(Di Carlo Di Stanislao) Sarà presentato a L’Aquila in uno dei palazzi più belli ed antichi, quello Cappa Camponeschi e le vendite saranno devolute al progetto Cordata per L’Africa, varato cinque anni fa. “30 anni di Perdonanza” è l’ultimo saggio di Angelo Di Nicola, aquilano nel cuore e nella mente, attento giornalista ed irriducibile cantore del genus loci della sua città che, nel bene e nel male, resiste e si rialza, dopo ogni caduta.
Il progetto no-profit “Cordata per l’Africa”, varato dagli Amici di San Basilio, congiuntamente al il Lions Club L’Aquila Host e al Gruppo aquilano di Azione civica Jemo ‘nnanzi, in collaborazione con la One Group, la Scuola di cucina Scherza col Cuoco, il Coro e il Teatro di Tornimparte, il Coro Diocesano dei Giovani, la Pro Loco di Tornimparte e la Scuola internazionale “Etica e Sicurezza” dell’Aquila, ha organizzato una fitta rete di eventi in occasione della 720.ma Perdonanza Celestiniana, con inizio domenica 24 agosto e conclusione, appunto, il 30, con la presentazione del libro di Angelo Di Nicola dove, con contributi diversi, si ripercorre la storia degli ultimi trenta anni di “Perdonanza Celestiniana”, una ricorrenza-simbolo ed un dono rivoluzionario, rivolto soprattutto alle masse dei diseredati, per le quali anche la speranza di una felicità metafisica trova ostacoli e a cui si richiede come sola ricchezza, un autentico slancio spirituale ed una solidarietà umana che porti ad una riconciliazione nel solco della serenità e della speranza.
Ciò che emerge dal libro di Di Nicola, a parte la puntuale ricostruzione delle singole edizioni, è il senso che la Perdonanza ha sempre avuto, quella di essere un invito simbolico alla Pace, un simbolo particolarmente importante in un’epoca di guerre infinite, degli scontro di civiltà e di religioni, di contrasti insanabili, che ci ricorda come la Pace, invece, nelle sue varie accezioni, rappresenta un’esigenza vitale, un indispensabile carburante della società, che va costruita nella quotidianità, promuovendo relazioni fondate sul riconoscimento dell’altro da sé ed il confronto e la solidarietà tra culture diverse.
Vengono in mente le parole del consigliere straniero del Comune dell’Aquila Gamal Bouchaib che, in una nota recente, ha scritto di provare amarezza per il fatto che la Consulta Stranieri istituita presso il Comune de L’Aquila, nonostante rappresenti ben 12 etnie presenti nel territorio, non sia stata chiamata o consultata per questa edizione de La Perdonanza e di provare amarezza per “ la bocciatura della proposta del Festival delle culture all’interno del programma della Perdonanza Celestiniana”, che, al contrario, sul multiculturalismo ed il rispetto della differenza intesa come valore, fonda le sue radici, radici solide piantate più di 700 anni fa da un Papa rivoluzionario, un Ghandi del Duecento, un Martin Luther King del suo tempo, un crociato della Pace ed un guerriero del Perdono, evidentemente troppo spesso frainteso o largamente dimenticato anche nei luoghi che ha edificato e forgiato, ad immagine di quella società di eguali che ha sempre costituito il suo credo.
Sempre nell’ambito delle manifestazioni che fanno da cornice alla “Perdonanza”, lunedì 25 agosto alle 18, presso l’auditorium Sericchi della Bper, in via Pescara 4, sarà presentato dalle autrici il libro “La danza sul labirinto – l’in-Canto unico della vita”, scritto da Maria Grazia Lopardi e Chiara Mastrantoni, pubblicato da Arkeios, un saggiosu una figura-simbolo dei percorsi umani, dell’erranza dentro di noi, alla ricerca del suono e della sinfonia che ci contraddistingue.
Come scrive Ilaria Borillio, quasi cinquemila anni fa, in area Mediterranea, un semplice disegno geometrico a cui si diede il nome di “labirinto”, cominciò a diffondersi in tutto il mondo, con un proteimorfismo variabile a seconda del contesto culturale, ma anche con l’intenzione comune di simboleggiare il “viaggio dentro di noi e nella vita”,con una forza crescente di fascinazione quasi ipnotica, che continua a parlare al profondo di ogni essere umano più di ogni altro simbolo.
L’etimo incerto la dice lunga: c’è chi fa risalire la parola a “palazzo della labrys”, la scure bipenne della vita e della morte e chi, invece, a labra o laura, indicanti sia la cava, sia la caverna e la miniera e i loro rocciosi cunicoli o, ancora, a laòs- popolo, ricollengandolo al fulmine di Zeus, da cui deriva il nome della selce, luogo dove dimora la dea ctonia toû lábrous; quindi caverna consacrata a una dea litica.
Forme e significati cangianti, col mito di Teseo, Arianna ed il Minotaura che svetta sugli altri, che è allegoria di morte simbolica, un viaggio nel mondo degli inferi, un viaggio nell’aldilà, dove la via verso l’interno simboleggia al tempo stesso anche la via verso il basso e l’uscita vittoriosa dal labirinto può essere paragonata al riemergere dalla superficie del mare. Teseo penetra da solo nel labirinto, sostiene la lotta col Minotauro, riesce anche a uscire dal labirinto mediante l’astuzia e la prudenza (filo di Arianna); superata questa prova diventa re e fondatore di città.
Ma, in questo mito e nella sua corrente interpretazione, non c’è puro amore o vera fratellanza, bensì alleanza e violenza. C’è sostanzialmente una struttura negativa da cui tutto discende. L’amore è il frutto proibito, al centro del dedalo, un episodio all’interno di una complessiva impalcatura che comunica violenza. L’amore è la rosa tanto agognata dall’uomo, l’irraggiungibile bellezza a cui il genere umano mira per riscattarsi. Così Arianna rappresenta molto di più di un’aiutante che dona un mezzo fatato (il filo) a Teseo, per condurlo sano e salvo all’uscita del labirinto. Arianna è la rosa del labirinto, l’amore stesso. L’uomo, immerso nella violenza, sempre la cerca, la vuole. Arianna è l’eterno segreto della vita, fonte indispensabile che allontana i fantasmi e le paure.
Altre letture del mito ed altri miti sono però raccontati dalle autrici de: “La danza sul labirinto – l’in-Canto unico della vita”, miti che si rifanno al percorso inteso come musica e danza, orientamento dell’uomo che dagli inferi vuole accedere al cielo, attraverso il superamento della paura per congiungere allo sconosciuto ed al diverso.
Tutto questo fa del labirinto-caverna un luogo di passaggio dalle tenebre alla luce, lo fa divenire come l’alpeh, la prima lettera dell’alfabeto fenicio, che assume, nella cultura ebraica il senso di Uno e di Dio e la sua forma e che nella sua forma evoca la grotta, il labirinto, il doppio percorso in alto o in basso.
Come ho avuto modo di scrivere tempo fa (http://www.agopuntura.org/html/tesoro/pensieri/Idee_sul_Labirinto_2009.pdf) e come fanno in questo splendido saggio, accurato ed ispirato, Maria Grazia Lopardi e Chiara Mastrantoni, è dimostrare che le forme variabili dei labirinti sono danze armoniche, vibrazioni fatte materia, capaci di creare un “Campo” inteso in senso quantistico, cioè una regione di influenza in cui due o più punti sono collegati da una forza, nel mondo subatomico, con scambi energetici continui che rappresentano una matrice d’informazioni ed in base alla quale la crescita del singolo non riguarda lui solo ma l’intera collettività.
E torniamo al Celestino, che, come intuì per primo Paolo VI, ha lasciato gli aquilani custodi di un sogno, sentille ed araldi di una eguaglianza che dipende dai cuori e non dalle ricchezze materiali, che riconosce nella differenza e nella dialettica una forza e nel confronto aperto una speranza per l’intero genere umano, un modo per uscire dal dai propri labirinti ed accedere alla vastità dei cieli.
Insomma, il labirinto presentato dalle due profonde studiose, assomiglia a quanto intuito dal fisico Pop che, una quarantina di anni fa, comprese come siamo più forse biofisiche che biochimiche, alla ricerca di un vibrazione-luce, simile a un diapason principale che emette certe frequenze che cercano di interagire con le frequenze vicine, in uno scambio inesausto e continuo.
In modo diverso i due libri ci parlano di Celestino e del suo lascito e ci ricordano, per via o cronachistiche o più speculative, che l’umile Eremita del Morrone che, a sorpresa, divenne Pontefice nel 1294 facendosi incoronare all’Aquila, oggi ancora martoriata dal sisma del 6 aprile 2009, emanando la Bolla del Perdono, ha dimostrato di essere lall’opposto dal vigliacchetto, codardo e pusilanime di cui parlano le persone ignoranti (e in malafede); ma piuttosto un vero “terrone molisano”, cocciuto, cocciutissimo, irremovibile, ostinato e fortemente determinato nelle sue scelte, nei suoi orientamenti, nella sua collocazione dentro e fuori il consorzio umano, che proprio all’Aquila all’interno della “sua” Basilica ha lasciato un messaggio sociale di rivoluzionaria importanza che sta a noi contemporanei non lasciare sfumare, percependo in un mondo che sconosce ed ignora che il confine fra il reale e l’irreale è spesso l’unico territorio disponibile ed anche quello della eguaglianza assoluta e delle infinite possibilità.
(92)