(di Carlo Di Stanislao) – L’algida Daria Bignardi è riuscita nell’impossibile: tirare fuori il lato umano di Mario Monti, nel corso della terza puntata delle “Invasioni Barbariche”, dove, finalmente, Geppi Cucciari ha capito cosa fare nell’economia del programma: l’elemento di disturbo, toccando l’apice (suo e del programma) con l’intervista fuoco incrociato di domande a quiz al professore, che è apparso rilassato e divertito.
Dopo varie battute e l’affidamento di un cane, dopo una birra che il premier sorseggia con soddisfazione, arriva Massimo Gramellini, acuto come sempre e come sempre comunicativo, che parla del suo bestseller, Fai bei sogni, regalando consigli d’amore e di esistenza, che sono saggi e mai troppo stuccosi.
Lo scompiglio lo crea Victoria Cabello, arrivata col il proprio cagnolino Silvano, che non vuole stare fermo e la costringe a seguirlo per tutto lo studio, senza però rinviare il momento (fiacco) della sua intervista, favorita dal celebre long drink a base di gin ed acqua tonica, la cui introduzione pare sia stata ad opera della divisione Compagnia Inglese delle Indie Orientali.
Da ultimo Giulio Berruti, autore di fiction italiana (e non solo), che si cimenta in una scena recitata appositamente da cani (tanto per restare in tema) insieme alla Bignardi, che intende calarsi nella parta della protagonista di Una ragazza americana (fiction di recentissimo ritrasmessa nel primetime di Rai1), ma in modo completamente irriverente e divertito.
La trasmissione funzione e la nostra Daria appare più sciolta ed in palla, anche se, dopo il colloquio con Monti (che arriva anche a fare il piacione), le scoppia un mal da curare con una bella e fumante tazza di te, secondo una diffusa idea orientale.
D’altra parte anche se recita a fare la fredda (con poca “empatia”, le rimprovera Monti), a leggere il suo primo libro “L’acustica perfetta”, che è un giro su ripidissime montagne russe emozionali, una ricerca del tempo perduto che ci accomuna tutti, un elettrocardiogramma bizzoso che tra aritmie, bradicardie e tachicardie, alla fine trova un suo punto di equilibrio, si capisce quanto fuoco covi sotto la cenere della giornalista ferrarese che, fra l’altro ed in modo mai eclatante e sempre compitissimo, riesce nelle sue “Invasioni” a produrre inaspettati e sorprendenti cambi di passo, con rivelazioni dosate con perizia e astuzia, uno stile non troppo leccato ma anzi maschile ed un po’ volgare, ma che fa sorridere ed è quanto di meglio la televisione d’intrattenimento oggi ci offra.
A me piace molto (anche come donna) la Bignardi, che giuoca a fare il ghiaccio e bolle in ogni sua occhiata, presentatrice astuta ed intelligente e buonissima penna anche nei suoi libri due e tre: Non vi lascerò orfani e Un karma pesante, dove dipinge con pennellate ironiche e a volte malinconiche l’affresco di un passato vicino e condiviso, ma soprattutto donne all’apparenza spietate ed invece teneramente comiche e fragili, tanto dolorosamente vicine all’autenticità della vita che abbiamo l’impressione di conoscerla almeno quanto conosciamo noi stessi.
A me pare molto sexy la Daria e non “brutta, grassa e con la voce da gallina”, come ha scritto Vanity Fair, una esplosione progressiva di sensualità sottotraccia, un po’ come (con altre membra ed altri anni) è accaduto con Selena Gomez, ex stellina senza sesso della Disney che, da poco ricevuto un premio per essere la ventenne più “magnanima” del mondo, grazie ai suoi numerosi impegni che coinvolgono l’UNICEF, è esplosa in pose sexy e glam, con indosso creazioni di Balmain e Bottega Veneta sulle pagine di Glamour.
Insomma quando guardo, leggo ed ascolta Daria, mi capita sempre di ricordare un assioma sacrosanto: l’eros si apre alla mente come la mente all’eros e mi vengono in mente le parole di Paola Melone: “La sensualità non risiede solo in un corpo ma anche nelle parole e nei gesti che quel corpo riesce a trasmettere: è finezza di pensieri, è delicatezza di messaggi, è armonia di idee, è eleganza nelle azioni, è fascino della mente”.
Daria, in fondo, anche se lei stessa se lo nega, attiene ad una bellezza fredda solo all’apparenza ed invece forte di una carica sensuale che trapela da piccoli dettagli: un modo di essere sexy non sfacciato, ma sottilmente allusivo.
Quello stesso che mi incantò al cinema, guardando le dark lady alla Veronica Lake e Joan Crawford, dai caratteri forti e definiti e le icone del bon ton anni ’50 e ’60, tipico di una certa borghesia wasp: figure dall’eleganza misurata, tutte bionde, filiformi, dai tratti del volto regolari e dall’espressione fredda e iper-controllata, dalla quale trapela una sensualità ed una carica seduttiva che hanno dell’esplosivo.
Una femminilità particolare, difficilmente replicabile, fatta di codici che vanno oltre il classico prototipo “ladylike” e che ha trovato la sua massima espressione nella Janet Leigh di Psycho o nella Doris Day de L’uomo che sapeva troppo, sex symbol loro malgrado, modelli di una femminilità che si oppone a quello imperante negli ultimi anni: sfacciato, estroverso e decisamente volgare.
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