(Di Carlo Di Stanislao) Locarno si chiude oggi ma le cose più notevoli, nel bene e nel male, sono avvenute due giorni fa, a Ferragosto, con la delusione per “Real” di Kiyoshi Kurosawa e l’emozione di tutto il pubblico della Piazza Grande per il Pardo alla Carriera a Werner Herzog, che ha anche presentato la sua ultima fatica: “Death Row”, una serie di quattro puntate, girate per il canale televisivo Investigation Discovery, in cui lui stesso intervista diversi condannati a morte, ricostruendo il loro passato e gli omicidi per i quali sono stati condannati, un viaggio negli abissi della mente umana, la cui prima tappa è stata il lungometraggio “Into the Abyss”, proposto al Festival di Toronto 2011. Dopo la premiazione il film capolavoro “Fitzcarraldo”, un sublime ed irripetibile momento di cinema visionario, narrato a ritmo lasco col tran tran di uno sceneggiato TV, che ha nel battello il cui assurdo ed epico trasporto attraverso il colle occupa 45 minuti, il suo personaggio più vivo. Geniale, folle, immenso e monumentale, una metafora del cinema e dell’aspirazione al divino dell’uomo destinato a fallire e ad innalzarsi nel suo fallimento, con il duo Herzog/Kinski che realizza una sublime masterpiece. Al contrario delude “real”, che segna il ritorno al cinema, dopo cinque anni di tv, di Kiyoshi Kurosawa, basato sul romanzo “A perfect day for a Plesiosaur” di Rokuro Inui, pellicola ambiziosa e contorta, molto al di sotto de l’autore di “Tokyo Sonata”. Tanto per la cronaca aveva deluso non solo noi), anche il noir italiano (presentato il 10 agosto, terzo giorno del Festival, “La variabile umana”, di Bruno Oliviero, con Silvio Orlando, Alice Raffaelli, Sandra Ceccarelli e Giuseppe Battiston, che avrebbe, almeno nelle intenzioni, dovuto rinnovare la tradizione del noir milanese alla Scerbanenco-Di Leo ed invece, è scarno e risibile, con un finale che anche lo spettatore più disattento dopo mezz’ora ha già intuito. . Si parte classicamente con il cadavere di un ricco e debosciato signore, morto dissanguato in casa dopo un colpo di pistola e dopo una notte si presume di vizi, alcol e sostanze varie. Si sospetta subito della moglie, tradita da molti, troppi anni dal consorte con ragazzine, meglio se minorenni. A questa traccia narrativa se ne aggiunge un’altra allorchè l’ispettore Monaco, incaricato del caso, scopre che la figlia adolescente si è impossessata della sua pistola e con alcuni amici ha trascorso una notte brava sparicchiando qua e là. Ora, il suddetto ispettore ci mette un’ora e passa a capire quel che sta sotto gli occhi di tutti, e che anche lo spettatore più appisolato (ai festival ogni tanto si crolla sotto il peso inesorabile dei film) ha già sgamato. Non succede niente o quasi nel film, che si trascina con esasperante lentezza e vuotaggine narrativa fino all’ultima scena.
In fondo però, a parte Herzog ed altri giusti premi alla carriera, delude questa edizione di Locarno, dove il cinema pare aver riscoperto la coppia e la banalità, in tutte gli stili, le lingue e le salse. Deludono “l Mudo” dei fratelli peruviani Daniel e Diego Vega, l’Italo-Africano “Pays Barbare” di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, “Chamaleon”, di Elvin Adigozel e Ru Hasanov, classe 1987 e 1989, appartenenti alla gioventù azera del tutto post-sovietica, ma con qualche strascico di cupezza socialista di troppo.
Non va meglio alla coppia del nepalese “Manakamana” , composta da Stephanie Spray e Pacho Velez, noiosissimo racconto con rigorosi occhi occidentali del microcosmo orientale di una cabinovia che scorre sopra la foresta del Nepal; né a a quella del belga “L’entrage couleurs de larmes de ton corps”, Hélène Cattet e Bruno Forzani, che realizzazzano un pasticcio di thriller liberty completamente da dimenticare, cercando di imitare, senza riuscirvi, il formalismo del miglior Argento, ancora più deludenti dopo che i si erano fatti notare qualche anno fa con Amer, un piccolo culto nel circuito off osannato da Quentin Tarantino.
A parte i premi alla carriera a Herzog, Castellito e a Christopher Lee, una edizione davvero da dimenticare.
Mentre questo brutto Locarno consumava il suo inutile rito, una triste notizia ha meritato la nostra attenzione. Sempre in Svizzera, il 14 agosto, è morto a soli Mark SUtton, 42 anni, Mark Sutton, ex controfigura di James Bond, lanciatosi con la sua tuta alare da un elicottero, nell’area del Grandes-Ottanes, vicino al confine con la Francia.
La sua è una morte ancora tutta da chiarire, che ha richiamato subito un altro illustre precedente: Mark Sutton, infatti, è morto mentre praticava il wingsuit, esattamente come il fondatore di questa pratica sportiva estrema, quel Patrick de Gayarddon morto nel 1998 con indosso la stessa tuta alare.
Meglio ricordarlo nel lancio spettacolare, il 27 Luglio 2013 da un elicottero, come controfigura dell’ultimo 007, che aveva dato il via sia ai Giochi Olimpici di Londra che alla diffusione su scala mondiale di “Skyfall”, piuttosto che concentrarsi sul cinema di oggi, soprattutto quello visto a Locarno. Carlo Chatrian ha fallito e Marco Müller avanza.
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