(di Carlo Di Stanislao) – Da quando il padre ha lasciato la famiglia, il trentenne Andrea si sente responsabile delle donne di casa: mamma, sorelle, nonna e persino un cane femmina, che gli impediscono di farsi una vita propria. Un giorno però conosce la veterinaria Giulia e tutto improvvisamente cambia. C’è solo un problema: Giulia è diversa dalle “sue” donne e riuscire a farla accettare da loro non sarà cosa facile.
Dopo “Maschi contro femmine” e “Femmine contro maschi”, Fausto Brizzi ci riprova con “Pazze di me”, dal romanzo di Federica Bosco e genera una commediola piuttosto sbiadita, tutta arruotata sui suoi soliti temi: una sorta di “Brigitte Jones” per borgatari, con un unico uomo circondato da sette donne ingombranti che gli rendono la vita difficile.
Francesco Mandelli ha l’opportunità di recitare senza maschere e senza ricorrere al repertorio di tic e gag dei “Soliti Idioti” e si mostra anche capace di un certo appeal, ma è troppo poco per salvare una opera piccola piccola, in cui il cast femminile (Lucia Poli nonna svanita, Loretta Goggi mamma sergente, tre sorelle problematiche, interpretate da Marina Rocco, Chiara Francini e Claudia Zanella)è decisamente troppo vignettistico per risultare anche solo meno che irritante.
La storia di “lui povero uomo vittima delle sue tremende donne”, si ripete per tre quarti di film in maniera costante e in una serie di gag ridondanti, che rendono la storia un meccanismo inceppato.
Ciò che spiace, soprattutto, è che sette splendide femmine siano trasformate in ultra-caricature dei peggiori difetti femminili.
La nonna, ormai totalmente rimbecillita ma con alle spalle un illustre passato da fisica, accompagnata dalla badante straniera che di nome fa Bogdana, vestiti provocanti e una nuova intelligente concezione del mestiere.
La mamma Vittoria (Loretta Goggi), di un’invadenza snervante, con le figlie Beatrice, insopportabilmente perfetta, Veronica, drammaticamente convinta che la donna debba emanciparsi dall’uomo stupido, e Federica, Lolita grottescamente evanescente.
Il problema del film non è tanto l’attitudine alla misoginia dimostrata dal suo autore che farebbe nascere un rigurgito di fervore femminista anche tra le più insospettabili, quanto la grossolanità di una scrittura a molte, forse troppe mani, condivisa con Marco Martani (che sempre con Brizzi a curato gli script di “Natale a Rio”, “Maschi contro Femmine” e “Notte prima degli esami – Oggi”) e Federica Bosco.
Rimanendo fedele alla becera tradizione del suo cinema, Brizzi non riesce a definire e raccontare nessuna storia, fallendo ancora una volta nel riconoscere e riportare i vizi di un italiano medio sempre più maltrattato e ignorato dal cinema che dovrebbe rappresentarlo (con la sola eccezione di Verdone).
Insomma Brizzi, con i suoi film, è la riprova che la prima fondamentale differenza tra donne e uomini risiede nei codici dell’interconnessione e della settorializzazione. Questi i determinano un diverso modo di pensare. Il mondo femminile è infatti caratterizzato dal pensiero interconnesso mentre quello maschile dal pensiero settoriale. E quello di Brizzi è un cinema tanto settoriale da essere imbarazzante.
Sarà il caso che Brizzi frequenti qualche rassegna di cinema sulle donne, ad esempio quella di marzo a S. Benedetto del Tronto o “Frammenti di donna”, rassegna polisemica della’Istituto Cinematografico de L’Aquila La Lanterna Magica, di scena a settembre, per imparare da maschi davvero intelligenti (Truffaut, Rohmer, Alejandro Amenábar, Olivier Dahan, Andrea Deaglio ed altri) a raccontare uno specifico affascinante, complicato, inafferrabile, incomprensibile, volubile, sensuale, mai comunque svilibile a livelli caricaturali.
Anche quando se ne vuole fare una parodia, si può essere non stupidamente piatti, ma eleganti. E’ il caso della serie televisiva (del 2007), “Mujeres”, risposta almodovariana alla serie americana “Desperate Housewives”, con quattro donne della stessa famiglia capaci di raccontarci e vivere storie ricche di mistero e segreti da scoprire.
Gli uomini sono uomini e le donne sono donne, e, caso mai, l’unica cosa a cui prestare attenzione è il valore del singolo individuo, uomo o donna che esso sia, per le qualità di cui si fa portatore. Ma, ovviamente, soprattutto nel nostro paese, queste considerazioni sono pura utopia, altrimenti non uscirebbero film come quelli di Brizzi, salutati anche da ragguardevole successo.
Mi viene in mente, adesso, che anche Marinetti si batté con forza con “l’orribile e pesante” amore tradizionale, di cui la donna era la prima vittima, e che ostacolava “la marcia dell’uomo”. Effetì disprezzava il concetto di “sesso debole”, che faceva diventare le donne moraliste e pacifiste, schiave e schiavizzanti per amore: un amore svenevole e dolciastro che aggravava e perpetuava l’atavica inferiorità della donna impedendole la conquista maggiore, quella della modernità. Marinetti conobbe Benedetta – che amerà fino al termine dei suoi giorni – nel 1919, a quarantatré anni, e si sposò a quarantasette. Fino a allora la sua vita sentimentale fu un susseguirsi di seduzioni facili e gloriose, come spetta a un creatore fascinoso. Poi, dopo aver scritto da vero erotomane: “non posso vivere più di 1 giorno senza una donna! Sono sempre l’uomo dal coito veloce violento. Poi il sonno e il distacco”, quelle parole che esplorano e scoprono la complessità incompresa del femminile. Marinetti l’ aveva capita un secolo fa, Brizzi non la capirà, io credo, neanche il prossimo secolo.
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