(Di Carlo Di Stanislao) In attesa della fatidica data del 3 marzo, notte in cui saranno assegnati gli Oscar, continua la marcia trionfale de “La grande bellezza” di Sorrentino, applaudito a Cannes, premiato ai Golden Globes ed ora vincitore al BAFTA 2014 come migliore film straniero.
Sorrentino ha dedicato il premio al prematuramente scomparso Carlo Mazzacurati, in una sala gremita ed elegantissima del London Royal Opera House, con presente anche il principe William, al suo debutto a un evento cinematografico mondano.
Gli inglesi non hanno risparmiato applausi calorosi a The Great Beauty rappresentata sul palco da Sorrentino e dai produttori Francesca Cima e Nicola Giuliano, sicché diventano ancora più imbarazzanti, dopo questo ennesimo successo, le riserve dure di certa critica nostrana ad una opera magnifica, premiata assieme a “12 anni schiavo” di Steve McQueen, che ha vinto come miglior film e attore protagonista e a “Gravity” , che ha ricevuto con sei premi: miglior film britannico, migliore regia ad Alfonso Cuaron, fotografia, colonna sonora, suono ed effetti visivi.
Ad American Hustle tre riconoscimenti (attrice non protagonista Jennifer Lawrence, sceneggiatura originale e trucco), mentre la miglior attrice protagonista è risultata Cate Blanchett per Blue Jasmine e a Philomena di Stephen Frears il premio per la miglior sceneggiatura adattata e al veterano Peter Greenaway il BAFTA per il “British contribution to cinema in 2014”.
Tornando al film di Sorrentino, è evidente colme sia piaciuto al mondo anglofono (ma anche spagnolo, dato il successo strepitoso nell’Amerikca del Sud) questo melanconico ritratto di una folla dalle vite naufragate nel denaro e nella menzogna, che ha dimenticato la vera bellezza ed il talento e la sensibilità, dalle vite scontante e prove di senso, intaccate e corrose da indifferenza e corruzione.
Assomiglia al celebre romanzo di Cèline questo capolavoro italiano, un viaggio al termine del nulla, con una capacità narrativa che supera Faubert, citato due volte, che non riuscì a scrivere il nulla mentre Sorrentino (con Contarello, Servollo e gli altri) ci riesce.
U film con due città: la Roma capitale della cultura e del turismo, popolata da macchine fotografiche e giapponesi intenti a catturare quel che resta di un passato glorioso ormai estinto; quella dei proletari che si sciacquano le mani in una fontana pubblica; quella dei colpi a salve sparati dal cannone del Gianicolo. Ed un’altra, quella da bere dell’élite che guida il paese facendo trenini nelle terrazze che s’affacciano sul Colosseo.
“Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla”, dice Jep il protagonista.
E come dargli torto (e dare torto a Sorrentino), dal momento che abbiamo preferito la vacuità ai contenuti e nella vacuità e nella vanità non c’è spazio per la bellezza, e l’arte, senza bellezza, è spacciata, non ha più tanto senso, tanto meno come provocazione fine a se stessa – una capocciata contro un muro di gomma piuma – o come esibizione di sé – un recital per l’amore ma senza amore.
Allora, perduta la bellezza, non resta che fuggire, come faranno Romano (Carlo Verdone) e Viola (Pamela Villoresi) che abbandoneranno la capitale, oppure arrendersi allo stato delle cose, come Lello (Carlo Buccirosso), Trumeau (Iaia Forte) e Dadina (Giovanna Vignola), fingendo di vivere la migliore delle vite.
“Beauty is truth, truth beauty, – that is all Ye know on earth, and all ye need to know, ha scritto Jhon Keats a Roma, ma essendo inglese.
Per quanto non sia così importante, apriremo con questo film una riflessione sulla società italiana di oggi al cinema, il 18 marzo, con una rassegna settimanale di 4 film, curata dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, sponsorizzata dalla Bper e che si compone di: “La meglio gioventù”, “La prima cosa bella” e “Mio fratello è figlio unico”, sullo sfacelo sociale ed ideale della Italia confusa di questi ultimi anni.
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