Si svolge a Milano, in cinque sale, dal 19 al 25 marzo e per la ventiduesima volta, il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, rassegna concepita per conoscere estetiche nuove e fare un viaggio nei tre continenti, alla ricerca di nuovi sguardi e nuovi modi di raccontare per immagini.
L’edizione targata 2012, curata da Annamaria Gallone e Alessandra Speciale, ha aperto i battenti, all’Auditorium San Fedele con El Shooq – Lust (“Lussuria” vincitore del Cairo International Film Festival nel 2010), diretto dal regista egiziano Khaled El Hagar, che racconta la storia di Fatma (Sawsan Badr, miglior attrice al Festival del Cairo), madre di famiglia che sopravvive nei quartieri popolari di Alessandria.
La malattia di un figlio, la necessità di procurarsi i soldi per delle cure che potrebbero salvargli la vita trasformano questa donna da mendicante a spietata usuraia. Un film duro e bellissimo sulla avidità e la disgregazione dei vincoli familiari.
Nei giorni successivi (e sino al 25 marzo), spalmati su altre quattro sale (Spazio Oberdan, Teatro Rosetum, Cinema Palestrina, Institut Français), altri 59 film ed una novità: la Retrospettiva “Ombre Digitali: film cinesi dell’ ultima generazione”, in collaborazione con il festival di San Sebastian, che propone sette titoli di giovani registi.
Nel Concorso Documentari spicca un nome ormai storico, il cambogiano Rithy Panh, che in “Duch, le maître des forges de l’ enfer”, che torna sugli orrori dei Khmer rossi.
Nel festival trova spazio anche la comicità, sicché, dopo il successo dello scorso anno, torna la sezione “E tutti ridono…”, con commedie extraeuropee selezionate con l’ aiuto di Gino Vignali e Michele Mozzati di Zelig.
Quasi tutti i film sono in prima italiana (tranne Sur la planche della regista marocchina Leïla Kilani, premiato al Taormina Film Festival) con in pole-position la sezione lungometraggi il pluripremiato Porfirio del regista colombiano Alejandro Landes: storia di un uomo rimasto paralizzato dai proiettili della polizia in lotta contro il governo per ottenere un risarcimento, molto apprezzato a Cannes.
Per il miglior film africano si segnala Matière grise di Kivu Ruhorahoza, che indaga le conseguenze del genocidio ruandese del 1994.
Mentre per i cortometraggi da non perdere La dernière caravane del franco-maghrebino Foued Mansour che descrive, con richiami all’estetica western, la lotta di tre operai impegnati a difendere il lavoro in un cantiere francese alle prese con la crisi economica.
E non mancano gli italiani nella sezione Extr’A, con molto Mare Chiuso di Andrea Segre e Stefano Liberti, documentario sulla sorte di un gruppo di migranti del Corno d’Africa, respinti in mare e riportati in Libia in seguito al trattato firmato dall’Italia con Gheddafi. Nelle sale dal 16 scorso, il film denuncia i respingimenti in alto mare, cominciando campi profughi allestiti dall’Unhcr in Tunisia, dove i due autori sono andati a cercare i respinti, per raccontare come la politica italiana abbia segnato la loro vita. Tra carcere, violenze, fughe, ma anche tenacia e speranza. Quella di chi ce l’ha fatta nonostante tutto. E quella di tutti noi che attendiamo con ansia la pronuncia della Corte europea dei diritti umani proprio sui respingimenti del 2009.
Tornando al Festiva, particolare interesse , secondo noi, offre la Sezione speciale: “Mondo Arabo – Atto II”, dove saranno proposti nuovi lavori incentrati sulle rivoluzioni che completano il quadro solo accennato l’anno scorso sulla spinta dell’urgenza e ne rivelano aspetti meno evidenti.
Alcuni film sono stati realizzati da registi italiani, come lo straordinario Tahrir Liberation Square di Stefano Savona, oppure da registi arabi, come il saggio di fine corso Om Ali della giovane e molto promettente egiziana Yara Lofti, che vede la rivoluzione dal punto di vista di una nonna che supporta i nipoti preparando il cibo da portare in piazza.
Tahrir Liberation Square, selezionato al Festival del film di Locarno, al New York Film Festival e alla Viennale 2011, è una pellicola molto riuscita e complessa, scritto con i volti, con le mani, con le voci di chi stava in piazza; la prima cronaca in tempo reale della rivoluzione, a fianco dei suoi protagonisti. Uno spettacolo insieme tragico ed esaltante; il racconto inedito e appassionato di una scoperta: la forza dirompente dell’agire in comune.
Abbracciando lo slogan “Il Razzismo è una brutta storia”, il Festival di Milano, poi, partecipa ancora una volta alla campagna lanciata da laFeltrinelli (casa editrice e libreria), con un premio speciale che sarà assegnato al miglior film che affronta il tema del razzismo. Per domani, il 21 marzo, Giornata mondiale contro il Razzismo, è prevista una maratona dei film della sezione, a partire dalle 10.00 al Cinema Palestrina.
E vedremo se la kermesse sarà migliore di quella, rimasta nella memoria mia e di molti altri cinefili, di quella del Film Festival Senza Frontiere-Without Borders del 2011, terza edizione svoltasi a Roma alla Casa del Cinema, dal 7 al 9 luglio, con la proiezione non solo di film e documentari inediti e rari, ma anche mostre di fotografie sui temi dell’acqua, dell’apartheid del Sud Africa e del devastante terremoto di Haiti.
Ricorderò per sempre l’apertura di quel Festival, il 7 luglio, con “Haiti shorts”, realizzato dagli studenti dell’Istituto di cinema di Haiti dopo il terremoto, seguito da dalla proiezione del candidato tedesco agli Oscar 2010 come miglior documentario “Rabbit a la Berlin” di Barter Konopka e Piotr Rosolowski, storia dei conigli selvatici che vivevano nella zona morta tra la Germania Est e Ovest fino alla caduta del muro, metafora tra due forze opposte: libertà e sicurezza.
Carlo Di Stanislao
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