(Di Carlo Di Stanislao) Trascurare attentamente Neri Parenti con Vanzina, Lilo e Greg con Angiolini ed anche Aldo, Giovanni e Giacomo e non perdere “Momy”, piccolo gioiello dell’enfant prodige Xavier Dolan, canadese di lingua francese, premiato a Cannes, con Anne Dorval, Suzanne Clément, e Antoine-Olivier Pilon, storia di una madre single, una donna dal look aggressivo, ancora piacente ma poco capace di gestire la propria vita, sboccata e fumantina, con scarsissime capacità di autocontrollo ed un figlio legato a lei in modo quasi patologico, con una seria malattia mentale che lo rende spesso ingestibile (specie se sotto stress), vittima di impennate di violenza incontrollabili che lo fanno entrare ed uscire da istituti. Una riflessione poetica e sensibile sul riscatto, la capacità di reazione e il non piangersi addosso, con taglio narrativo elegante e fortografia superlativa.
Per gli amanti del genere, l’horror firmato William Brent Bell “La metamorfosi del male” e per i palati più raffinati “Storia di Cino”, opera prima di Carlo Alberto Pinelli, ambientato in Piemonte a fine ‘800, con il piccolo Cino, nove anni, figlio di poveri montanari del cuneese, che viene affidato ad un losco carrettiere francese per essere condotto in Francia ed “affittato” per lavorare negli alpeggi estivi del Mercantour. Una fiaba fatta di incontri, sogni, speranze e paure, che narra con perizia un viaggio di formazione, ma anche di libertà e di fantasia.
Altro horror notevole è il belga “Cub – Piccole prede”, diretto dall’esordiente Jonas Govaerts, che racconta la storia di un gruppo di giovani scout che si ritrova ad affrontare un pericolo mortale nel più buio dei boschi quando scopre che il ragazzino bersaglio dei loro scherzi e del loro bullismo è meno indifeso del previsto.
Da vedere anche il settimo film di Stefano Incerti: “Neve”, con un uomo in viaggio a bordo di una station wagon verde, alla ricerca di qualcosa, forse la refurtiva di una rapina dimenticata. E una donna dalla pelle scura, scaricata e poi inseguita da un piccolo gangster, cui forse ha sottratto qualcosa di grosso. L’incontro casuale di due vite “con le spalle al muro” e sullo sfondo, una provincia italiana che si stenta a riconoscere, un paesaggio senza luoghi, perennemente imbiancato dalla neve.
Molto bello (esce domani nelle sale e non va perso) “Pride”, di Matthew Warchus, con Bill Nighy, Dominic West, Andrew Scott e Imelda Staunton, storia di un gruppo di attivisti gay e lesbiche decide che, al Gay Pride di Londra, nell’estate del 1984, quando Margaret Thatcher è al potere e l’Unione nazionale dei minatori (NUM) è in sciopero., decide di raccogliere fondi per sostenere le famiglie dei minatori in sciopero. Ma c’è un problema. L’Unione sembra imbarazzata a ricevere il loro sostegno. Ma gli attivisti non si scoraggiano. Decidono di ignorare l’Unione e andare direttamente dai minatori. Identificano un villaggio di minatori nel più profondo Galles e partono con un mini bus per fare la donazione personalmente. E così comincia la straordinaria storia di due comunità apparentemente aliene che formano una partnership sorprendente e infine trionfante.
Sempre da domani “Ritorno a casa”, di Zhang Yi Mou che riscopre la sua icona Gong Li, storia di un uomo , intrappolato in un matrimonio combinato, costretto a lasciare gli Stati Uniti., che riesce a tornare a casa, ma qui viene mandato in un campo di lavori forzati.
“Coming Home” (questo il titolo originale) è un prodotto molto classico, un melodramma che si divide in una prima parte incentrata sulla descrizione della quotidianità della famiglia protagonista in quel disgraziato periodo storico e una seconda in cui si sviluppa il cuore emotivo del film.
Il regista di Lanterne rosse, che negli ultimi tempi si è molto dedicato al wuxia e a grandi produzioni in costume che hanno rappresentato una vetrina per la crescente potenza di fuoco produttiva cinese, torna alla sensibilità delle prime opere, con le atmosfere rarefatte di un amore grande e diviso.
Al cinema dal 15 l’autorifacimento dei Choen “Il grande Lebowski”, film nichilista ambientato a Los Angeles nel 1991 prima della guerra del Golfo e che rotola, ruzzola, rimbalza come una palla da bowling ed è difficile quasi quanto “Il grande sonno” di Chandler-Hawks. Imperniato su un errore di identità e un sequestro di persona, ha per protagonista il barbuto in calzoncini corti Jeff Lebowski detto il Drugo (pessima traduzione dell’originale Dude), vecchio ragazzo degli anni ’70, uno degli estensori del Manifesto (1962) di Port Huron, fedele alle amicizie e alle proprie idee, disincantato osservatore della putredine del mondo, ma deciso a fare la cosa giusta.
Buoni sentimenti, impegno civile e una discreta dose di indignazione sono quanto promesso da “Trash”, il nuovo film diretto dall’inglese Stephen Daldry e sceneggiato da Richard Curtis, che racconta le peripezie di tre ragazzini di una poverissima favela di Rio de Janeiro che si trovano nei guai a causa del contenuto di un portavogli da loro ritrovato nella discarica che frequentano quotidianamente. Nel cast, anche Rooney Mara e Martin Sheen.
Nello Stato d’Israele, invece, è ambientato un dramma puro diretto da Ronit e Shlomi Elkabetz: “Viviane”, film molto apprezzato dalla critica, che ha per protagonista una donna che da cinque anni tenta di ottenere il divorzio dal marito davanti all’unica autorità che in Israele possa concederglielo, il tribunale rabbinico, e che è determinata a far valere un suo diritto e la sua libertà.
Infine “Big Hero 3D”, toccante e avventurosa commedia sull’enfant prodige esperto di robot di nome Hiro Hamada, e l’ultimo capitolo della seconda trilogia tolkeniana di Peter Jackson: “Lo hobbit- la battaglia delle 5 armate”, un racconto 3D in cui, mentre l’oscurità converge sul mondo, le razze di Nani, Elfi e Uomini devono decidere se unirsi o essere distrutte e Bilbo si ritrova a lottare per la sua vita e quella dei suoi amici nell’epica Battaglia delle Cinque Armate mentre il futuro della Terra di Mezzo è in bilico.
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