In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, Amnesty International accende i riflettori su nove casi di giornalisti perseguitati, minacciati, imprigionati e torturati nel brutale intento di schiacciare la libertà di espressione.
“In ogni parte del mondo, giornalisti vengono arrestati arbitrariamente, imprigionati, torturati e sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani. Vengono incarcerati o persino uccisi per aver rivolto domande che mettono in imbarazzo chi è al potere o per aver assunto una posizione che non coincide con quella ufficiale” – ha dichiarato Anna Neistat, Alta direttrice per la ricerca di Amnesty International.
“I nove messi in luce da Amnesty International fanno parte di centinaia di casi che meritano di essere indagati in modo trasparente affinché i responsabili delle violazioni dei diritti umani nei loro confronti siano chiamati a risponderne e i giornalisti possano svolgere il loro lavoro senza timore di subire rappresaglie” – ha aggiunto Neistat.
I nove casi
- Shawkan © Archivio privato
Shakwan, Egitto
Mahmoud Abu Zeid, fotogiornalista egiziano noto come Shawkan, è in carcere da quasi tre anni per aver scattato fotografie durante la violenza risposta delle forze di sicurezza a un sit-in in un quartiere del Cairo. Torturato nel corso della detenzione, è attualmente sotto processo per imputazioni che potrebbero portare alla condanna a morte. Secondo il sindacato dei giornalisti egiziani, Shawkan è uno degli almeno 20 giornalisti in carcere a causa del loro lavoro.
- Foto da 237online.com
Baba Wame, Rodrigue Tongue e Félix Ebolé Bola, Camerun
Questi tre giornalisti rischiano di essere condannati per aver rifiutato di rivelare le fonti di un’inchiesta su cui stavano lavorando, relativa alla presunta collaborazione tra le forze di sicurezza del Camerun e un gruppo armato della Repubblica Centrafricana accusato di aver attaccato una città del Camerun orientale. Secondo l’accusa, hanno omesso di rendere note le fonti e altre informazioni che potrebbero minacciare la sicurezza nazionale. I tre giornalisti negano di aver scoperto qualcosa che potesse minacciare la sicurezza nazionale e affermano che la loro intenzione è unicamente di proteggere le loro fonti. Il diritto dei giornalisti di non rivelare le fonti è un elemento importante della libertà d’espressione che contribuisce ad assicurare il libero flusso delle informazioni.
- Druklo © Archivio privato
Druklo, Cina
Conosciuto con lo pseudonimo Shokjang, è un giovane scrittore e blogger tibetano noto per le critiche al governo cinese sul trattamento subito dai tibetani. Al termine di un processo iniquo e senza assistenza legale, è stato condannato a tre anni di carcere. Ha denunciato di essere stato condannato a causa dei suoi post in favore della libertà religiosa e a sostegno del Dalai Lama e per il possesso di letteratura vietata. Aveva già trascorso un periodo in carcere, nel 2010, per aver co-diretto un settimanale messo al bando in cui era stato dato conto delle proteste dei tibetani.
- Khadija Ismayilova © RFE/RL
Khadija Ismayilova, Azerbaigian
Giornalista d’inchiesta pluripremiata e autrice di articoli sulla corruzione nel suo paese, compresa la famiglia del presidente, sta scontando una condanna a sette anni e mezzo di carcere. Prima dell’arresto, avvenuto nel dicembre 2014, è stata minacciata e ricattata. La condanna per attività commerciale illegale, evasione fiscale, abuso d’ufficio e corruzione è stata emessa nel settembre 2015.
- Esdras Ndukimana – Foto dal suo profilo Twitter
Esdras Ndukimana, Burundi
Corrispondente per l’agenzia France Presse e per Radio France Internationale, è stato arrestato nell’agosto 2015 per aver scattato fotografie sul luogo dove era stato assassinato un alto grado dell’esercito. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, è stato picchiato sulla schiena, sulle gambe e sulle piante dei piedi. Ora è in esilio. Nell’ultimo anno il governo ha ordinato una pesante repressione nei confronti di giornalisti, esponenti politici e altre persone che avevano posizioni critiche rispetto al partito al potere. Nel maggio 2015, in occasione di un tentato colpo di stato, le redazioni di quattro radio indipendenti sono state devastate da agenti delle forze di polizia.
- Manifestazione per la libertà di stampa in Messico © RONALDO SCHEMIDT/AFP/Getty Images
Anabel Flores Salazar, Messico
Cronista di giudiziaria per un quotidiano dello stato di Veracruz, è stata assassinata nel febbraio 2016 dopo essere stata rapita nella sua abitazione da uomini armati. Il suo omicidio è stato un terribile esempio della violenza che affrontano migliaia di giornalisti in tutto il Messico, uno dei paesi più pericolosi del mondo per gli operatori dell’informazione. Veracruz è, a sua volta, uno degli stati più pericolosi del Messico: sono almeno 17 i giornalisti uccisi dal 2010.
- Sedrick de Carvalho © Ampe Rogério / Rede Angola
Sedrick de Carvalho e Domingo da Cruz, Angola
Questi due giornalisti fanno parte di un gruppo di 17 giovani attivisti pacifici che, per aver partecipato a un gruppo di lettura in cui si discuteva di democrazia e libertà, sono stati arrestati, incriminati per “atti preparatori di ribellione” e “cospirazione criminale”. Nel marzo 2016 i due giornalisti sono stati condannati rispettivamente a quattro anni e mezzo e a otto anni e mezzo di carcere.
- © Karnt Thassanaphak
Somyot Prueksakasemsuk, Thailandia
Nel 2011, questo giornalista ha pubblicato due articoli in cui descriveva una monarchia fittizia che gli sono costati l’incriminazione per lesa maestà, ai sensi dell’articolo del codice penale che vieta ogni parola o azione che “diffami, insulti o minacci il re, la regina, gli eredi al trono o il reggente”. Per questo motivo è stato condannato a 10 anni di carcere.
- Erdem Gul (a sinistra) e Can Dundar © OZAN KOSE/AFP/Getty Images
Can Dundar ed Erdem Gul, Turchia
Rispettivamente direttore del quotidiano Cumhuriyet e corrispondente da Ankara per lo stesso quotidiano, nel novembre 2015 sono stati incriminati per spionaggio, diffusione di segreti di stato e appoggio a organizzazione terroristica. A giugno, Cumhuriyet aveva pubblicato due articoli su un presunto trasferimento di armi, nel 2014, dai servizi d’intelligence turchi a un gruppo armato operante in Siria. Secondo l’allora primo ministro Recep Erdogan, i materiali in questione erano aiuti umanitari. Se giudicati colpevoli, rischiano l’ergastolo. Questo è uno dei molti casi in cui le ampie e generiche leggi antiterrorismo della Turchia sono state usate per colpire chi critica il governo. I giornalisti non dovrebbero mai essere accusati di reati penali solo per aver seguito vicende di interesse pubblico.
Ulteriori informazioni
La mattina del 2 maggio Amnesty International Italia insieme ad Articolo 21, Federazione nazionale stampa italiana, UsigRai, Reporter senza frontiere Italia e Pressing NoBavaglio, ha preso parte a tre sit-in di fronte al consolato dell’Iran e alle ambasciate di Egitto e Turchia, paesi nei quali la libertà di stampa è fortemente repressa. L’iniziativa si è conclusa alla rappresentanza dell’Unione europea in Italia, dove una delegazione dei promotori ha incontrato il vicepresidente del Parlamento europeo, David Sassoli, al quale ha consegnato un documento per chiedere alle istituzioni europee e italiane di avviare un’azione ufficiale a difesa della libertà d’informazione, secondo il dettato della Costituzione italiana e dei Trattati dell’Unione, nei confronti di tutti i paesi partner e di alcuni dei paesi membri.
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