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Amore fra Oriente e Occidente

Amore fra Oriente e Occidente

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In cinese l’ideogramma amore si pronuncia “ai” ed è un piuttosto complesso, segno di una lunga riflessione su questo concetto. Al centro del carattere troviamo infatti il simbolo di il cuore “xin”, racchiusa dall’ideogramma “respiro” (nella parte superiore) e dal concetto di “movimento aggraziato” nella parte inferiore. L’amore quindi nella cultura cinese e’ una fonte inesauribile d’ispirazione che soffia la vita nel cuore e dona grazia e armonia all’intero corpo e alla nostra esistenza. Secondo Paolo Santangelo (L’amore in Cina, Ed. Hoepli, 1999) al centro della cultura letteraria cinese vi è sempre stato l’amore-passione, ovvero l’amore erotico, privo di quegli elementi di culto o di peccato che sono propri della cultura occidentale. Per questa cultura nel rapporto tra uomo e donna si riassume l’essenza del mondo. Ma per argomentare sull’amore occorre anche (e soprattutto, per noi), rifarsi alla radice ellenica della nostra cultura.

Il verbo “amare” viene utilizzato in rapporto a diverse esperienze: è possibile amare le persone, le cose, le attività. Per affrontare il tema è utile precisare preliminarmente la definizione di tre termini greci fondamentali per il nostro discorso: eros, philía, agápe. Eros è, innanzi tutto, dio cosmico, forza generatrice del mondo. Nel vivo dell’esperienza umana è pathos: indica l’amore sensuale, il desiderio di possesso fisico dell’altro. Secondo il mito platonico è un daimon, capace di colmare la distanza che separa la realtà sensibile dalla dimensione dell’eterno. Philía – quando il termine non è usato come sinonimo di eros – indica l’affetto dell’amico verso l’amico o degli dei verso gli uomini. Il termine agápe acquista rilevanza nel pensiero cristiano: contrapposto a eros, indica l’amore inteso come dono generoso e disinteressato, come carità: è l’amore di Dio e l’amore verso il prossimo. Di questi argomenti sono occupati in passato Esiodo, Platone, Aristotele, S. Agostino e S. Tommasso, generando un pensiero che, con molte sfaccettature, ha dato un valore assoluto all’amore, tanto, scrivono alucuni nuoveau phylosophes, da fare dell’amore una sorta di patologia che ha “rinsecchito” risorse demografiche e l’istinto di difesa.

Va qui detto che negli anni venti del secolo scorso, il tema dell’amore non solo si alimenta a fonti marcatamente spirituali o religiose come ad esempio in Scheler, Buber o Guardini, ma si sviluppa anche su basi più marcatamente descrittive, come nella filosofia della vita dell’ultimo Simmel o nei lavori di Jaspers, Löwith e Jonas. In tutti costoro (di marca aristotelico-agostiniana), il rapporto io-tu fondato sull’amore rimane valido per la sfera interna, privata, intersoggettiva, ma non per quella esterna, pubblica, politica. L’amore concepito come desiderio le risulta inadeguato. L’amore è primariamente un principio di orientamento, ed il rischio chi ama (e quindi desidera) è quello di pensare ai rapporti in termini di fini e di mezzi, trascurando in nome di possibili risultati futuri i rapporti reali che si svolgono nel presente. L’orizzonte ideale sembra essere quello di un rapporto libero da qualsiasi forma di rigidità, aspettative, prese di posizione arbitrarie. Per superare i limiti di un amore utilitaristico a due occorre accedere alla consapevolezza di uno “spazio comune”, ossia di uno spazio della conoscenza e dell’azione che sorga anche con la collaborazione delle altre persone, che permetta alla nostra vera essenza di disgelarsi rendendo giustizia all’invisibile vincolo che liberamente ci lega al prossimo.

Come già detto, più avanti, con i nuoveau phylosophes (Giullaume Faye in testa), l’amore è considerato come un’eredità cristiana laicizzata assolutamente negativa. Per costoro l’amore, sia personale sia collettivo, è una forma patologica ed enfatica della solidarietà che sfocia nel fallimento e, paradossalmente, nell’odio e nei massacri. Le guerre di religione e gli odierni fanatismi delle religioni monoteiste dell’amore e della misericordia ne sono una dimostrazione. Lo stesso comunismo totalitario era basato sull’ “amore del popolo”. Tra le nazioni bisogna avere degli alleati (provvisori), mai degli amici; tra individui è meglio dire “ti voglio bene” piuttosto che “ti amo” e rapportarsi secondo la logica dell’alleanza e non secondo la gratuità cieca – e incostante – dell’amore. Anche i politici sono portati al fallimento perchè la loro ideologia e le loro azioni sono inficiate dalle scorie dell’amore – buoni sentimenti, angelismo, umanitarismo, pietà, masochismo, altruismo distorto e ipocrita – invece di basarsi sulla volontà decisa di andare fino in fondo a qualunque costo. Questa civiltà, fondata implicitamente da molto tempo sull’artificioso concetto d’amore, dovrà un giorno ritornare all’allegoria di Don Giovanni, l’anti-amore per eccellenza.

Di diverso avviso Eric Fromm, il quale, oltre alla riflessione sui differenti modi di vivere dell’uomo in “Avere o essere”, formula una splendida disquisizione sull’arte di amare in un’opera dall’omonimo titolo che fa di lui, psicoanalista oltre che filosofo, uno tra i principali pensatori del ‘900. Oggetto della sua dissertazione non è, ovviamente, solo l’amore di coppia, ma quello che pervade, in diversa misura, tutte le relazioni umane. L’amore per il filosofo non è soltanto una relazione con un altro da sé in quanto oggetto d’amore, ma un’attitudine, un’inclinazione che determina i rapporti di una persona con il mondo. Nell’altro si ama il mondo intero, ci si apre a esso, non viceversa. L’innamoramento è, invece, l’imprevista e improvvisa caduta delle barriere tra due estranei, ciò da cui spesso deriva l’illusione dell’amore. Ciò che risponde al bisogno dell’uomo di ciò che non ha, di qualcosa che lo faccia sentire completo e, soprattutto, che gli faccia superare il paradossale e inevitabile senso di solitudine: con l’uscita dalla propria sfera privata, egli si introduce in quella pubblica attraverso il suo essere persona, ciò che lo rende, per definizione, un “animale sociale”.

L’essere perfettibile va alla ricerca della perfezione; l’essere libero e incondizionato va alla ricerca di condizioni e vincoli alla propria libertà, che pure vorrebbe sentirsi libero di scegliere. Il paradosso dell’essere incompleto, ma indipendente, separato, che esce dal proprio sé, si scioglie nel momento in cui si apre all’altro e si unisce a lui integrandolo nella propria personalità per recuperare la propria integrità, complessa e dinamica. Fromm discerne l’amore maturo e disinteressato di chi non cerca nell’altro parti non realizzate o perdute di sé, grazie ad azioni creative, tese a creare ogni giorno la propria vita integrando il mondo in un rapporto dinamico con se stessi. La libertà di espressione rende l’uomo ancora più autonomo e in continuo arricchimento. Il paradosso per cui la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare si scioglie alla luce della spiegazione di Fromm: per poter dare qualcosa di sé occorre credere in se stessi; se si donasse qualcosa in cui non si crede significherebbe essere falsi. O bravi venditori. Il dono, tra l’altro, assume maggior valore quando non rientra nella sfera delle cose materiali, ma si colloca unicamente nel regno dell’anima: dare se stessi ovvero la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, ma anche la propria tristezza, nobilita il proprio sé ancor prima che l’altro.

“Dare è la più alta espressione di potenza” perché regala a sua volta una sensazione di vitalità e potenza che riempie di gioia colui che dona; “dare dà più gioia che ricevere”: il fatto che in quell’atto ci si senta più vivi è testimonianza che ciò non è privazione, ma arricchimento. Vuol dire chiamare qualcuno a condividere la gioia di sentirsi vivi; far nascere qualcosa mentre “un senso di mutua gratitudine per la vita che è nata in loro unisce entrambe. Fromm distingue diversi tipi di amore chiamando in causa valori e concetti basilari, dai quali esso non può prescindere: la premura (o cura), la responsabilità, il rispetto e la conoscenza. Il primo elemento indica un inter-esse attivo per la vita e la crescita di ciò che si ama ed è paragonabile all’amore materno. Il termine “responsabilità” designa non un dovere imposto, bensì una risposta volontaria: la persona che ama risponde a un bisogno, anche inespresso, dell’altro. La parola “rispetto” deriva da “respicere”, che significa “guardare”: indica, cioè, la capacità di vedere e conoscere la vera singolarità di una persona e il desiderio che ella si realizzi per quello che è.

La conoscenza, infine, è animata/vivificata dall’inter-esse e si distingue in diversi gradi: in quanto aspetto dell’amore essa penetra in profondità ed è veramente possibile solo se ci si riesce ad annullare e a vedere l’altro quale veramente è. In altre parole, se si riesce a mettere da parte i punti di vista e le opinioni personali e ascoltare, comprendere le motivazioni intime dell’altro. Per questo esso richiede virtù come umiltà e coraggio, che derivano dalla propensione ad agire e dalla forza che ne consegue. L’amore per il nostro non designa un sentimento forte e assoluto, bensì una continua attività fondata su una scelta, una promessa, un impegno, dal momento che le sensazioni sono di per sé mutevoli. Il termine deriva in effetti dal verbo “amare” e indica pertanto un’azione, che spesso è solo mentale: l’attività dell’anima è in effetti la più nobile e alta: una persona che sia indipendente, mentalmente libera e in atteggiamento di meditazione, dunque in uno stato contemplativo, arricchisce la personale esperienza e unità con il mondo più di quanto ogni azione fisica possa fare.

Fromm trasferisce nella mente di chi scrive e di chi da tempo ama la peculiarità della sua filosofia come della sua psicoanalisi l’immagine di un uomo che lungo il suo percorso lascia orme dei suoi passi e si volta indietro a raccogliere parti di sé ormai perdute. Un’idea di incertezza e fragilità che va oltre l’essere carente e imperfetto dell’uomo sconfinando nel tempo caduco della sua vita terrena. Nel suo cercare in altri ciò che non ha o ciò che ha perduto, l’uomo è doppiamente bisognoso di amore. Potrebbe essere strumento di autoanalisi chiedersi se si possa trovare in sé ciò che si trova di interessante nell’altro? Se la risposta è positiva allora potrebbe verificarsi una diminuzione dell’interesse nei confronti di questa persona. Una risposta negativa, d’altro canto, non basterebbe a testimoniare la validità del rapporto, ma potrebbe essere un motivo in più per impegnarsi nella costruzione di un rapporto, in termini frommiani, “maturo”. E duraturo. Secondo Fromm un rapporto maturo è “unione a condizione di mantenere la propria integrità, la propria individualità”. Aggiungiamo alla citazione, la propria libertà di essere.

Ora sappiamo che, a parte gli indirizzi e gli scismi, l’intera massoneria, come oggi la si intende, persegue i principi di amore fraterno, soccorso e verità. Questi tre cardini ruotano sull’asse di un elemento unico e imprescindibile: l’uomo; uomo in qualità di individuo nato incompiuto, ma dotato di marcature razionali e spirituali potenzialmente elevate, costantemente in tensione verso il perfezionamento dell’essere. L’allegoria potente di simboli massonici, quali il compasso, la squadra, la leva o la cazzuola, è evidente nella loro capacità di raccogliere proprietà matematiche, geometriche e architettoniche. Oggetti sacri, per coloro che credono, nel dovere da adepto, di costruire “pietra per pietra” il mondo, perfezionando sè stessi nella conoscenza dell’io e dell’universo, impiegando come malta o cemente un unico sentimento: l’amore. Questo amore, più propriamente, si traduce in tolleranza e rispetto nei confronti delle opinioni altrui e deve generare un comportamento cortese e comprensivo verso tutti i simili. Inoltre da questo amore scaturisce ciò che i primi massoni chiamarono carità: ognuno deve prodigarsi nella società con opere di bene, offrendo contributi o meglio il proprio lavoro volontario.

Aiutare un Fratello che è in stato di bisogno è un impegno del Libero Muratore, ma attenzione: le raccomandazioni e i favoritismi sono considerati contrari alla morale massonica. Com’è noto gli obiettivi della massoneria sono principalmente 3: edificare il Tempio, ossi accrescere il proprio spirito interiore, divulgare il pensiero positivo, ed espandere i principi di fratellanza, ma tutti si basano sul principio dell’amore. Pertanto la strada che il framassone deve seguire è quella, anche se difficoltosa, lastricata d’amore. Ma questa strada è la più difficile, irta di difficoltà. Forse la chiava è nel ribaltamento della coscienza operata dalla crescita alchemica progressiva,. Forse il segreto consiste nel ribaltare la domanda: invece di “il mio benessere, la mia felicità dipendono da quanto io sono amato”, capovolgere il pensiero e affermare convintamene “la mia felicità, il mio benessere dipendono dalla dimensione in cui io amo “. Infatti il vero Amore lo conosce chi lo crea, chi ama e non chi è amato.

Sicchè poesia del massone è la seguente:
Non importa alcunché
chi veramente tu sia,
cosa fai, cosa dici o cosa pensi,
lo stesso ti amo donna,
ugualmente ti amo uomo.
> L’Amore che mi pervade
amando i simili a me
porta gioia al mio cuore,
irradia luce ai miei occhi,
arreca pace alla mia mente.

Carlo Di Stanislao

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