In Italia quattro universitari su dieci lavorano, in media con i colleghi europei. Ma nel nostro Paese la maggior parte ha solo impieghi saltuari, mentre all’estero prevalgono quelli con lavori continuativi. È quanto emerge dall’Indagine comparata Eurostudent, presentata questa mattina dalla Fondazione Rui, finanziata dal Ministero dell’Università e realizzata in collaborazione con Doxa. “Soprattutto nei Paesi nordici è spesso l’università a offrire posti -spiega Giovanni Finocchietti, curatore della ricerca in Italia-. Fanno i bibliotecari, i camerieri nei bar degli atenei, gli assistenti nei laboratori”. È una settimana lunga quella degli studenti-lavoratori: devono dedicare ai due impegni almeno 47 ore, che superano le 50 quando si è stanno frequentando la laurea magistrale o specialistica. “Le ore dedicate al lavoro aumentano con l’età -aggiunge Giovanni Finocchietti-, perché l’esigenza di essere autonomi è più stringente”. L’indagine viene realizzata ogni tre anni in 25 Paesi europei.
Rispetto alle generazioni precedenti, gli universitari italiani lavorano comunque di meno. Nel 2000 ben il 54% degli studenti aveva un impiego. “Poi con la riforma del sistema universitario si è scesi al 30% -spiega Giovanni Finocchietti-. Negli atenei c’erano più corsi e più ore di didattica in classe. Ora siamo al 39% perché dal 2004 sono stati posti dei limiti massimi di corsi per anno. Si è pertanto liberato del tempo, che molti dedicano al lavoro”. Tra gli studenti di “origine sociale non privilegiata” il 41,6% lavora, ma anche fra i figli dei laureati quasi il 30% ha un impiego. “È la conferma che non si lavora soltanto per una motivazione economica”, sottolinea Giovanni Finocchietti.
Uno studente su quattro in Italia inoltre ha iniziato a lavorare prima di iscriversi all’università, tanto che il 13% ha iniziato la carriera universitaria due anni dopo il diploma, mentre l’11% ha aspettato solo un anno. Nel nord Europa queste percentuali sono ancora più alte: in Danimarca, per esempio, il 38% ha atteso uno o più anni prima di scegliere di proseguire gli studi. Come del resto fanno i loro colleghi irlandesi (34%), Finlandesi (28%) e Norvegesi (24%). Nell’est Europa invece quasi tutti gli universitari (90%) non hanno mai abbandonato gli studi, così come in Francia e Spagna. In Germania, Austria e Svizzera i giovani fanno scelte simili agli italiani. (dp)
(77)