(Di Carlo Di Stanislao) Dal 18 al 28 febbraio si è svolta l’undicesima edizione del Monte-Carlo Film Festival de la Comédie, evento svoltosi nelle splendide cornici del Theatre des Variétés, del club Crem e dell’ Auditorium Ranieri III del Principato di Monaco e che quest’anno ha avuto come presidente Lina Wertmuller e, come giuria, Vittorio Storaro (a cui è stato dato un premio alla carriera), Carol Alt e l’attore e produttore Arcadiy Golubovich, Ideato da Ezio Greggio, realizzato in collaborazione con l’Ambasciata Italiana di Monaco, si tratta della’unico festival cinematografico interamente dedicato alla commedia, un’occasione di attenzione al panorama europeo dei film del genere, con proiezione di quelli che hanno avuto il maggiore consenso nazionale nei maggiori paesi europei durante l’anno 2013, con l’aggiunta di alcuni eventi speciali, anteprime d’eccezione, proiezioni e dibattiti per le scuole ed anteprime ”fuori concorso” di qualità, con la partecipazione speciale di Checco Zalone, Neri Marcorè e Alessandro Siani, con il primo premiato per “Sole a catinelle”, come protagonista della migliore commedia dell’anno mentre Siani, che ha appena terminato il tour teatrale “Sono in zona”, e a maggio inizierà a girare un nuovo film che avrà come location un piccolo paese della Costiera Amalfitana; ha ricevuto il premio speciale. Particolarmente apprezzata Serena Autieri, attrice dotota e donna semplice e schietta, mamma da poco ed attualmente impegnata nella pièce “La sciantosa”, che a 37 anni ha la vitalità e la verve di una ventenne e nessuna voglia di rinunciare né al teatro né al cinema. Poco apprezzate, invece, sui nostri schermi, tre commedie recenti: “Sotto una buona stella”, film numero 24 di Carlo Verdone con Paola Cortellesi; “Una donna per amica” di Paolo Veronesi con Fabio Di Luigi e Laetitia Casta e l’ultimo film di Ospetek: “Allacciate le cinture”, con Kasia Smutniak e Francesco Arca: due opposti attratti inesorabilmente da una passione travolgente e difficile da arginare, scritta dal cineasta turco che ha abbandonato la Fandango, con il suo vecchio collaboratore Gianni Romoli, che già aveva sceneggiato e prodotto le sue pellicole più importanti, da “Saturno contro” a “Le fate ignoranti”, con dentro i temi a lui da sempre cari: amore e tragedia, tradimento e malattia; realizzata con un tocco registico sempre presente e perfettamente riconoscibile, con una classe sopraffina nei primi piani e nel costruire le ambientazioni perfette nelle quali far muovere i suoi personaggi, ma svilita da attori davvero poco convincenti: l’ex tronista Arca che per tutto il tempo è più impegnato ad essere “bello” che convincente e la scultorea Kasia Smutniak, con l’aggravante di troppe scene di sesso, alcune totalmente gratuite, altre parecchio inutili o decisamente fuori luogo. Pecca soprattutto attorale anche per il film di Verdone, con la sola eccezione della Cortellesi, con una Tea Falco caricatura di se stessa e che sembra la sorella svampita di Ruggero di Un sacco bello, un Lorenzo Richelmy al quale manca solo la lisca per essere il sosia di Silvio Muccino e un Carlo Verdone che rischia di diventare inadeguato per i ruoli che si scrive e per il quale è forse arrivato il momento di concentrarsi solo sulla regia. Situazione completamente diversa per Vincent Cassel e Léa Seydoux, protagonisti de “La bella e la bestia”, che debutta primo in questo fine settimana, con 1.800.000 euro d’incasso e una media per sala di quasi 5000. Un responso che molti giudicherebbero inaspettato, senza tener conto che i due interpreti ed il regista, Cristopher Gans, riesco a creare una storia barocca e ben raccontata, con tante riuscite citazioni della versione originale di Madame di Villaneuve pubblicata nel 1759, con una ambientazione fiabesca ed un crescendo da commedia molto coinvolgente. Dopo “il patto dei lupi”, Gans rinnova il sodalizio con Cassel e fa ancora centro, realizzando una pellicola intrisa di cose non dette, di bianchi, di spazi volontariamente lasciati da parte, come nella versione di Cocteau, ma anche di altre parte e personaggi che Cocteau aveva tralasciato, come ad esempio il mercante e facendo di Belle il personaggio centrale, grazie ad una splendida partitura scritta con Sandra Vo-Anh. Il film, girato in soli 57 giorni, è un tripudio di effetti speciali, che sembra ancor più strabiliante se si pensa che la produzione è francese e non hollywoodiana, girato interamente in studio, a Babelsberg, vicino Berlino, in larga parte su set dove tutto era ricostruito ed attori che hanno pertanto recitato su fondi verdi, come in una scena teatrale, dovendo immaginare tutto quello che poi sarebbe stato realizzato al computer. Molto astuta, infine, l’dea di far avviare la storia come un racconto fatto a due bambini da una donna misteriosa (di cui solo alla fine scopriamo il viso, anche se sin dalle prime parole e inquadrature delle mani capiamo chi sia), con un involucro funzionale e per niente legnoso che anzi ne aumenta la partecipazione.
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