(di Carlo Di Stanislao)
Sembra il plot di un poliziesco o di un thriller al fulmicotone ed invece è tutto vero. Dovevano essere indossati dalle star del cinema sul tappeto rosso de la Croisette e valevano un milione di dollari, orgoglio della maison Chopard ed ora refurtiva di un colpo audace portato a segno nella stanza d’albergo dove alloggiava il delegato della celebre oreficeria svizzera.
Ora, scrive ironicamente il Tgcom, Steven Soderbergh, autore della saga sulla chirurgica banda del ladro gentiluomo Danny Ocean e che si trova a Cannes per il festival, starà prendendo appunti, mentre la polizia brancola nel buio e gli organizzatori nell’angoscia, anche se la “Palma D’Oro”, fornita dalla casa elvetica da sempre, peso 118 grammi, con valore di appena (si fa per dire) 20.000 euro, si è salvata.
Una coincidenza, poi, il fatto che il furto sia avvenuto nello stesso giorno della presentazione di The Bling Ring, il nuovo film di Sofia Coppola la cui trama si ispira alla storia vera di un gruppo di studenti delle scuole superiori che dopo essere venuti a conoscenza di quando i divi si allontanano dalle loro abitazioni per venire a sfilare sul tappetto rosso della Croisette, i ragazzi colgono il momento giusto per fare irruzione nelle loro ville, appropriandosi di gioielli, vestiti e altri oggetti di valore. Davvero, come scriveva Wilde, “la vita imita l’arte”.
Dopo la parziale delusione, nonostante la pompa magna e lo spreco di eventi, per “Il grande Gadsby” formato 3D (con tutti a rimpiangere Redford), stroncata anche la giovane rampolla di Francis Ford, con il suo film giudicato superficiale e stupido, con un linguaggio di impeccabile banalità ed un cast che offre ritratti completi di superficialità e stupidità morale, con la sola cosa divertente che è vedere come la Watson lascia indietro la sua Hermione per questa nuova identità, mentre Chang è da tenere d’occhio.
“The Bling Ring” ha aperto la sezione più cinefila: Un Certain Regard e neanche al pubblico è piaciuto molto.
Non va meglio, nella stessa sezione, a Fruitvale Station, opera prima di Ryan Coogler, che ha vinto l’ultimo Sundance Film Festival e narra, ma fra incertezze e cadute, l’ultima giornata di Oscar, un ragazzo con compagna e figlioletta che ha appena perso il lavoro. Scrivono i critici che è un classico: il Sundance a volte funziona (Re della terra selvaggia, Blue Valentine), ma spesso no e comunque è da apprezzare l’ultima mezz’ora del film, durissima e tragica, quindi continuamente a rischio “manipolazione” che, purtroppo, si sente tutta. Certo si dirà che il film ha un grande valore civile e altrettanto certamente, grazie al supporto non da poco di Harvey Weinstein (presente in sala), finirà dritto agli Oscar. Ma l’unica cosa davvero da salvare, è la recitazione di tutto il cast, dove spicca una Octavia Spencer bravissima nel ruolo della madre di Oscar, fiera e dignitosa.
Miglior sorte, in parte, per il messicano Heli, un dramma tinto di horror, con 105 minuti ad alto tasso di violenza e genitali in fiamme, teste mozzate e cagnolini “spezzati in due”: immagini forti dove persiste un certo dejà vu da “film da festival” che sembra un po’ diluire l’effetto shock di queste quotidiane atrocità da narcotrafficanti.
L’aspetto forse più originale della pellicola sono inserti di messa in scena grottesca-surreale per cui la banda degli anti-narcotrafficanti sembra uscita, col loro Suv mastodontico e le loro divise, da un film di fantascienza. E poi i brevi flash di ironia come quello in cui il fidanzato di Estela, la protagonista, le vuole dimostrare la sua prestanza fisica sollevandola come fosse un culturista alle prese con un bilanciere.
Ma, secondo tutte le testate, il film non convince pienamente e questo perché rimane troppo intrappolato nella “gabbia del tipico film da festival” in cui il classico stile autoriale dai lunghi silenzi, piani sequenza, fotografia sporca sembra aver reso ormai troppo codificato (ma anche innocuo, diluito) qualsiasi shock, scandalo e dolore.
Fa scandalo ma non piace fino in fondo neanche Jeune & Jolie di François Ozon, uno tra gli autori francesi più amati e prolifici, che in corsa per la Palma d’oro c’era stato solo una volta, nel 2003, con il discusso Swimming Pool. Kermesse in “odore di scandalo”, il film narra di una ragazza di una ragazza di 17 anni (Marine Vacth, affiancata da Charlotte Rampling e Frédéric Pierrot), attraverso 4 stagioni ed altrettanti canzoni.
Chi l’ha visto ha detto che pare quasi un debito verso la Nouvelle Vague, con il vero che non è la sua primaria fonte d’ispirazione ed un ennesimo ritratto al femminile, concentrato sulla sessualità, l’amore e l’identità, adatto più a San Sebastian (che he l’ha premiato per Il rifugio e soprattutto per Nella casa), che a Cannes.
Oggi si spera le cose vadano meglio, con la polizia che dia qualche indizio sul furto e speranza di recuperare il bottino e la proiezione, per il concorso principale, di uno dei favoriti: The Past, il nuovo film di Asghar Farhadi, regista del capolavoro Una separazione.
Oggi è anche la volta di Salvo, opera prima di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che aprirà la Semaine de la critique ed avrà così la sua prima mondiale in una delle vetrine più prestigiose, per concorrere anche alla Camera d’or: il premio per il miglior esordio di tutte le sezioni del festival, oltre che ovviamente per i premi della sezione.
La storia è ambientata a Palermo, dove il killer Salvo uccide un mafioso rivale. L’uomo si imbatte in Rita, sorella cieca dell’uomo, che riacquista miracolosamente la vista. Stupefatto da quel che è successo, Salvo decide di non ucciderla: così la rapisce e la tiene segregata in una casa di campagna. Tra i due inizia a nascere una certa complicità. Ovviamente la famiglia di Salvo non sa nulla, finché il segreto non viene scoperto.
Dopo aver vinto una Menzione Speciale al Premio Franco Solinas nel 2008 per la sceneggiatura, il film si è aggiudicato i 140.000 euro del Production Award del Torino FilmLab nel 2009. E, finalmente, dopo anni di gestazione e lavoro, è arrivato ad essere finito. Il cast, oltre ai protagonisti Saleh Bakri e Sara Serraiocco, vede anche la presenza di Luigi Lo Cascio, mentre la fotografia è di Daniele Ciprì.
Stasera, infine, serata di gala per A Touch of Sin di Jia Zhang-ke, visto dalla stampa ieri, che l’ha giudicato un wuxia originalissimo e di straordinaria fattura.
Leone d’oro alla Mostra di Venezia nel 2006 grazie al suo bellissimo Still Life, Jia si è poi dedicato soprattutto al documentario. In mezzo ha comunque diretto un lungometraggio “di finzione”, 24 City, in concorso a Cannes 2008: col quale confermava la sua poetica fatta di contaminazione tra fiction e documentario senza soluzione di continuità. Il film si compone di quattro storie desunte dalla realtà ed ha per protagonisti Zhao Tao – attrice feticco di Jia -, Wang Baoqiang e Jiang Wu.
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