(Di Carlo Di Stanislao) E’ partito Cannes 2012, edizione 65, ricca di grande cinema, così ingombra di titoli da non sapere dove metterli; una edizione in cui, davvero, il cinema trionfa e risplende come “il più grande spettacolo del mondo”.
E mentre noi, più divisi che al tempo dei comuni, ci impegniamo in un “tutti contro tutti” (Venezia contro Roma, Roma contro Torino e la “new entry” Firenze, che chiede spazio per il suo Festival dei popoli), in Francia, compattamente, sostengono Cannes, fornendo appoggi, solidarietà e finanziamenti.
Dopo gli ultimi quattro anni in cui la crisi economica aveva fatto parlare di sé con documentari e lungometraggi di finzione, adesso questo argomento così scottante sembra essere messo in secondo piano da una ricerca più intimista, da film di genere, da ritorni al passato (che sia il Kerouac di Walter Salles in On the road o il fronte della Seconda Guerra Mondiale di In the fog di Sergej Loznitsa).
A spiare meglio però la crisi c’è lo stesso, ma è adesso soprattutto morale.
Così i due film più attesi, in fondo, sembrano le facce di una stessa medaglia: Cosmopolis di David Cronenberg, che porta un Pattinson qui miliardario ad attraversare la città in una metafora di cambiamento radicale, in un viaggio catartico, così come Reality /(un tempo Big House) di Matteo Garrone, che ci mostra un povero cristo alla ricerca di un sogno di plastica, quello mediatico di un reality show, quello della voglia di fama. Magari dettata dalla fame.
Lo stesso discorso vale anche per l’Oriente, con Im Sang-Soo e il suo The taste of money (letteralmente l’odore dei soldi), che ci pone di fronte a una tragedia torbida e “scandalosa” ambientata nell’alta società sudcoreana che gira attorno alle multinazionali e ai loro investimenti.
Altrettanto pruriginoso e controverso è Paradise: Lov, e dell’austriaco Ulrich Seidl, dove si racconta delle Sugar Mama, le donne di mezza età occidentali e ricche che scendono in Kenya per turismo sessuale, accompagnandosi a diversi amanti a pagamento. Sesso mercenario ma soprattutto colonialista e scadimento morale in cui tutto è in vendita e può essere comprato.
Ci viene in mente che anche altri eccellenti film non a Cannes ci parlano di declino morale, come il magnifico “Sister” di Ursula Meier, produzione Franco –Elvetica fra i nominati dall’European Film Academy per la prima edizione del Young Audience Award, con sono Blue Bird di Gust Van den Berghe (Belgio) e Kauwboy di Boudewijn Koole (Olanda), durissima storia di due orfani, fratello e sorella, che vivono, miseramente, tra le nevi di una stazione sciistica sulle Alpi ed uno dei due, il maschio dodicenne, che mantiene se stesso e la sorella maggiore vendendo ai coetanei piccoli oggetti rubati ai ricchi turisti del posto.
Premiato con l’Orso D’Argento speciale a Berlino, il film è nelle sale dall’11 maggio ed un piccolo gioiello, in cui la regista, alla sua opera seconda dopo Home, mette in scena, con ciclica regolarità, la quotidianità ripetitiva dei suoi protagonisti, affidando il compito di agitare le acque dell’emozione e del coinvolgimento empatico alla una rivelazione sulla reale natura del rapporto “morale” ed emotiva tra i due fratelli.
Tornando a Cannes, certamente a vincere sarà un francese e quasi certamente un film a sorpresa, perché si sa che i nostri cugini ci tengono a non perdere e Nanni Moretti, presidente di una giuria in cui compare per la prima volta uno stilista (Jean-Paul Gaultier), ci tiene invece a stupire.
Forse la Palma andrà al molto “economico” Le grand soir, piccolo gioiello che svolge un’analisi morale prima che materiale, merito della coppia di cineasti Kervern – Delépine e della loro storia di fratelli che diventa radiografia socio-economica della crisi attraverso un licenziamento ingiusto, così come già lo fu nel geniale Louis-Michel, del 2008, vera sorpresa, totalmente folle, del Festival di Roma di quattro anni fa, ironicamente ma orgogliosamente anarco-inurrezionalista.
Per vincere i francesi hanno invaso tutte le sezioni, ma non solo per sciovinismo, ma anche perché la loro è oggi, dopo anni di lavoro su leggi e finanziamenti, una ricca ed eccellente produzione.
La giuria, presieduta da Moretti, è piuttosto particolare, con la presenza più eccentrica e inaspettata che è quella di Jean Paul Gaultier, geniale, fiammeggiante fashion-designer, tra i maggiori dell’industria-moda francese degli ultimi trent’anni.
Gli altri membri sono Hiam Abbass, attrice e regista palestinese, Andrea Arnold, regista e sceneggiatrice inglese, Emmanuelle Devos, attrice francese, Diane Kruger attrice tedesca, Ewan Mc Gregor, attore inglese, Alexander Payne , regista, sceneggiatore e produttore americano e Raoul Peck, regista, sceneggiatore e produttore haitiano.
Oltre a Gaultier, anche gli altri sembrano molto lontani dai gusti austeri del presidente, almeno sulla carta. Lo è la regista Andrea Arnold (si pensi solo al suo Fish Tank e soprattutto al barbarico Cime tempestose che ha presentato a Venezia 2011 e non ancora uscito in Italia), l’Alexander Payne di Paradiso amaro, la Emmanuelle Devos, attrice feticcio di autori come Jacques Audiard (fra l’altro in concorso) e Arnaud Desplechin e, buon ultimo, anche Ewan Mc Gregor.
Vedremo se il morettismo riuscità ad imperare.
Quanto all’Italia, mestamente spera in Garrone e presenta, fuori concorso, due maestri: Bernando Bertolucci con Io e te e Dario Argento con Dracula 3D.
In attesa di vedere come finisce, intanto ieri ci siamo goduti il red cartet delle grandi star, innumerevoli in questa edizione.
Ed abbiamo potuto constatare che a nulla servono gli strascichi di Eva Longoria, Diane Kruger o Fan Bing Bing, le sexy aderenze di Eva Herizgova, il bianco di Jessica Chastain o il nero di Lana Del Rey.
Perché Jane Fonda, dall’alto dei suoi 74 anni, le ha sbaragliate sul campo, con una silhouette mozzafiato ed un fascino più che inalterato, ancora accresciuto.
Alle 19,30 Nanni Moretti, prende la parola: ringrazia i giurati, per la loro professionalita’ e per il loro buon umore, dice di essere onorato e felice di essere presidente della Giuria “un onore e una responsabilita’”. Ma i buoni sentimenti durano poco e non rinunciando alla sua velenosa vena polemica, aggiunge: “Voglio ringraziare questo paese la Francia che ospita il festival più importante del mondo (Moretti, si sa, diserta Venezia) e che -pausa maliziosa- a differenza di altri, continua a dare importanza al cinema e alla cultura”.
Alle 19,50, puntualissimi, dopo che sul palco, Bill Murray spettinato raccoglie gli applausi, Wes Anderson gigioneggia, Bruce Willis fa il sorriso a labbra serrate di uno che non ha capito una barzelletta ma sorride per educazione, buio in sala ed il Festival comincia.
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