Dare voce ai giovani, ascoltarli e renderli partecipidella vita sociale e politica del Paese. Sono queste le istanze che emergonocon forza dal rapporto “Forme in trasformazione della partecipazione”presentato questa mattina a Roma. A dirlo è Lino D’Andrea, presidentedell’Arciragazzi nazionale: “I giovani non sono bamboccioni e vanno ascoltatidi più, perché hanno voglia di partecipazione, hanno prospettive per il futuroe vogliono cambiare il mondo a partire dai diritti- afferma -. In particolarechi ha avuto esperienze di associazionismo vede il futuro con più ottimismo, equesto è significativo perché vuol dire che il processo educativo in Italia varipensato e integrato”. Dello stesso avviso è anche Paolo Beni, portavocedell’Arci nazionale: “C’è un grandissimo problema della condizione giovanilenel nostro paese, che sta penalizzando le future generazioni su cui siscaricano i costi della crisi. La precarietà è diventata una condizione divita- sottolinea – . Accanto a questa situazione di emergenza, però, c’è anchetanta vitalità e tanto potenziale. Nel nostro paese i giovani non hanno voce: osono oggetto delle mire del mercato oppure quando sono oggetto delle politichepubbliche sono comunque passivi. Bisogna puntare, invece, alla loro autonomia ecapacità di autorappresentarsi. L’associazionismo dovrebbe avere più coraggiodi mettersi in gioco, perché c’è bisogno di una rottura generazionale”.
Licio Palazzini, presidente dell’Arci servizio civilenazionale, sottolinea in particolare gli aspetti positivi di far parte diun’associazione soprattutto in termini di egualitarismo, ascensione sociale eunità nazionale. “Bisogna affrontare in modo attivo le sfide che ci si pongonodavanti partendo dal contributo generale che l’associazionismo dà ai giovani –afferma Palazzini -. A fronte di tutte le differenze tra nord e sud del paese,la capacità di auto-organizzazione per chi fa percorsi associativi unifica l’Italia.Le istituzioni politiche, quindi, oltre a stanziare risorse devono mettere leimpalcature a questo potenziale di opportunità per far sì che le esperienze nonsi perdano. Quello che viene appreso durante il periodo del servizio civile,per esempio, può essere messo a sistema”.
Liliana Leone, direttore del Cevas Roma e curatrice dellaricerca, sottolinea in particolare due punti: il senso etico e la maggioresperanza verso il futuro per i ragazzi che hanno avuto esperienze nel mondoassociativo. “Questo rapporto ci dice che per queste persone cambia moltol’atteggiamento verso la corruttibilità e la meritocrazia. C’è una propensionemolto più bassa verso la raccomandazione e i favoritismi e questo è di scuro unaspetto positivo – spiega – Accanto a questo emerge un maggiore investimento intermini di impegno verso la società con l’obiettivo di cambiarla in meglio”.(ec)
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