L’ombra della luce è il titolo di una commovente canzone che Franco Battiato cantò all’interno di un concerto, tenutosi a Baghdad nel 1992. Da quel concerto, sono passati quasi 25 anni ma sono rimaste nei nostri occhi le scie luminose dei traccianti al fosforo bianco illuminare Baghdad, la mitica città delle Mille e una notte, poco prima di essere bombardata dal nostro “fuoco amico”.
Le cupole dorate, i millenari mosaici, i giardini pensili odorosi, le colonne intarsiate, gli antichi minareti, gli affreschi di oro, di blu e lapislazzuli, le fontane luminose e scintillanti, le vie del mercato e gli antichi Suq, tutto inesorabilmente spazzato via. Da allora quanta altra distruzione abbiamo visto e a quanta ancora saremo costretti ad assistere? Parafrasando quanto detto in un famoso e significativo film, Centinaia di “anni per costruire, attimi per distruggere”.
In Iraq l’inizio della distruzione del patrimonio storico è precedente all’arrivo di ISIS. Quando Saddam Hussein cadde, nel 2003, fecero il giro del mondo le immagini della razzia al Museo Nazionale di Baghdad, reperti unici spariti per sempre nelle spire del mercato clandestino. Secondo Salam Abdulsalam, docente di architettura a Baghdad, dopo l’invasione da parte delle truppe americane, almeno 32.000 pezzi sono stati trafugati da 12.000 siti archeologici in tutto il Paese. Dal solo Museo scomparvero 15.000 oggetti.
In ordine sparso abbiamo assistito ad altrettanta cieca follia senza senso, ad opera di gruppi etnici da noi soprannominati “Talebani” che in Afghanistan tiravano giù a colpi di dinamite, plurimillenarie e bellissime statue del Budda.
Abbiamo visto Dura Europos, sito archeologico al confine con l’Iraq, nota come “la Pompei del deserto” antichissimo insediamento semitico, che ospita i resti di una città del IV sec. testimonianza del passaggio di macedoni, greci e romani. prima distrutto e poi saccheggiato.
In Libano una guerra civile durata 15 anni, di una brutalità inammissibile, decine di battaglie consecutive mosse fra Libano ed Israele e la successiva frantumazione dello sviluppo urbano, ci ha portato via per sempre gran parte della Vecchia città di Beirut la “Parigi del Medio Oriente ”. Una volta conosciuta anche per il suo paesaggio di insolita architettura ottomana, francese e art déco..
Vittima del conflitto crescente anche l’oasi archeologica di Palmyra, la “Sposa del deserto” com’era soprannominata, che conserva ancora al suo interno testimonianze di diverse civilizzazioni. Il sito era rimasto lontano dalla rivolta fino all’inizio del 2013, quando il Tempio di Baal è stato gravemente danneggiato negli scontri.
E ancora in questi giorni assistiamo alla distruzione di Aleppo che grazie ai nostri bombardamenti paga, probabilmente, il prezzo più pesante. Duramente danneggiata in scontri e bombardamenti la moschea degli Omayyadi, costruita nel 705. Non sono state risparmiate dalle violenze nemmeno la cittadella del XII sec. e la città antica con lo storico Suq (mercato), centro commerciale dal secondo millennio a.c. che conserva le testimonianze di assiri, greci, romani e ottomani.
La fortezza del Crac des Chevaliers, considerato il castello medievale per eccellenza dell’età crociata, è stata teatro di pesanti combattimenti. Nel luglio 2012 fotografie del sito, costruito nel 1142, mostrano i ribelli che hanno trovato riparo nella struttura sotto attacco da parte dei militari. Evidenti i danni causati dai colpi di mortaio.
Nel conflitto è rimasta distrutta anche una delle sinagoghe più antiche del mondo, nel distretto Jobar di Damasco. Risalente a oltre 2.000 anni fa, la sinagoga era dedicata al profeta Elia.
E che dire della razzia dei musei di Raqqa e di Aleppo ad opera di mercenari e tagliagole impazziti, sotto il nome di ISIS che dichiarano di essere per l’Islam, mentre scientemente ne distruggono le radici storiche e culturali.
Parla di “Una perdita inestimabile” Salam Abdulsalam rappresentata dai danni causati all’antica Babiloniadalle forze armate alleate. Sulle rovine della città per lungo tempo è stata realizzata una base per i mezzi corazzati statunitensi. Alle rovine di Babilonia sono stati arrecati danni incalcolabili, i più visibili quelli alle mura di cinta e agli strati archeologici destinati ai futuri scavi che sono stati coperti dal carburante e dall’olio.
E ancora la distruzione ad opera dei miliziani che a colpi di piccone e raffiche di kalashnikov abbattono statue e i bassorilievi dell’antica citta’ di Hatra, patrimonio mondiale dell’UNESCO.
E prima ancora, l’accanimento sempre da parte dei miliziani contro l’antica capitale assira Nimrud, distruggendo i manufatti e del museo di Mosul.
Anche la millenaria città di Khorsabad e i resti della Fortezza di Sargon, del Palazzo al-Kalhu, del re assiro Ashurnasirpal II sono scomparsi,
Sempre i militanti dell’ISIS hanno fatto saltare in aria un antico santuario musulmano sciita a Tikrit, era il luogo di sepoltura per 40 personaggi di primo piano nella storia musulmana, tra queste anche alcuni compagni del Profeta Maometto.
Saccheggiata e gravemente danneggiata anche la “Chiesa Verde”, una struttura suggestiva scavata nella roccia e costruita nel VII secolo.
A Mosul sono stati rubati dalle chiese antichi manoscritti e distrutte le statue del musicista Othman al-Mousuli e del poeta Abu Tammam.
A questo elenco incompleto, si deve aggiungere la distruzione della biblioteca di Mosul. Qui sono andati persi più di 100.000 volumi, di cui almeno 8.000 secondo l’Unesco erano unici.
Il Museo di Arte Islamico, in Egitto, sede di una delle più grosse e importanti collezioni al mondo con 100.000 pezzi che ripercorrono quasi tutta la storia islamica. Recentemente aveva subito un processo di restauro che era durato otto anni ed era costato milioni di dollari. Poco dopo la sua riapertura un’autobomba, il cui obiettivo era un edificio della polizia nelle vicinanze, ha causato danni catastrofici nonché la sua chiusura.
Dall’altro canto che dire, in questa folle gara a chi distrugge meglio e di più, le rovine della mitica città di Babilonia sono oggi solo polvere e un ricordo lontano, grazie agli atti di vandalismo da parte dell’esercito statunitense durante la guerra in Iraq, in cui 2000 soldati si sono insediati nelle vicinanze. Il terreno è stato subito appiattito dai bulldozer e ricoperto di ghiaia, costruendo una pista di atterraggio per gli elicotteri. Le capanne, ancora in piedi, prima dell’ arrivo dei militari statunitensi, risalivano al X secolo.
La lista di ciò che è andato perduto per sempre in Medioriente in soli 25 anni, è meglio fermarla qui ma sarebbe ancora lunghissima.
Che dire infine delle innumerevoli opere di arte di Sarajevo di Mostar e di tutte le città della musulmana Bosnia, in Ex-Yugoslavia tirata giù a colpi di cannone dai serbi e dai bombardamenti ONU e NATO dopo.
Immaginate se avessimo dovuto subire noi in occidente, tutta questa morte e distruzione, immaginate le nostre opere d’arte devastate per sempre, opere come il Colosseo, il Cupolone di Firenze, il Duomo di Milano in Italia oppure la Torre Eiffel o la cattedrale di Notre Dame in Francia o quella di Westminster in Inghilterra o la Sagrada Familia di Gaudì in Spagna, immaginate il dolore e la rabbia se queste opere venissero distrutte, perdute per sempre, adesso immaginate anche la sofferenza delle centinaia di migliaia di morti, provate a sentire il dolore che proveremmo, sapendo che fra tutti questi morti ognuno di noi avrebbe sicuramente avuto uno zio, un figlio, una sorella, un parente vicino o lontano o un amico fra la lista dei caduti.
Tutto ciò che è stato distrutto, in Medioriente, origine della nostra civiltà, e antica “culla della luce” è un’importante pezzo di umanità che se ne è andata via per sempre, nessuno ce la ridarà, come nessuno farà tornare in vita le centinaia di migliaia di persone, fratelli e sorelle, morte innocentemente in tutta questa follia.
La follia è contagiosa, dilaga ormai, e va fermata, esistono solo due vie davanti all’essere umano, “o pace crescente per tutti o distruzione crescente per tutti”, o luce o ombra, non esiste una terza via, basata sul vivacchiare e lo stare a vedere cosa succede, in definitiva esistono solo due scelte, lavorare per una pace crescente o lavorare per la distruzione crescente.
Di questi tempi restare alla finestra a guardare la distruzione crescente, significa in qualche modo accettarla, ogni volta che per comodità o per paura si fa un passo indietro, significa arretrare per fare spazio a questa distruzione che inesorabile avanza.
In definitiva si tratta sempre di scelte, anche il non scegliere significa scegliere. Stare ad assistere che il più forte e prepotente di turno, vinca sempre a scapito del più debole, è una strategia perdente, perché a turno, inevitabilmente, prima o poi tocca a tutti trovarsi nei panni del più debole.
Le opere d’arte, la storia e le centinaia di migliaia di esseri umani, nostri fratelli e sorelle per sempre scomparsi e perduti in tutto il Medioriente, in questo contesto storico odierno, rappresentano la parte più debole e non il contrario.
(pressenza)
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