In un Paese dove molto spesso la sterilità viene considerata una maledizione divina, è facile immaginare la felicità dei novelli genitori Daljinder Kaur e suo marito Mohinder Singh Gillsono.
Il 19 aprile la donna indiana ha dato alla luce il suo primo figlio, Arman Singh, con l’aiuto della fecondazione in vitro (FIVET).
Una storia oggigiorno molto comune, se non fosse che la neo mamma ha 72 anni.
Kaur e il marito 79enne avevano provato in tutti i modi di avere un figlio.
Alla fine la coppia, sposata da 46 anni, ha deciso di rivolgersi ad una clinica dello stato di Haryana nel disperato tentativo di avere un figlio attraverso la procreazione assistita.
La fecondazione in vitro (FIVET) è una delle tecniche più comuni:gli ovuli vengono fecondati in provetta, al di fuori del grembo materno, con successivo trasferimento dell’embrione nell’utero.
Dopo i primi due cicli di FIVET falliti Kaur è riuscita a concepire suo figlio nel luglio dello scorso anno. “La donna venne da me nel 2013, dopo aver letto di noi in un documento,” ha detto il dottor Anurag Bishnoi, embriologo e proprietario del centro per la fertilità di Hisar.
Secondo i medici la causa dell’impossibilità del concepimento era causata da un ostruzione nelle tube di Falloppio di Kaur.
Il marito di Kaur, proprietario di una fattoria fuori Amritsar, pur essendo perfettamente consapevole che il tempo rema contro la coppia, non si cura delle critiche e ha dichiarato di essere al settimo cielo per la felicità.
Questo non è il primo caso alla clinica di Hisar di concepimento in età avanzata.
Nel 2006 Rajo Devi, una donna di 70 anni, ha dato alla luce una bambina in salute.
Nel 2008, una donna di 66 anni aveva dato alla luce tre gemelli – due bambini e una bambina.
Sempre in India, nel 2008 una donna di 72 anni dello stato dell’Uttar Pradesh dopo la fecondazione in vitro, ha dato alla luce due gemelli.
“In una società come quella indiana che considera disdicevole non avere figli, Kaur e il marito ora possono ritenersi soddisfatti- commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” -ma non hanno di certo messo al primo posto il benessere del figlio che crescera’ senza di loro. Certamente hanno alimentato il dibattito aperto dall’introduzione di tecniche di riproduzione assistite sempre piu’ sofisticate, sui limiti sociali e biologici legati al rinvio della prima gravidanza”.
Il problema non è solo etico ma anche medico.
“E’ inutile negare che una maternità in età avanzata, addirittura dopo i 60 anni, comporti molte problematiche in più. Il rischio di avere un bambino con disturbi cromosomici aumenta con l’aumentare dell’età della donna.- continua D’Agata- Il più comune di questi è la sindrome di Down, una combinazione di ritardo mentale e di anomalie fisiche provocata, come è noto, dalla presenza di un cromosoma aggiuntivo”.
Superati i problemi fisici, rimangono quelli di natura sociale.
“Altra preoccupazione riguarda il divario generazionale sproporzionato, che potrebbe portare a incomprensioni e addirittura incomunicabilita’ tra due mondi differenti, soprattutto se il delicato periodo dell’adolescenza coincide con il periodo non proprio sereno della menopausa- conclude D’Agata -Per non parlare dello smarrimento, se non d’imbarazzo di fronte ai coetanei, di questi bambini che si troveranno a chiamare ‘mamma’ una donna che avrebbe l’età per essere la loro bisnonna”.
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