(di Carlo Di Stanislao) L’ottava edizione del Festival di Roma, seconda con la direzione del cinefilo Marco Muller, è in confusione, con conferenza stampa ufficiale disertata (ma in modo giustificato) da Ignazio Marino (che ha inviato l’assessore alla cultura Flavia Barca) e dal presidente della Regione Nicola Zingaretti (trattenuto da problemi di bilancio in corso e che ha inviato, anche lui, il suo assessore alla cultura Lidia Ravera) e con solo pochi punti fermi: il periodo (dall’8 al 17 novembre); la madrina (Sabrina Ferilli che a 49 anni resta uno dei sex symbol più amati del cinema italiano) e gli omaggi a Carlo Lizzani e a Giuliano Gemma, recentemente e tragicamente scomparsi.
Si è anche potuto acclarare che saranno 67 i lungometraggi nella sezione ufficiale, scelti fra i 1.542 visionati, provenienti da 76 paesi, di cui 20 italiani e fra i più quotati: “I corpi estranei” di Mirko Locatelli con Filippo Timi; “Take five” di Guido Lombardi e l’opera seconda di Alberto Fasulo “Tir”, coproduzione italo-croata. Si è anche appurato che li fuori concorso vi saranno anche i nuovi film di Davide Ferrario, Carlo Carlei, Antonio e Marco Manetti, Giovanni Veronesi (che aprirà il festival) e Marco Simon Puccioni; mentre, sul fronte dei divi, , il direttore Müller non si sbilancia ed anzi si duole del fatto che gli sia stato affidato un incarico più festaiolo che festivaliero, dichiarando che comunque non mancheranno contributi importanti, come la master class di Tsui Hark (condotta da Olivier Assayas) e quella di Jonathan Demme ed ancora incontri, duetti e tavole rotonde, fra cui una sul: “Cinema di genere italiano, ieri e oggi”.
Anche se si dice soprattutto cinefilo e disturbato da tutto il resto, è evidente che la parola d’ordine è tornare alla vocazione festaiola, all’imprinting dell’era veltroniana, quando film d’impatto popolare e stand della porchetta sotto al viadotto Flaminio rallegravano il popolo e le casse dell’Auditorium, facendo scivolare in secondo piano l’educazione della gente al cinema d’autore, cosa applicata da Muller ma che ha praticamente distrutto l’edizione del 2012.
Come malevolmente scrive sul Il Giornale Cinzia Romani, Muller corregge il tiro e si adegua alle richieste, dicendo che: “il progetto è quello di trasformare Roma in una sorta di Toronto europea”, ma non può nascondere confusione ed apprensione quando deve ammettere che mentre si punta alla luna occorre volare basso, rinunciando alle anteprime mondiali a tutti i costi, perché di soldi per pagare i divi nella Città Eterna non ce ne sono e bisogna guardarsi bene da fare annunci incauti come nel caso di Tarantino (che poi non venne) lo scorso anno.
Ciò che interessa gli amanti del cinema come me sono la retrospettiva sull’epoca d’oro del Peplum italiano intitolata: “Ercole alla conquista degli schermi”) e gli omaggi, a Federico Fellini (con ‘Le tentazioni del dottor Antonio’, episodio di ‘Boccaccio 70’, riproposto nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale e ancora i documentari ‘L’altro Fellini’ di Roberto Naccari e Stefano Bisulli e ‘Federico degli spiriti – L’ultimo Fellini’ di Antonello Sarno); Giuliano Gemma (con ‘Arrivano i titani’, 1962, di Duccio Tessari), Carlo Lizzani (‘Il processo di Verona’, 1963) e le ultime due, per il centenario della nascita di Renato Castellani e per il quarantesimo anniversario della morte di Anna Magnani, con riproposta de: ‘Nella città l’inferno’, del 1959, incontro fra la Magnani e la Masina, con sceneggiatura (da un romanzo di Isa Mari) di Susi Checchi D’Amico che fornisce uno straordinario spartito alle due dive (che non si sono mai sopportate) ed anche parti notevoli e di spessore per i comprimari Alberto Sordi e Cristina Gajoni, che vinse il Nastro d’Argento per la sua interpretazione.
Prima sceneggiatore, poi aiuto di Blasetti e Comencini, Renato Castellani ha prima introdotto i toni della commedia all’interno della grande tradizione neorealista, dirigendo Aldo Fabrizi in “Mio figlio professore” (1946), accanto ad un giovanissimo Giorgio De Lullo e poi si è divenuto il capostipite del neorealismo rosa con “Due soldi di speranza” (1951), film record d’incassi, anche negli Stati Uniti dove venne proiettato per cinque mesi consecutivi nella stessa sala cinematografica. Dopo de “Nella città l’inferno”, ritorna ai toni più cupi e duri del neorealismo con “Il brigante” (1961), per poi, dopo film di livello più basso, firmare per la tv gli ottimi :“La vita di Leonardo da Vinci” (1971) e “Verdi” (1982).
Ad aprire il festival di Roma sarà l’ultimo film di Giovanni Veronosi “L’ultima ruota del carro”, ma in preapertura sarà proiettatto il documentario: “Un italiano nel mondo”, dedicato a Giuliano Gemma, ideato, diretto e prodotto dalla figlia, Vera, che andrà l’8 novembre, alle ore 19.
La decisione è stata presa da Muller appena ieri, dopo averv isionato il lavoro fatto dalle figlie di Gemma (anche Giuliana, la primogenita, ha infatti collaborato alla realizzazione), frutto di due anni di impegno costante e in cui si ripercorre, attraverso immagini inedite, la vita e la carriera del celebre attore , da lui stesso, dalle figlie e dagli amici e colleghi più cari, come: Bud Spencer, Monica Bellucci, Nino Benvenuti, Ennio Morricone e Barbara Bouchet.
Tornando ai pochi soldi e alla scarsità di divi, si punta comunque sull’arrivo di Sharon Stone e Christopher Walken per “Gods behaving badly”; di Matthew McConaughey e Jennifer Garner per “Dallas Buyers Club”; di Amy Adams e Joaquin Phoenix per “Her”; di Christian Bale e Casey Affleck per “Out of furnace”; mentre, anche in questo caso, vi è la sola certezza della presenza di Jennifer Lawrence, la giovane diva seconda solo ad Angelina Jolie nell’elenco delle dive più pagate secondo Forbes, grazie al successo mondiale di “Hunger Games” il cui seguito, “Hunger Games – La ragazza di fuoco”, sarà presentato in anteprima al festival.
Ed anche se è stato costretto ad adattarsi al clima, Muller non ha completamente rinunciato al suo amore per l’estremo-oriente, espresso attraverso la presenza certa del film sudcoreano con Chris Evans e Tilda Swinton “Snowpiercer” di Bong Joon-ho, uno dei film più attesi degli ultimi anni dagli amanti del cinema di genere e dai curiosi o appassionati di cinema dell’Asia,il più costoso film mai prodotto in Corea, raro caso di un’opera d’autore di grandi ambizioni commerciali che non immola la visione del suo autore sull’altare del successo di botteghino, perfetta metafora di questa kermese a mezza strada fra festival e festa.
Come scrive “Cooming Son.it” le due assessore presenti in conferenza stampa, con toni e stili differenti, sotto la consueta patina di diplomazia, hanno sottolineato con energia la necessità della manifestazione romana di trovare un’identità vera e forte, “tra festa e festival”: un’identità che, finora, sostengono, non si è trovata nonostante i tanti tentativi.E mentre la Ravera ha accennato alla necessità del “superamento della dualità tra radicalismo elitario e debolezza mercantile”, Flavia Barca ha parlato di: “un progetto nato bellissimo e visionario, che si è più volte trasformato, che deve funzionare come leva cinematografia e volano per il turismo.
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