(Di Carlo Di Stanislao) In famiglia era Mimì, e così sarà più tardi per gli amici. Così si firma nelle lettere che manda al padre Giuseppe che se ne è andato di casa, a insegnare al Nord, lasciando una moglie e quattro figlie che non riusciranno più a riempire il vuoto della sua assenza.
Vuole cantare e vuole dire no alle “canzoni squallide”. Così va a Roma e qui col suo nome di battesimo, Domenica, sul manifesto dei concerti che tiene, per pochissimi intenditori, con amici musicisti underground, debutta nel mondo della musica.
Tre anni dopo la mutazione: Domenica-Mimì diventa Mia Martini. A ribattezzarla è Alberigo Crocetta, il creatore del Piper, che la scopre al locale gemello aperto a Viareggio; gli piace la sua voce, dopo Patty Pravo sta cercando un’altra star. Il cognome lo dà lui, Martini, perché è la parola italiana più conosciuta in America dopo pizza e spaghetti. Mia lo sceglie lei, in omaggio a Mia Farrow, la sua attrice preferita.
Un racconto alternato a un viaggio in vari momenti della sua storia, affascinante e travagliata, con una analisi spietata di quell’oltraggio che ne ha condizionato in modo vergognoso la vita e la carriera: la folle idea che portasse iella, voce alimentata anche dai colleghi e contro cui è stato impossibile reagire.
“Mi chiamo”, di Aldo Novo (Skrira, 14 euro), è l’ultimo libro, in ordine di tempo, su Mia Martini, scritto con l’aiuto dei documenti forniti da Menico Caroli, biografo della cantante e da Pippo Augliera, che ne cura il sito Chez Mimi , un atto d’accusa ad un ambiente che può essere orribile ed una finestra sulla passione della cantante per la sua arte ed il suo continuo, disperato, abbandonarsi all’amore.
Mia Martini, voce stupenda e struggente interprete della canzone italiana, nata a Bagnara Calabra nel ’47 e morta a Cardano al campo (Varese), nel 1995 a soli 47 anni, è immaginata da Novi nelle ultime ore, sola in un letto, sofferente e in lotta, mentre ripensa alla sua vita, fatta di grandi eventi e di successi, come il duetto con Aznavour, ma anche del disdoro di essere stata considerata una menagrama, capace solo di portare sfortunata.
Nel bel libro si parla anche dell’infanzia di Domenica (il suo vero nome), con i sogni, i primi amici e le figure importanti della sua vita, le tre sorelle, la madre e un padre a cui è legatissima, ma che non capisce nè lei, nè il suo desiderio di diventare cantante.
Poi i primi successi, la fama e la ‘caduta, dopo l’arresto per il possesso, nel 1969, di pochi grammi di hashish.
Negli anni ’70 muoiono dei due componenti del gruppo che l’accompagnava e il fatto dà il via alle voci che lei porti jella. Una bugia che diventa un peso insostenibile: gli ingaggi per i concerti diventano sempre meno; la sua casa discografica non manda in giro il materiale sui suoi dischi; una sua partecipazione al Festivalbar viene cancellata nella messa in onda televisiva; colleghi fanno battute crudeli (tra costoro anche Gianni Boncompagni); altri che inventano storie di lampadine saltate, piatti rotti, incidenti, quando si pronuncia il suo nome.
Mia Martini è emarginata e ne soffre, senza più riuscire a riprendersi. Lo iettatore, secondo quando insegna la tradizione popolare, è l’arte di gettare il malocchio, di portare sfortuna e su questa figura immaginaria Pirandello ha scritto un atto unico intitolato: “La patente”, messo in scena nel 1911, in cui ci suggerisce che vi sono molti di uccidere un uomo e, fra questi ve ne sono di subdoli e sottili, come privarlo di se stesso negandogli la propria identità, e poi, poco per volta, calpestandone la dignità.
Nella piece pirandelliana il protagonista dovrà indossare volontariamente la maschera dello iettatore, rinchiudendosi così in un ruolo non suo, accettando un’identità che non gli appartiene e portando fino all’estremo il processo di spersonalizzazione.
Nella vita reale Mia Martina ha cercato di cavarsela questa maschera gettatela addosso, ma senza mai riuscirci.
Nel suo libro Aldo Novo, cerca di restituirle un volto ed un nome, raccontato le cose come stanno, ricomponendo l’autenticità delle cose.
Nel 2011 un altro bel libro ci aveva raccontato Mia Martini: “La voce dentro” di Pippo Augliera, già autore o di “Mia Martini. La regina senza trono”, racconto della difficile vita di colei che, quasi unanimente, è oggi considera la più grande interprete italiana degli ultimi e che, nell’olimpo internazionale, siede accanto ad altre inarrivabili della canzone come Edith Piaf, Billie Holiday e Janis Joplin.
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