(Di Carlo Di Stanislao) Ieri, in prima serata, Iris lo ha ricordato con “Onora il padre e la madre” e stasera Rai Movie replica alla concorrente Mediaset con la sua unica regia: “Jack Goes Boating”, adattamento del testo omonimo scritto da Robert Glaudini che è anche sceneggiatore della pellicola e vede nel cast oltre allo stesso Philip Seymour Hoffman, anche Daphne Rubin Vega, Hohn Ortiz e Amy Ryan.
Uscito nel 2010, è un racconto di vita comune, che non ha bisogno di pescare nello stravagante o nell’incredibile per descrivere una tardiva ma felice accettazione di sé, con una straordinaria prova attorale di Hoffman e la bellissima musica dei Fleet Foxes.
Ha ragione Carlo Gerofolini che nel suo commento al film che è l’unica “circumnavigazione” di Hoffman avanti e dietro la macchina da presa da luogo alla narrazione di emotività costretta a fare i conti con la ragione, mostrandoci uno straordinario uomo da palcoscenico, un artista che è riuscito ad imporsi rimanendo se stesso, cosa non facile in un mondo di lustrini, che comunque alla fine ha vinto, ingoiandolo nel buco finale della droga.
I protagonisti sono Jack e Connie, due 40enni teneramente problematici ed affetti da reciproca attrazione che portano in primo piano una diversità senza compromessi, con Jack che ha l’ingenuità di un bambino ed al limite dell’afasico mentre Connie è afflitta da perenne disistima, filmata con i tempi dilatati di chi intende andare oltre l’apparenza.
Lo spettacolo invero sembra più adatto al palcoscenico che al buio illuminato della sala, nonostante il tentativo di allargare al mondo esterno: New York e le sue strade ma anche Central Park e persino L’Hotel Waldorf Astoria, che rientrano nella topografia di una metropoli come al solito protagonista, ma senza l’ispirazione di un Allen, né la novità di uno Spike Lee, né il rigore di un Lumet o di un Levinson.
Quest’anno, al Sundance, Hoffman ha presentato due film che non hanno vinto ma sono molto piaciuti. Stasera sarà commemorato anche da La 7 D con il film-capolavoro, con cui ha vinto Oscar e Golden Globe, “Truman Capote-A sangue freddo”. Intanto lo spettacolo continua e produttori e protagonisti di Hunger Games 3, film in cui ha recitato nel ruolo di Plutarch, approfittano del clamore della sua morte per un po’ di pubblicità aggiuntiva.
E’ stato il miglior attore della sua generazione, protagonista e comprimario, straordinario in ruoli drammatici, comici, in film d’avventura, di fantascienza, biografici, commedie, incredibile trasformista con una vita privata blindata, una moglie e due figlie ed una esistenza che poco o niente aveva a che fare con lo star system, niente spot, niente gossip.
Come ha scritto qualche mese fa, l’eroina è la bestia di sempre, un viaggio da cui è fatico tornare. Una inchiesta di Fabrizio Gatti dice che l’eroina è esplosa fra i giovani sotto forma di brown-sugar, da sniffare o da inalare sulla carta stagnola.
Ad uccidere Hoffman ci dicono le cronache è stato un cocktail mortale di eroina e fentalyl, una miscela che in America è sempre più letalmente diffusa.
Secondo uno studio della Substance Abuse and Mental Health Services Administration, tra il 2007 e il 2012 gli americani da 12 anni in su che consumano eroina sono aumentati da 373.000 a 669.000, ossia circa il doppio. Da notare l’età di partenza, 12 anni, perché l’epidemia sta esplodendo anche li soprattutto fra i giovani.
Hoffman dopo 21 anni ci era ricaduto ed aveva provato a desuaseffarsi, ma senza risultato, anche perché, com’è noto, essa danneggia soprattutto i neuroni legati alla memoria a lungo termine, quelli legati alla volontà e all’autosufficienza e il risultato è un oso sempre più alto, fino a quello che può essere mortale.
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