(di Carlo Di Stanislao) Ha taciuto per quattro anni Pupi Avati ed ha molto riflettuto prima di girare questo nuovo film, che intende interrompere un periodo di creatività dubbia e non proprio entusiasmante, con autentici scivoloni come Ma quando arrivano le ragazze?, La seconda notte di nozze, La cena per farli conoscere, Il figlio più piccolo e al disgraziatissimo, per noi cinefili aquilani, “Gli amici del bar Margerita”, ultima proiezione del Massimo prima del terremoto del 6 aprile 2009, quando tutto si è fermato, anche quella storica, gloriosissima sala.
Ci riprova, dicevamo, con “Un ragazzo d’oro”, con Scamarcio che è Davide Bias, un creativo pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di bello, ma che vive di ansia e insoddisfazione e che un giorno incontra la sensuale editrice Ludovica (Sharon Stone), interessata a pubblicare un libro autobiografico che suo padre, sceneggiatore di serie B, ha lasciato a metà. Il libro, naturalmente, lo scriverà lui, come se a farlo fosse suo padre questo lo aiuterà a riconciliarsi finalmente con la figura paterna, ma non a risolvere le sue inquietudini.
Il plot è banale, ma speriamo che Avati riservi delle sorprese, come era accaduto negli anni precedenti i ’90, con pellicole come in “Bordella”, “La casa dalle finestre che ridono”, “Cinema”, “Una gita scolastica”.
Il cast completo di “Un ragazzo d’oro” si compone di, otre a Riccardo Scamarcio e Sheron Stone, Cristiana Capotondi , Giovanna Ralli , Cristian Stelluti, Osvaldo Ruggieri, Tommaso Ragno, Sandro Dori, Fabio Ferrari, Antonio Caracciolo, Fabrizio Amicucci, Vanni Fois, Michele, Viola e Patrizio Pelizzi e sarà nelle sale dal prossimo 18 settembre, con il 76enne regista bolognese che non è stato accolto a Venezia, ma non ne ha fatto un dramma, sicuro dell’affetto e della stima che il pubblico italiano nutre nei suoi confronti.
In attesa di vedere gli esiti, segnaliamo che è il primo film italiano della ancora affascinante Sheron Stone che, pochi mesi fa, si era lamentata del caos che c’era sul set durante le riprese, tra giornalisti e fan.
Il trailer è visibile su http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/pupi-avati-un-ragazzo-d-oro-per-sharon-stone/176458/175162.
Il film è stato girato contemporaneamente a ‘Il bambino cattivo’, film tv con Donatella Finocchiaro e Luigi Lo Cascio sul tema della separazione visto da un figlio dodicenne, trasmesso in occasione della Giornata mondiale dei diritti dei bambini e a ‘Un matrimonio’, altro film-tv che racconta l’Italia degli ultimi 60 anni attraverso l’amore tra Francesca (Micaela Ramazzotti) e Carlo (Flavio Parenti), affiancati nella narrazione da Christian De Sica, Katia Ricciarelli, Andrea Roncato e Valeria Fabrizi.
Il livelo di questi due prodotti non lascia devvero sperare in un risorgimento avatiano.
Intanto, una mostra intitolata: “Pupi Avati. Parenti, amici e altri estranei”, curata dal giornalista e critico cinematografico Andrea Maioli per la Cineteca di Bologna, si è tenuta a palazzo D’Accursio dal 2 giugno al 14 agosto, ed ha fatto il punto sul cinema di Avati che ha il suo punto di forza e di debolezza fitto intreccio tra la vita autobiografica e la realtà inventata delle storie; proponendo una selezione di foto di scena dei raffrontate con alcune delle immagini personali, dell’archivio romano di famiglia, aperto al curatore da Pupi e dal fratello Antonio; tracciando così un percorso parallelo tra finzione cinematografica e momenti di vita vissuta in cui spesso le immagini si sovrappongono con volti e situazioni riemergono nella creazione filmica. Una pellicola srotolata ha guidato il visitatore tra film, fotografie, sogni e realtà, sulla linea di confine, ha detto Maioli, “tra reale e irreale, tra biografia e fanta-biografia, tra verità e bugia”.
Ora sappiamo che l’autobiografismo dichiarato nasconde trappole e trabocchetti e sappiamo bene anche, che la memoria cinematografica e visionaria si compone di tasselli che vanno a formare un puzzle più complesso di quanto possa sembrare a una frettolosa e disattenta visione che smarrisce i confini dell’autobiografia per attingere a quelli della fantasia, dando vita di volta in volta a una creatura di Frankenstein che si compone di frammenti di pelle e di vissuto.
Del resto lo stesso Federico Fellini ci mette in guardia quando dice che il regista è un grande bugiardo, finendo poi per celare dietro le sue storie visionarie e oniriche riferimenti privatissimi, come di recente rivelato da Gianfranco Angelucci in “Segreti e bugie”.
Ma Fellini è Fellini ed Avati, nonostante la buona partenza ed il lavoro come sceneggiatore con Pasolini, non è mai stato della stessa statura del grande conterraneo.
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