(Di Carlo Di Stanislao) Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2009, diretto dal grande Oliver Stone “Chavez – L’ultimo Comandante” (South of the Border), uscirà nelle sale con 150 copie, il 27 marzo, distribuito, dopo la morte del leader argentino, da Flavia Parnasi e Andrea Deliberato, con la Movimento Film.
Il documentario narra il viaggio del regista in Venezuela, per intervistare Chavez e analizzare l’immagine che di lui hanno proposto i mezzi d’informazione statunitensi e ne è prevista anche una diffusione homevideo.
A Venezia il film piacque, con passerella trionfale, applausi scroscianti e standing ovation al Presidente presente al Lido, simbolo di quei Paesi del Sudamerica considerati dagli USA “non democratici”.
Si scrisse allora che la sceneggiatura, firmata da Tariq Ali, mostra la similitudine fra Chavez e Simon Bolivar, ed anche il livello di stupidità di certa stampa, che non ha compreso l’importanza di un politico che è riuscito a compiere una rivoluzione senza armi, sorretto da una visione di socialismo nazionale, integrazione dell’America Latina e anti-imperialismo, rinvigoriti da un acceso critico della globalizzazione neoliberista e della politica estera statunitense, con una filosofia che è unione di bolivarismo e socialismo del XXI secolo.
Eletto presidente nel 1998 grazie alle sue promesse di aiuto per la maggioranza povera della popolazione, fu rieletto nel 2000, nel 2006 e nel 2012.
In patria lanciato le Missioni Bolivariane, i cui obiettivi sono quelli di combattere le malattie, l’analfabetismo, la malnutrizione, la povertà e gli altri mali sociali. In politica estera si è mosso contro il Washington consensus sostenendo modelli di sviluppo economico alternativi, richiedendo la cooperazione dei paesi più poveri del mondo, specialmente di quelli sudamericani. I suoi critici gli rimproverano di essere stato un populista autoritario e l’amicizia con alcuni Stati non democratici, come Cuba, e l’ Iran, mentre i suoi sostenitori lo considerano un rivoluzionario socialista impegnato per la giustizia sociale, che ha tutelato fine agli ultimi giorni della sua vita.
Ma Chavez non era un dittatore in senso stretto e, anche se con molti errori, ha inteso liberare il suo popolo dalla miseria e farlo crescere soprattutto attraverso la cultura.
Il documentario era nato con l’intento di far capire una figura del presidente “erroneamente ridicolizzato come un clown e un buffone” e chiudeva, momentaneamente, tutta una serie di opere dedicate a personaggi “scomodi”, soprattutto agli Stati Uniti, iniziata con Fidel Castro – “Comandante” e “Looking for Fidel” e poi Yasser Arafat – “Persona non grata” -. In realtà in “South of the borders” i fili conduttori scelti sono le politiche economiche del libero mercato e del Fondo monetario internazionale e il loro fallimento e di come la stampa americana tenda sempre a vedere con gli occhi di traverso il Sud America. Il film suggerisce, inoltre, che calamità finanziarie come il crollo pesos argentino del 2001, in combinazione con il risentimento per la svendita delle risorse naturali attraverso le multinazionali, abbiano contribuito alla crescita di leader socialisti e socialdemocratici in tutta la regione.
Per dare forza a questa tesi Stone, oltre a chiacchierare a lungo con Chavez, fa un lungo viaggio attraverso l’America Latina incontrando tutti gli altri capi di Stato: Evo Morales della Bolivia, Cristina Kirchner e l’ex presidente Néstor Kirchner dell’Argentina, Rafael Correa dell’Ecuador, Raúl Castro di Cuba, Fernando Lugo del Paraguay e Lula da Silva del Brasile. Sul piano pratico però ci si trova davanti ad un’opera controversa che se da un lato ha comunque un suo interesse dal punto di vista cinematografico in sé, dall’altro rischia di essere di insoddisfacente sul piano dei contenuti. L’accusa principale che viene mossa a Oliver Stone è quella di un buon regista che si comporta da “cattivo” giornalista. In effetti rivedendo quelle immagini, non ha mai dubbi, non li pone all’interlocutore, ed è talmente innamorato e affascinato della persona che ha di fronte da rischiare in più punti di essere acritico. “South of the border” diventa così a senso unico e non chiarisce mai, nonostante le premesse, né la figura di Chavez, né la sua rivoluzione in Venezuela.
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