Amore e sesso tra gli antichi romani
Il rapporto che gli antichi Romani avevano con l’amore era piuttosto ambiguo. Da una parte c’era la solenne istituzione del matrimonio, rispettata e protetta; dall’altro l’amore passionale, che si consumava fuori dalle mura domestiche, fatta da rapporti occasionali, che alimentavano la prostituzione.
La moglie, mater familias, non poteva dedicarsi alle ars amatorie, perché doveva preservarsi honesta; solo fuori dal talamo nuziale il maschio romano poteva dare libero sfogo ai suoi più reconditi desideri. È qui che si inserisce il ruolo, anche sociale, della meretrix che incarnava le fantasie sessuali più proibite.
L’atto amoroso poteva essere consumato ovunque. I luoghi per eccellenza del meretricio erano i lupanara (delle vere e proprie case chiuse). Soprattutto a Pompei ne sono stati trovati diversi, con ancora ben conservati e visibili gli affreschi erotici che li decoravano all’interno.
Qualsiasi luogo chiuso o aperto poteva andare bene per soddisfare gli istinti sessuali dei romani. Ad esempio c’era lafornatrix, la fornicatrice, che si prostituiva sotto gli archi (fornices) di circhi o ippodromi. A partire dal IV secolo d.C., dall’età di Costantino, i bordelli diventavano fonte di guadagno anche per lo Stato che aveva imposto una tassa, chiamata collatio lustralis, da pagare ogni cinque anni da parte o delle prostitute o del tenutario del lupanare.
L’imperatore Nerone aprì a Campo Marzio un villaggio del sesso, dove venivano organizzati banchetti, orge e spettacoli saffici. Una delle maggiori attrazioni dell’epoca era il porno acrobatico, un esercizio acrobatico hard, in cui due funamboli dovevano procedere lungo due barre di ferro tese tra due tavolini.
La donna, quasi completamente nuda, aveva il compito di raggiungere il tavolino su cui stavano un’anfora di vino e due boccali, camminando carponi. Dietro di lei un uomo, anche lui seminudo, la spingeva penetrandola analmente stando in piedi. Lo spettacolo andava bene se la donna riusciva a versare il vino e a offrirlo all’uomo per poi bere lei stessa, il tutto mantenendo l’equilibrio e facendosi penetrare.
Per la maggioranza delle società antiche e soprattutto nell’età classica, in particolare nelle antiche civiltà greca e romana, non esisteva una vera e propria differenziazione in base all’orientamento sessuale, quanto piuttosto al ruolo nel rapporto sessuale: in pratica l’identificazione sessuale, e le leggi che regolavano i rapporti, si basavano sul fatto che una persona ricoprisse un ruolo attivo ed associato quindi alla virilità e alla mascolinità, oppure uno passivo generalmente considerato come degradante e tipico della femminilità.
Di conseguenza agli antichi romani era sconosciuto il concetto moderno di omosessualità, in quanto non era importante che l’oggetto del desiderio fosse una persona del sesso opposto o dello stesso sesso, ma se quella persona ricopriva un ruolo attivo, associato alla virilità e alla mascolinità, oppure uno passivo. Molto probabilmente, quindi, su questa tematica non c’erano le polemiche e le criticità che ci sono oggi.
Lo sapevi che…
Nell’antica Roma le prostitute avevano l’obbligo di non indossare le vesti tipiche della matrona, come la stola, ma dovevano indossare la toga, un tipico abito maschile, sinonimo dell’emancipazione sessuale che le caratterizzava, avvicinandole così al sesso maschile.
Il lupanare pompeiano presenta piano terra e primo piano, ognuno con ingresso indipendente. Il piano terra era riservato ad una clientela di basso rango (schiavi e liberti), mentre al piano superiore c’erano stanze più ampie per una clientela più elevata. Sulla porta di ogni stanza era riportato il nome della donna e il prezzo della prestazione e un cartello di “occupata” serviva ad avvertire di aspettare il proprio turno. Il nuovo cliente spesso ingannava il tempo scrivendo sui muri.
Intorno al I secolo d.C. fu introdotto il divieto di usare, all’interno dei lupanari, monete con l’effige imperiale. Furono battute apposite monete che presero il nome di spintria, erano più precisamente tesserae eroticae, con le quali era possibile pagare le prestazioni sessuali alle prostitute.
Anticamente la contraccezione forniva alla donna solo poche possibilità: c’era il coitus interruptus, ma i medici lo sconsigliavano agli uomini perché considerato dannoso per l’apparato urinario, oppure alcuni metodi legati più alle superstizioni. Applicare come agente contraccettivo della lana con unguenti, oppure usare il pepe nero, applicato dopo il rapporto amoroso sul collo dell’utero, si pensava potesse impedire il concepimento. In realtà spesso le donne ricorrevano a pericolosissime pratiche abortive quali l’ingestione di pozioni a base di elleboro, assenzio o artemisia.
Un rituale molto bizzarro era praticato in casi di adulterio: al marito tradito veniva riconosciuto il diritto di sodomizzare l’adultero, anche pubblicamente qualora lo desiderasse.
(dire.it)
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