Dalle banlieues francesi alla Striscia di Gaza. Praticato dai giovani nei quartieri e nelle periferie di ogni città, il parkour è arrivato in Palestina dove gli ostacoli e le barriere da superare sono più che evidenti. È stato il documentario “Jump London” a far conoscere ai giovani palestinesi questa disciplina. “Grazie al film abbiamo imparato i movimenti – racconta Mohamed Aljakhbir – ma per noi, che viviamo in un ambiente non facile, il parkour è diventata una filosofia che ci permette di superare le difficoltà della vita quotidiana e di sentirci liberi”. Una libertà che non trovano all’esterno. Insieme a Abdallah Inshasi, Ibrahim Aburahal e Jehad Abusulttan, Mohamed vive nel campo profughi di Khan Yunis, nella parte meridionale della Striscia di Gaza. Dal 2005 i quattro giovani hanno dato vita a Gaza Parkour, un gruppo che pratica il parkour. “Per noi – spiega Ibrahim – non è uno sport, ma un’arte che ci permette di esprimere le nostre emozioni, di superare gli ostacoli e di non arrenderci”.
Hanno tra i 22 e i 24 anni e “acrobati” lo sono diventati un po’ per passione e un po’ per necessità. Come tutte le persone che vivono a Gaza, una striscia di 360 chilometri quadrati in cui abitano circa 1 milione e 600 mila persone, due terzi dei quali sono profughi, a cui è negato il diritto di uscire dai confini della Striscia, che vivono con i sussidi dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, che fanno i doppi turni a scuola e possono contare su 8 ore al giorno di elettricità. Per esercitare questa disciplina i ragazzi hanno dovuto superare resistenze interne e difficoltà pratiche. “L’ambiente intorno a noi ci guardava con ostilità – ricorda Ibrahim – e le autorità ci tenevano d’occhio perché ci giudicavano trasgressivi e strani”. Oggi Mohamed, Ibrahim, Abdallah e Jehad insegnano il parkour a un gruppo di circa 15 ragazzi tra i 13 e i 18 anni, tra mille difficoltà. “Tutto ciò che ci serve per praticare lo sport lo costruiamo da soli – spiega Ibrahim – Riempiano noi i sacchi con la terra e creiamo i cumuli da saltare”. A questi problemi si aggiungono quelle legate alla cura delle eventuali fratture negli ospedali della Striscia di Gaza che vanno avanti tra mille difficoltà. “I movimenti forti non ci spaventano, siamo abituati alle difficoltà – continua Mohamed – e ogni volta che cadiamo ci rialziamo e riproviamo”.
Il sogno dei ragazzi di Gaza Parkour è diventato parte di un progetto ideato e gestito da cooperative e associazioni che prevede la creazione e il sostegno di spazi verdi e attività sportive a Gaza. “Siamo nati e viviamo sotto occupazione – racconta Ibrahim – Pensare di uscire da Gaza era impensabile per noi, il progetto parkour è un sogno che si realizza”. Grazie al parkour, infatti, i ragazzi sono riusciti a uscire per la prima volta da Gaza e a incontrare i loro coetanei. “In una situazione di difficoltà hanno trovato un modo per superare gli ostacoli e le barriere” racconta Mary Calvelli, cooperante a Gaza per Acs. “Lo scopo di questo viaggio è far conoscere ai ragazzi italiani le esperienze umane e le attività sportive dei loro coetanei di Gaza e dimostrare che a Gaza ha ancora tanto da offrire e che i giovani hanno voglia di vivere” conclude Mohamed. (lp)
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