(di Carlo Di Stanislao) – L’hanno terminato assieme, poche settimane fa, poi il minore dei due fratelli, Tony, classe 1944, in un pomeriggio assolato, il 19 agosto, si è ucciso lanciandosi dal Vincent Thomas Bridge di Sam Predro, a Los Angeles, dove abitava.
Ieri il National Geographic Channel (canale 403 di Sky) ha annunciato che il film sarà in programma da gennaio, con la partecipazione di Tom Hanks e col titolo di “Killing Lincoln”, lo stesso del best seller firmato dal giornalista Bill O’Reilly, da cui è tratto.
Nel film televisivo i due fratelli Scott (Ridley, di cui è in circolazione “Prometheus” e appunto Tony), mescolando immagini d’archivio, finzione e computer grafica, ricostruiscono uno dei più drammatici avvenimenti della storia americana, partendo dagli ultimi mesi della guerra civile e descrivendo nel dettaglio il piano di John Wilkes Booth e dei suoi complici nella progettazione e realizzazione dell’assassinio del 16° presidente degli Stati Uniti, con precisa e spettacolare rappresentazione anche della furiosa caccia ai responsabili che seguì l’attentato.
Nei panni del Presidente americano Billy Campbell, uno dei protagonisti della serie The Killing, trasmessa in Italia da FoxCrime, mentre nel ruolo John Wilkes Booth, Jesse Johnson, figlio di Don, il Sonny Crockett di Miami Vice.
La moglie di Lincoln, Mary Todd, sarà interpretata da Geraldine Hughes, che ha recitato con Clint Eastwood in “Gran Torino” e con Sylvester Stallone in “Rocky Balboa”, mentre Edwind Stanton, il segretario alla guerra durante l’amministrazione Lincoln, avrà il volto di Graham Beckel (“L.A. Confidential” e “Brokeback Mountain”).
Più piccolo di Ridley, Tony Scott, a 16 anni, recita in Boy and Bicycle, cortometraggio dell’allora ventitreenne fratello maggiore e si innamora del cinema.
Studia, come aveva fatto Ridley, al West Hartlepool College of Art e alla Sunderland Art School e si distingue fra gli allievi, tanto da essere ammesso a frequentare il prestigioso la Royal College of Art, con un interesse particolare anche per la pittura.
Ma il fascino del fratello lo riporta al cinema e con lui fonda la Ridley Scott Associates (RSA), che, in breve attira l’attenzione del mondo del cinema.
Come ha ricordato Ridley: “Tony in principio voleva girare documentari. Gli dissi, ‘Non andare alla BBC, vieni prima da me.’ Sapevo che aveva una passione per le auto, così gli dissi ‘Vieni a lavorare per me e nel giro di un anno avrai una Ferrari’. E così fu”.
Negli anni seguenti i due Scott dirigono migliaia di spot pubblicitari e tocca a Tony occuparsi delle attività della compagnia, dal momento che il fratello è sempre più impegnato come regista cinematografico.
L’esperienza maturata con le pubblicità e la capacità dimostrata anche nella direzione di un adattamento letterario (“The Author of Beltraffio” di Henry James, realizzato per la televisione francese nel 1975 come pegno per una scommessa fatta col fratello), unite all’ottima riuscita sul grande schermo proprio in quegli anni di altri registi provenienti dal mondo degli spot, gli fanno pervenire molte offerte da Hollywood.
Tra i progetti che lo interessano c’è l’adattamento del romanzo di Anne Rice Intervista col Vampiro, ma la MGM gli propone di girare un altro film con vampiri: Miriam si sveglia a mezzanotte (1983), con David Bowie e Catherine Deneuve, film che realizza con fotografia e scenografia raffinate e che si distacca completamente dalla produzione di quel genere in quegli anni; ma col risultato di scontentare sia la critica che il pubblico.
L’insuccesso lo delude e lo allontana per due anni e mezzo dal grande schermo, per riportarlo al mondo degli spot televisivi.
L’opportunità del rilancio gli viene offerta dai produttori Don Simpson e Jerry Bruckheimer che gli chiedono di dirigere un film intitolato Top Gun, che è un successo planetario, incassa i 176 milioni di dollari e fa del protagonista, Tom Cruise, una autentica star.
Arriva poi (1990) l’insuccesso (ingiustificato) di “Revenge – Vendetta” ed anche di “Giorni di tuono”, ancora con Tom Cruise, con al posto dei jet le automobili, prodotto da Simpson e Bruckheimer, ma che non copre neanche led spese, quanto ad incassi.
Dopo “L’ultimo boyscout” con Bruce Willis, il suo interesse si orienta verso produzione di più basso costo ma di qualità ed incontra il giovane Quintin Tarantino che gli offre di leggere alcune sue sceneggiature, tra queste Le iene e Una vita al massimo. Scott dice di voler dirigere entrambe, ma Tarantino gli concede solo Una vita al massimo dicendo di voler essere lui stesso a dirigere Le iene.
Allarme rosso (Crimson Tide), un thriller su un sottomarino interpretato da Gene Hackman e Denzel Washington, non solo ha un buon successo al botteghino nel 1995, ma stabilisce definitivamente lo status di Tony Scott regista di “Serie A”, capace di dirigere i migliori talenti della recitazione.
Il suo più bel film del periodo è Nemico pubblico (Enemy of the State), del 1998, un thriller paranoico con Will Smith e Gene Hackman, girato come una versione accelerata de La conversazione (The Conversation) (1974) di Francis Ford Coppola; mentre, nel nuovo millennio, con Spy Game (2001), Man on Fire – Il fuoco della vendetta (2004) e Domino (2005), dimostra interamente la sua impressionante capacità tecnica e narrativa. Doti ancora più evidenti in Déjà Vu – Corsa contro il tempo, ancora con Denzel Washington; Pelham 123 – Ostaggi in metropolitana (2009), in cui troviamo John Travolta intento a prendere in ostaggio un intero treno della metropolitana di New York e nuovamente Denzel Washington nella doppia veste di controllore- negoziatore di ostaggi e Unstoppable – Fuori controllo (2010), con Denzel Washington e Chris Pine, conducenti di treni che rischiano la propria vita per fermarne un fuoro controllo.
Nel mio cuore Tony Scott resta un autore di grande fascino e capacità che, fra l’altro, ha firmato, nel 2002, un corto (appena 9 minuti) magnifico: “Beat The Devil”, dove si narra del patto fra James Brown e il diavolo, per ottenere fama e successo e lo si fa con un ritmo ed una concezione dello spazio filmico davvero impressionanti.
Nella vita, però, James Brown, affetto da cancro prostatico, non si perse d’animo e si sottopose a delle cure per sconfiggere il male, dichiarando: “Ho superato molte cose nella mia vita. Supererò anche questa al meglio”.
Lui invece, Tony, non ha avuto la stessa determinazione e, colpito da tumore cerebrale, se n’è andato in volo da un ponte di Los Angeles, un giorno di agosto, poco tempo fa, con un foglio laconico in cui spiegava le sue ragioni per non voler più vivere.
Trovandomi “di mano”, mi concedo qui due parole su “Prometheus”, ultimo lavoro di Ridley Scott, in giro per le nostre sale, ritorno dello stesso, dopo 30 anni, alla “science-fiction”, eccellente film che però non regge il paragone con i capisaldi del genere, diretti dallo stesso regista nel 1979 e nel 1982: “Alien” e Blade Runner”.
La storia ambientata nel 2093, con l’astronave Prometheus che giunge, dopo un lungo viaggio, sul pianeta LV-233, con a bordo un team assemblato da un ricco imprenditore, con il compito di rintracciare gli “Ingegneri”, una specie aliena umanoide che secondo due archeologi ha dato origine alla razza umana. Non siamo in zona capolavoro; ma l’intrattenimento che offre resta di altissimo livello e la visione, soprattutto finché sarà su grande schermo, più che consigliata.
Le immagini iniziali sono meravigliose e la visione in 3d è visivamente appagante come non mai. Anche grazie alle suggestive musiche di accompagnamento, si è condotti per alcuni minuti in un tale viaggio nella bellezza da lasciare senza fiato. Il film vero e proprio non sarà da questo punto di vista all’altezza del prologo.
Nel cast brillano sugli altri Charlize Theron che incede, come negli spot Dior, da sovrumana per bellezza e portamento, e Michael Fassbender, nei panni dell’androide fissato con Peter O’Toole, che tradisce qua e là di avere aspirazioni e quindi emozioni.
Credo che il vero “anello debole”c del prodotto sia costituito dai giovani sceneggiatori Jon Spaiths e Damon Lindelof, firme di molti episodi del serial tv ”Lost”, cui sono attribuibili troppe piccole illogicità e alcune ingenuità al limiti del ridicolo.
Mi viene in mente che, affidato a Tony, la dinamica del racconto sarebbe stata più veloce e godibile, senza troppe contorsioni (che in questa caso rallentano), su archetipi, misteri, archeologia, psicanalisi e quesiti mistico-filosofici ed esistenziali.
Se, già da “I duellanti” (1977), primo lungometraggio di Ridley premiato a Cannes, si scrisse che il suo cinema possiede la qualità letteraria di Rohmer e la bellezza plastica di Kubrick, riguardando la filmografia di Ridkley, si dovrà dire che sostituisce a queste, una capacità di inquadratura e montaggio che non sono per nulla inferiori.
Dietro la cinepresa non ha mai abbandonato il suo berretto da baseball rosso sbiadito: un porta fortuna che lo ha accompagnato durante la sua carriera composta da più di due dozzine di film e spettacoli televisivi e produzione di circa 50 titoli.
A differenza del fratello (un oscar e tre nomination), Tony non ha mai ricevuto nemmeno una nomination per l’ambita statuetta e la critica non è mai stata generosa con lui, accusandolo di uno stile troppo adrenalinico.
Ma i colleghi lo apprezzavano proprio per questo, basta leggere i commenti, dopo la sua morte, di Ron Howard, Micheal Moore e Robert Rodriguez, che ha scritto: “Tony Scott. Dannazione. Grazie per l’ispirazione, i consigli, gli incoraggiamenti e decenni di grande divertimento”.
Dopo la sua morte mi sono rivisto (dalla Cineteca de L’Aquila), “Miriam si sveglia a mezzanotte”, un racconto dalle rarefatte atmosfere e dal sapore di tragedia, con un dialogo serrato ed avvincente ed un inizio indimenticabile, con scene prese in un locale gotico/punk, in cui imperversa la celebre “Bela Lugosi Is Dead” dei Bauhaus, con ovvi riferimenti al re del cinema muto, uno dei primi vampiri dello schermo.
Ma il vero pezzo forte di questa grande (e dimenticato) film è il la celebre sequenza lesbo (quando non andava di moda) tra Miriam e Sarah, che dura davvero un’eternità, pur non possedendo nulla di morboso o di voyeristico; con tutti i passaggi che sono sottolineati, ovviamente in maniera non casuale, dal canto della schiava Mallika e della principessa Lakmè, tratto dall’opera Lakmè di Léo Delibès, con una fotografia morbidissima, che rende il rapporto quasi pudico, grazie alla dissolvenza e al’uso di veli, che nascondono le nudità delle due donne, appena intravedibili.
I baci saffici tra Sarah e l’etera e aristocratica Miriam, sembrano avvolgere il film in un manto di astrazione che rende la scena indimenticabile, come indimenticabile è gran parte della cinematografia di Tony: un autore che ci mancherà, enormemente.
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