arte, a modi, forme e contenute di mezzo secolo fa.
Uno che ci ha provato ad essere diverso è stato Tabucchi, non a caso dimenticato in Italia e amato in Francia, con pochi o forse nessun erede capace di credere ancora alla forma romanzo, ma anche di lasciare che la letteratura sia invasa da altri linguaggi.
Forse lo fa Andrea Bajiani che, non a caso, su “Il grande spot” in “Scrivere sul fronte occidentale” (Feltrinelli), avverte che bisogna: “ridare alla letteratura quel che era suo: la possibilità di agire nel mondo, di avere un impatto all’esterno. […] Deve tornare a farlo. Reinventarsi un linguaggio che non sia de-realizzante, ma iper-realistico. Sfondare, uscire dal suo giardino, abbattere le transenne. Far sobbalzare. Mettere sotto shock. Ecco il nuovo realismo che passa attraverso il caos”.
Ora, in parte, nel libro di Siti questo tentativo di linguaggio iperealistico e caotico c’è, ma non c’è, ad esempio, né in Pasinotto né in Di Paolo, soprattutto in quest’ultimo, che con uno stile curatissimo e un romanticismo ai limiti del retorico, ha scriito un romanzo zuccheroso e senza perturbazioni e che ancor più irrita chi, come me, ha amato Gobbetti, il suo antifascismo antiretorico e culturale, che avrebbe meritato una narrazione ucronica, una visione postmoderna e non imprigionata in una dimensione edificante.
Come edificante e trita è l’idea del doppio che muove Perisinotto nel secondo classificato: “Le colpe dei padri”, storia vagamente pirandelliana, attraverso la quale si fanno rivivere le atmosfere culturali, industriali e post-industriali di Torino: dagli anni sessanta, passando per gli anni di piombo, sino ai drammatici giorni della crisi odierne, con intersezioni psicologiche, socio-economiche e storiche che imbastiscono una vicenda personale tragica ma risaputa, prevedibile e senza veri sussulti.
Anche la tecnica narrativa (come per Siti) è arcinota: è lo stesso Perissinotto che racconta, senza però le finezze sorprendenti dei suoi grandi concittadini Pavese o Natalia Ginzburg.
Né mi ha convinto di più Romana Petri con “Figli dello stesso padre”, dove la narrazione stenta a trovare un ritmo capace di conquistare, con dialoghi quasi teatrali, intervallati da accurate descrizioni, che hanno l’unico pregio di allontanare chi legge dall’empatia verso i protagonisti.
Chi mi è piaciuta di più è stata la “tabucchiana” (non a caso), Simona Sparaco, che vive tra Roma e Lisbona, viaggiando sempre con il suo gatto Ulisses, trovato 3 anni fa in un sacchetto di plastica azzurra accanto a un cassonetto; scrittrice e traduttrice, finalista allo Strega anche nel ‘98 con “Alle case venie”; giunta ultima della cinquina con “Nessuno sa di noi” (che però è il libro più venduto fra i finalisti di quest’anno), racconto di una esperienza dolorosa e riflessione sulla natura e sulla vita che sono entrambe potenti e, a volte, feroci.
“Nessuno sa di noi” è una travolgente storia d’amore tra un uomo e una donna e tra una donna e un figlio che non c’è, raccontata con coraggio e scritta senza enfasi, per non schiaccare la storia con le parole, per andare oltre il ricatto del contenuto e trasformare la testimonianza in altro.
Interessante è il non-stile del racconto, in cui si mescolano, con acume innovativo, una serie di luoghi comuni, espressioni colloquiali, frasi e metafore kitsch, per comporre una archittettura verbale che, simulando una dimensione letteraria, è quella che facilmente si potrebbe trovare su una timeline di facebook o su qualche messaggio scambiato su WhatsApp.
Anche la punteggiatura è straordinariamente e volutamente sbagliata ed antiletteraria, composta come quella delle mail, fatta per enfatizzare i dialoghi da cose televisive a cui, ormai, noi tutti, comunque, facciamo riferimento nel nostro quotidiano.
Ho trovato bellissima in “Nessuno sa di noi”, l’idea di alternare ai capitoli le lettere del forum o quelle inviate alla protagonista, dalle lettrici della rubriche che lei, giornalista, gestisce su un settimanale e profondissima la riflessione secondo cui: si può donare la vita ma non la sopravvivenza, preparata come in un film, con parole che compongono immagini in avvicinamento, con piano sempre più stretti sulla protagonista.
Non a caso la Sparaco è anche sceneggiatrice e dopo aver preso una laurea inglese in Scienze della Comunicazione, spinta dalla passione per la letteratura, è tornata in Italia e si è iscritta alla facoltà di Lettere, indirizzo Spettacolo, per poi frequentare diversi corsi di scrittura creativa, tra cui il master della scuola Holden di Torino.
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