Di Carlo Di Stanislao
“Ognuno vale quanto ciò che ricerca”
Marco Aurelio
Il 28 luglio scorso, nella splendida cavea del Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, un evento multimediale ha ricordato Tiziano terzani a dieci anni dalla morte, con una ricca e coinvolgente celebrazione come a lui sarebbe piaciuta, con musica, reading e brani inediti di Anam il senzanome: la sua ultima intervista. La moglie, Angela, Folco, Saskia Terzani, cuore e centro del commosso ricordo, ha ricordato la vita di Tiziano, spesa in mai paghi viaggi, fuori e dentro, ed il suo indomito impegno per la pace, oggi minacciata a Gaza, in Ucraina, Libia, Siria, Iraq ed in molti altri luoghi della terra.
Fosse ancora tra noi Terzani sarebbe dalla parte di chi vuole il disarmo, senza mediazioni o trattative, sarebbe dalla parte dei cristiano in fuga in Iraq e chiederebbe a gran voce la liberazione delle due giovani volontarie italiane rapite in Siria.
La curiosità ed il rispetto per tutti, le sue bussole nel corso di una esistenza intesa e breve, durante la quale la sua idea di destino si è formata raccontando se stesso e il mondo che lo circondava, con rispetto.
E’ forse questo che a dieci anni dalla sua morte colpisce sempre più fortemente, rileggendo la sua vasta produzione di articoli e libri, uno più interessante e intenso dell’altro, il suo scrivere in prima persona, il rito dei diari quotidiani appena pubblicati in collezione, la riflessione sui dettagli di una vita spesa in viaggio “fuori e dentro”, che non sono solo le chiavi del suo successo, ma l’emblema di un coraggio che mai si è nascosto.
Cancellare il proprio nome dall’associazione con il ‘circo Barnum’ mediatico che celebra artificialmente le persone ‘arrivate’ è sempre stato il suo scopo e perseguire gli ideali, verificando costantemente la realizzazione o il tradimento.
Aveva reso il suo cognome un brand non commerciale, ma invece fatto di cose buone, le cose fatte da un giornalista onesto dal cui stile e profondità possono continuare ad attingere parecchie generazioni di cronisti e scrittori.
Ieri sera, su Rai 5, una lunga puntata su Max Bord, l’amico che pubblicò i manoscritti di Kafka risparmiandoli dal rogo che voleva come destino il grande pragrese, colui che costruì un mito kafkiano oltre lo stesso Kafka, che aveva portato in Palestina i manoscritti che Kafka gli aveva consegnato quando si era trasferito lì nel 1939 e che ora, con una sentenza del tribunale, dopo una lunga, lunghissima vicenda, sono stato consegnati alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme.
Leggendo Kafka, come leggendo Terzani, pure così diversi negli spunti, nelle ispirazioni e nello stile, subito ci si interroga sulla relazione tra diritto e letteratura e viene subito in mente un terzo termine, senza che si sappia in anticipo quale statuto accordare alla cosa che designa: se quello di una disciplina, di un sapere o di un ordine del discorso.
Il termine è filosofi, che da lungo tempo e riflette sia sull’uno che sull’altra, poiché esiste una “filosofia della letteratura” come esiste una “filosofia del diritto”.
E così, di rimando in rimando, viene in mente la fabbrica del “Memoriale” di Paolo Volponi, che somiglia tanto al Castello praghese di Kakfa, immaginato dopo la morte del figlio Roberto, che ne aveva intaccato la fibra e pensato, come in Terzani ed in Kafa, come in Marc’Aurelio, come “un dialogo a se stesso”, capace però di insegnare a tutti.
E mi vengono in mente ora, fra personaggi tanto diversi, distanti e centrali, le parole che la Yourcenar fa dire al protagonista nelle “Memorie di Adriano”, nella lunga lettera immaginaria al piccolo Marco Aurelio, quando, troppo severo con se stesso, non si concedeva nulla dei frutti e degli svaghi che la vita poteva offrirgli : “mi chiedo a che ti serva tanta virtù, su quale scoglio ti infrangerai poiché è certo che ciò accadrà”, facendo intendere però, che tale controllo trova vantaggio già in se stesso.
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