(Di Carlo Di Stanislao) Fin dal primo giorno di pontificato, papa Francesco ha dimostrato di voler cambiare in profondità una Chiesa che appariva “ridotta a una struttura sclerotica, incapace di cogliere i fermenti e le esigenze dei suoi stessi fedeli, spesso chiusa – quanto meno agli alti livelli gerarchici – nei privilegi di carriera e di casta”. Ma sarà in grado di intervenire anche sul “potere temporale” della Chiesa che, dai Patti Lateranensi del 1929 a oggi, si è manifestato soprattutto sotto forma di influenza (e talvolta di ingerenza) sulla realtà sociale e politica dello Stato italiano? Riuscirà un vescovo “venuto dalla fine del mondo”, un alieno rispetto al potere curiale, a liberare il papato e l’Italia da questa rete di relazioni pericolose? Sono le domande cruciali di un laico attento ai fatti della chiesa, Corrado Augias, formulate nel libro “Fra Cesare e Dio. Come la rivoluzione di Papa Francesco cambierà gli italiani”, dove l’attento giornalista e scrittore, ripercorre i momenti fondamentali del rapporto che la Chiesa ha intrattenuto con il potere politico, dalla cosiddetta “donazione di Costantino” al Sacro Romano Impero e alla lotta per le investiture, dalla Riforma e dalle guerre di religione a Napoleone, dal Risorgimento con la breccia di Porta Pia ai concordati con lo Stato italiano: quello del 1929 voluto da Mussolini e Pio XI (e inserito nella Costituzione repubblicana grazie al voto favorevole di Togliatti) e quello firmato nel 1984 da Craxi.In novant’anni di storia, dal 1922 al 2011, abbiamo avuto il Ventennio fascista e il quasi-ventennio berlusconiano: per poco meno di metà della nostra vicenda nazionale abbiamo scelto di farci governare da uomini con una evidente, e dichiarata, vocazione autoritaria. Perché? Una risposta possibile è che siamo un popolo incline all’arbitrio, ma nemico della libertà. Vantiamo record di evasione fiscale, abusi edilizi, scempi ambientali. Ma anche di compravendita di voti, qualunquismo: in poche parole una tendenza ad abdicare alle libertà civili su cui molti si sono interrogati. “Ratzinger è stato un dotto teologo figlio del seminario. Francesco si muove velocemente ma con la dovuta cautela sia per garantire il risultato sia per evitare rischi” scrive Augias. E la politica italiana non potrà restare immobile di fronte alla sua rivoluzione. Una rivoluzione che anche Renzi promette a parole e minaccia chi viole fermare le riforme che invece lui vuole fare, aiutato dal suo supporter principale, Giorgio Napolitano, che auspica siano le più condivise possibili attraverso il metodo del dialogo e della necessaria mediazione, ma soprattutto invita ad evitare allarmismi al limite della decenza, come quando si accusano i titolari del processo riformatore di tentazioni autoritarie.
Nel ricevere la stampa parlamentare per la tradizionale cerimonia del Ventaglio, Napolitano lancia un ennesimo endorsement per chi è impegnato nelle riforme; non rinuncia a raccomandare a tutti, proprio tutti, la pazienza e la capacità di ascoltare; non si sottrae ad un avvertimento, anche questo lanciato erga omnes: quando lascio lo decido io e conclude chiedendo a tutti di piantarla con le profezie a basso prezzo.
Di errate profezie ecclesiali parla Augias nel suo libro e ricorda a quelli della mia generazione (di sessantenni suonati), il periodo degli anni 60, quando improvvisamente il clima nel mondo cattolico fu mutato dal superamento del conservatorismo ad ogni costo, periodo nel quale, improvvisamente e dopo una prima feroce censura, “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, fu definito dall’Osservatore Romano “il più bel film mai girato su Gesù”, ricordando sia l’efficacia di quel Cristo e di quella Madonna – impersonati da un sindacalista antifranchista e dalla amatissima madre dell’Autore – sia lo scabro sfondo dei Sassi di Matera, a fare da sfondo e cornice a grandi temi come la religiosità, la povertà, la speranza, il dolore e l’amore.
Di quel film ricordo il Gesù carico di tristezza e di solitudine, in cui Pasolini riversava la sua “nostalgia del mitico, dell’epico, del tragico “, per usare le sue parole; una nostalgia o una “resistenza” che si contrapponevano a quel che odiava di quel suo tempo: grigiore cinico e brutalità pratica, disponibilità al compromesso e al conformismo, come ebbe a scrivere alloro e anche dopo il sempre acutissimo Nico Naldini.
Ed una figura analoga emerge nel papa Francesco che Augias racconta, una figura titanica in una lotta disperata, che non vuole preti ricchi, che girino con automobili ultimo modello e ha egli stesso modificato visibilmente il tenore di vita del pontefice, abbandonando gli appartamenti papali per una ben più modesta sistemazione a Santa Marta. Risalendo per li rami Augias rievoca i versi di Dante in cui il poeta lamenta i gravi danni derivati dalla donazione di Costantino che, secondo una leggenda poi smentita, avrebbero reso ricco il Pontefice di allora, inaugurando il potere temporale dei papi. Dante non mandò giù le dimissioni di Celestino V che avevano aperto la strada ad un papa affarista e simoniaco come Bonifacio VIII, preoccupato soprattutto di ingrandire la potenza della sua famiglia (era un Caetani) a scapito dei suoi grandi nemici, i Colonna. Bonifacio VIII non esitò a far radere al suolo la città di Palestrina (feudo dei Colonna) e a farvi spargere sopra del sale, evocando in modo esplicito la distruzione di Cartagine.
Papa Francesco vuole riportare la Chiesa per la strada, lo ha detto esplicitamente ed in questo ha detto a tutti di recuperare il servizio e non gli onori che vengono dai ruoli, perché è solo recuperando il senso di responsabilità e di ruolo che si possono auspicare veri cambiamenti e radicali riforme.
La frase è celebre, riportata in tutti i Vangeli sinottici e secondo un recente intervento di Emanuele Severino sugli scambi circa la “verità” tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari e tra il papa emerito Benedetto e Piergiorgio Odifreddi, risulterebbe che Gesù di Nazareth non sapeva bene quello che diceva quando invitava a dare a Dio e a Cesare ciò che rispettivamente è di ciascuno, perché, secondo l’eminente filosofo, non è stato domandato a Gesù se a Cesare si possa dare qualcosa che sia contro Dio e cioè se lo Stato possa consentire ai cittadini” di essere favorevoli o contrari a Dio o, ancora, se lo Stato possa essere libero da Dio.
Sul Corriere della Sera il filosofo, fa capire che, secondo lui, Gesù non sapeva le conseguenze della sua distinzione tra religione e laicità o “voleva conciliare l’inconciliabile”.
Ed aggiunge che per fortuna Gesù non era musulmano, perché – conclusione interrogativa – “l’estremismo islamico che massacra i cristiani non è forse la conseguenza ultima della convinzione che nella società non si debba consentire ciò che – come le altre fedi – è contro il Dio in cui si crede?”.
Per una volta non siamo d’accordo con Severino a cui è sfuggito il fatto (invece sempre tenuto presente da Aigias che pure non è religioso) che se lo Stato fosse cristiano, Cesare tradirebbe se stesso e si approprierebbe di ciò che è di Dio, allo stesso modo di uno Stato che fosse contro Dio, perché anche questa, essendo una “religione” (vedi gli Stati comunisti, nazisti e fascisti) sarebbe competenza di Dio. Di questo ne abbiamo un esempio attuale è vicino: il governo di Parigi che ciol programma didattico della sua “morale laic”», ha condotto la verso una religione statale dell’ateismo, dando di fatto a Cesare anche quello che è di Dio.
“Reddite quae sunt Caesaris, Caesari et quae sunt Dei, Deo”, recita il Vangelo di Matteo (cap.22 v.21) caro a Pasolini, pronunciata da Gesù in risposta ai Farisei, i quali speravano di metterlo contro il governo romano in Palestina, per far capire in modo chiaro e senza fingimenti che è doveroso essere soggetti, onestamente, all’autorità, distinguendo però il potere temporale da quello spirituale ed assumendosi, in ogni caso, la responsabilità di ciò che si compie.
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