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Cultura in grigio scuro

Cultura in grigio scuro

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(Di Carlo Di Stanislao) Ha venduto in totale sei milioni di copie e fra i suoi romanzi più celebri, divenuti serie televisive di successo, Scuola per infermiere, Morte di un medico legale, Morte in seminario, La stanza dei delitti, Sangue innocente.

Era chiamata “lady thriller” o anche “la baronessa del mistero” (baronessa di Holland Park lo era davvero), nota Phyllis Dorothy James, creatrice dell’ispettore Adam Dalgliesh, detective-poeta di Scotland Yard, considerata da molti l’erede di Agatha Christie, ma con uno stile tutto personale.

E’ morta ieri nella sua casa di Oxford alla bella età di 94 anni e dopo una carriera iniziata tardi, col primo libro, “Copritele il volto”, scritto a 42 anni, pubblicato, come quasi tutti quelli successivi, in Italia, da Faber e Faber (gli altri da Mondadori).

Di libri la James ne ha scritti una trentina, di cui 14 col suo protagonista, l’ispettore Adam Dalgliesh, sensibile e coraggioso e, ancora, “I figli degli uomini”, ambientato in una Gran Bretagna di un futuro dispopico, nel 2021, divenuto film con nomination agli Oscar ed il recente “Morte a Pemberley”, un giallo che ha per protagonisti i personaggi di “Orgoglio e pregiudizio” qualche anno dopo gli eventi narrati dal capolavoro di Jane Austen, scrittrice che lei adorava.

Ha venduto milioni di copie e vinto numerosi premi internazionali di letteratura poliziesca, attingendo alla sua esperienza di funzionaria pubblica , anche nel settore forense: per trent’anni lavorò in vari settori del British Civil Service, tra cui il dipartimento di polizia e diritto penale del ministero dell’Interno e fu anche commissario per la Bbc e influente membro del British Council.

Il premier inglese David Cameron si è dichiarato addolorato per la morte di “una delle più grandi scrittrici di polizieschi del Regno unito, che emozionato e ispirato generazioni di lettori” e numerose sono stati i messaggi di cordoglio giunti da vari giallisti di fama internazionale, dalla statunitense Patricia Cornwell, che ne ha ricordato gli incoraggiamenti, allo scozzese Ian Rankin, che la lodato il suo “intelletto acuto” e il suo “spirito pronto”.

A noi restano cari il romanzo “Un lavoro inadatto ad una donna”, pubblicato nel 1972, con l’altra sua eroina, una investigatrice privata che deve indagare sull’apparente suicidio del figlio di un celebre biologo nell’ambiente universitario di Cambridge, che è un piccolo gioiello del genere ed il saggio “A proposito del giallo” , dove spiega, partendo da Agata Christie e da Conan Doyle cos’è e come si realizza la narrativa poliziesca, analizzando con acume tutti gli elementi che compongono un giallo, insegnando al lettore come metterli insieme, arricchendo la spiegazione con tanti aneddoti personali.

Qiu Xiaplong, cinese di origine ma ormai da anni stabilito negli Stati Uniti dove insegna letteratura comparata all’Università di Saint Louis, oggi tra le firme di maggior prestigio nel campo del giallo in una cultura che ha solo una modesta tradizione (come insegna Robert Van Gulik) in tal senso; l’ha scelta come modello e sul suo protagonista ha plasmato il suo (l’ispettore Chen Chao, inappuntabile membro del partito, amante della poesia, grande mangiatore), oltre allo stile, che come nel caso della James è lento ma ricco di cultura.

Parlo di questo perché la Cina, che rivendica la paternità di tante cose che fanno parte dello scibile umano in questa particolare fattispecie è deficitaria, a parte il precedente unico del Bao Gong’An,  una raccolta di novelle di casi criminali risalenti all’epoca Ming.

Per romanzo poliziesco si intende un romanzo legato all’investigazione, che si occupa quindi di una indagine basata su un determinato fatto. Ma il termine usato nella lingua cinese è ancora più particolareggiato in quanto indica un romanzo avente a protagonista un investigatore, un individuo cioè che usa le cellule grigie per svelare un mistero, applicando come arma vincente il metodo “deduttivo”, come fanno i vari Sherlock Holmes, Poirot, Nero Wolfe.

Ma il fatto è che la cultura cinese non è deduttiva ma induttiva e non crede che il reale possa attagliarsi alle sole spiegazioni razionali.

Lo dimostrano le ancora radicate convinzioni sullo Yin e Yang e sulle trasmutazioni dell’Yi Jing applicate ad ogni fatto della vita: nascita, scelta, economia, architettura.

C’è un’altra tristezza ad aggravare il grigio plumbeo del nostro cielo di oggi, pronto a nuove peripezie distruttive contro un territorio ormai arreso e privo di difese.

Il ricovero improvviso ed imprevisto di Giorgio Albertazzi, con rinvio dello spettacolo al Teatro Massimo di Palermo, dove domani sarebbe andato in scena “Il mercante di Venezia”, da lui diretto ed interpretato.

Albertazzi di anni ne ha 91, ma molto ben portati, tanto da consentirgli di essere uno dei concorrenti dell’attuale decima edizione di Ballando con le stelle (dove peraltro ha sempre ottenuto ottimi voti i dalla giuria, nonostante ballasse poco, data l’età, ma recitava poesie che rendevano magici i momenti delle sue performance).

Aveva abbandonato il programma proprio per dedicarsi alla tournée teatrale, ma ora un malore improvviso e di cui ancora non si sa nulla, lo ha costretto al ricovero.

Alcuni giorni fa era stato mattatore a Porta a Porta e, fra le altre cose, commosso aquilani ed italiani con pezzi del docufilm, girato subito dopo il teremoto, in cui recita Dante, fra le macerie della città.

Ad Aquila, col suo “Mercante”, Albertazzi è previsto il 26 e 27 febbraio e siamo certi che già molto prima si sarà ristabilito.

Nato a Fiesole, raffinato e sensibile interprete del teatro sia classico che moderno, Albertazzi anche al cinema ed in tv si è posto in evidenza sia per la sua presenza e dizione (anche come voce fuori campo) sia come interprete e protagonista.

Sul piccolo schermo lo ricordiamo superbo (tanto quando sul grande ne L’année dernière à Marienbad) ne L’idiota di Dostoevskij, 1959; Topaze di Marcel Pagnol, 1971 e Il diavolo con le zinne di Dario Fo, 1998.

Penso a loro e penso che senza quella loro generazione piena di passione ed impeto, non esiste vera cultura. Perché, come ci ricorda l’ironica battuta di Socrate, indirizzata al tragediografo greco Agatone e che tocca uno dei nodi cruciali del Simposio di Platone, il sapere non è un dono (come ci vorrebbe far credere una certa pedagogia edonistica che ha sfasciato, negli ultimi decenni, la scuola e l’università), né si può comprare (anche in una società dove tutto si può acquistare, compresi i parlamentari): la conoscenza e la scelta di una vita retta presuppongono uno sforzo interiore, una partecipazione attiva, una ricerca continua.

Oggi non è più così e in vari ambiti, letterari,teatrali e via discorrendo. La nostra società si errasa, come il territorio, l’ambiente in cui si vive.

” Sarebbe bello se la sapienza fosse qualcosa che può scorrere, al semplice contatto, dal più pieno al più vuoto di noi, come attraverso un filo di lana l’acqua scorre dalla tazza più colma a quella più vuota” fa dire Platone a Socrate e a noi resta il grigio scuro di una scorrimento che nel tempo ha avuto sempre più stasi.

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