(Di Carlo Di Stanislao) Credo che, allo stato attuale, arte e cultura svolgano un ruolo prevalentemente consolatorio e ci indicano direzioni diverse da quelle in cui va il mondo, con guerre ovunque e recessione in ogni luogo.
Così, ad ogni fine settimane, guardo al panorama artistico generale e mi beo di eventi diversi, per ripagarmi delle angosce che ogni giorno vivo, come tutti gli altri, pensando alle guerre che ovunque non si placano, al lavoro che manca e all’Europa che è in crisi, agli USA che non crescono, alla Cina che stagna e al Giappone e al Brasile in affanno.
Il maltempo in arrivo ci fa di nuovo tremare, in un territorio reso feraglissimo da incuria e speculazione, la minaccia di Putin che, senza nessuna diplomazia, telefona al presidente uscente della Commissione europea Josè Manuel Barroso propone una “Novorussia” per “proteggere gli interessi legittimi delle persone che ci vivono”; le indiscrezioni sulla ferma ed irata richiesta della Merckel a Draghi non appena calato il sipario sul vertice che ha deciso i “top job ed espresso la preoccupazione della Unione Europea per le condizioni di salute dell’economia continentale, con riaccensione acuta dello scontro sulla flessibilità e le strategie per rilanciare la crescita; creano il nostro diuturno inferno dantesco, miltonianio e gogoliano, con uno splendore ormai perduto ed opacato ed una umanità in balia del “Maligno”, che ora ha volti diversi ma non meno paurosi del Leviantano di Giobbe o del Faust di Marlowe e Goethe, un “terribile aspetto, fatto di morte e povertà e sopraffazione, vestito di inganni e superbia.
Sicché ci si difendiamo ricordando ciò che Paracelso sosteneva: la natura è una rivelazione divina che gli uomini sono in grado di cogliere con i sensi e la cultura, sicché, questa, che è conoscenza, ci distoglie dal male e ci porta ad essere migliori.
Nella chiusura dell’immortale poema di Goethe, Faust, prossimo alla morte, ormai cieco, ha la visione della bonifica di un immenso acquitrino, che permetterà agli uomini di “stare su suolo libero con un libero popolo”.
E, nel momento estremo, quando si aprono le porte dell’Inferno, una schiera di angeli viene a prendere la parte la parte immortale e la conduce in Cielo mentre un Coro Mistico pronuncierà le estreme parole: “L’Eterno Femminile ci farà salire”.
Non ci meravigliamo quindi che ci faccia salire e trasalire la notizia, domenica sulle news di cinema, che una donna, straordinaria attrice e produttrice, icona del cinema da Oscar, ha ora anche segnato il suo debutto dietro la macchina da presa, adattando per il grande schermo il romanzo autobiografico dello scrittore israeliano Amos Oz, dal titolo “A Tale Of Love And Darkness (in italiano: Una storia di amore e di tenebra), dove è anche protagonista di un racconto autobiografico che va dalla infanzia e giovinezza a Gerusalemme, ai kibbutz di Hulda e infine all’età adulta, vissuta nella ben diversa Tel Aviv degli anni trenta, quaranta e cinquanta.
Un’operazione complessa e faticosa che Natalie Portman, al secolo Natalie Hershlag, nata a Gerusalemme, israeliana naturalizzata americana, intende portare sullo schermo dopo essersi fatta la mano con alcuni corti, per affrontare un tema importante: quello del suicidio.
Un’esplorazione dolorosa e coraggiosa condotta con lucidità, nostalgia e rancore, con pietà e travaglio, con schiettezza e un “flusso di coscienza” incredibilmente poetico e che, con immediatezza, giunge al cuore.
Recita da quando era poco più che bambina, ha vinto un Oscar come Migliore Attrice grazie ad Il Cigno Nero, ha recitato in blockbuster, drammi, commedie, film di fantascienza ed indie-movie Natalie Portaman, che ora si mette in gioco come autrice e lo fa affrontando un tema spinoso e di non facile fruizione, complicato dalla necessità di raccontare travagli e contraddizioni di una Nazione da sempre in lotta con il mondo.
Un film personale, suo e solo suo (ne è anche produttrice), inseguito da cinque anni e che ha inizierà a girare da questo mese in Israele, con totale segreto su cast e data d’uscita.
In gran spolvero procede il Festival del Cinema di Venezia giunto al numero 71, con una domenica al fulmicotone che ha visto arrivare sul red carpet Chaterine Deneuve in compagnia della figlia Chiara Mastroianni, protagonista con lei del film in concorso “3 Coeurs”, in cui compare anche Charlotte Rampling e che è il secondo con madre e figlia assieme, dopo Ma saison préférée, che nel 1993, andò al Festival di Cannes.
Ed è anche arrivato, beato fra le donne, inossidabile e carismatico, Al Pacino, che da un lato si stringe la fidanzata in pizzo nero (e con 39 anni in meno) Lucila Sola e dall’altro Camila in bianco, che di Lucilla è la giovanissima figlia.
Al è al Festival con due film: Manglehorn di David Gordon Green presentato in concorso e The Humbling di Barry Livinson, fuori concorso, dall’omonimo romanzo di Philpp Roth.
Entrambi segnano la metamorfosi del grande interprete di Il padrino e Scarface, con progressivo ingresso nella vecchiaia e nel decadimento.
Nel primo film, infatti, Pacino è drammaticamente imbolsito e invecchiato, nella parte di un nonno solo e burbero che parla con i gatti, accompagna la nipotina alle giostre, va in giro con un leone di pezza che chiama elefantino e si incanta nei bar davanti al videopoker.
Nel secondo è un attore al tramonto, un uomo ormai vecchio e affaticato, che, vittima di troppi rimpianti, rischia di sprofondare nella depressione.
Ma proprio recitando questi ruoli Al Pacino esorcizza i loro contenuti negativi, perché, come ha detto ai giornalisti in una sala stampa gremita: “Certo, anche a me può capitare di essere un po’ depresso, ma non ne sono consapevole. La vita è quello che è, ci sono cose che inevitabilmente ti rendono triste, ma il termine “depressione” è troppo sinistro, fa paura. In alcuni momenti mi sono avvicinato ma sono stato risparmiato. Ho tre figli, amici, persone che incontro sul lavoro: tutte loro sono una fonte d’ispirazione, tutte hanno contribuito ad alimentare il fantastico, stupefacente, scioccante viaggio che è stato finora”.
Come cinefili ed italiani siamo felici che a Venezia sia stato chiamato Carlo Verdone in giuria principale e per scelto Giuliano Montaldo per presidiare della dei giovani per il concorso Venezia classici.
E siamo felici del viatico alla 71° Mostra accordato dalla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha apprezzato il film di apertura di Alejandro Gonzalez Inarritu ‘Birdman’ e a cui il presidente Paolo Baratta si è rivolto rigranziandolo, dopo che era stato accolto da applausi e standing ovation all’ingresso in sala grande del Palazzo del Cinema.
E siamo “arcicontenti” della scelta della madrina: l’italianissima e meridionalissima Lucia Ranieri: sguardo magnetico, capelli corvini e una eleganza d’altri tempi, che dallo spot celebre e malandrino di “Nestea”, ha fatto molta strada, fino al Festival del Cinema più antico del mondo, dove ha sostituito l’algida top model Eva Riccobono che l’aveva preceduta lo scorso anno.
Classe 1973, napoletana doc, Luisa Ranieri rappresenta la classica bellezza mediterranea: curve da capogiro, occhi e capelli scuri, temperamento passionale e, ancora, una professionalità costruita con cura a partire dal teatro, che insegna agli artisti umiltà e disciplina.
E siamo ancora più felici per i film italiani alla mostra: “Anime nere” e, ieri sera, “ Hungry Hearts”, di Saverio Costanzo, accolto da applausi e commozione dalla stampa, con una prova superlativa di Alba Rohrwacher e Adam Driver.
Sempre ieri, poi, grande interesse hanno destato, nella sezione Orizzonti, il mix di documentario, diario e fiction Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco ( film racconta il rapporto unico tra Berlusconi e la Sicilia, attraverso le disavventure dell’impresario palermitano di cantanti neomelodici, organizzatore di feste di piazza, Ciccio Mira – imperterrito sostenitore di Berlusconi e nostalgico della mafia di un tempo – e dei due artisti della sua “scuderia”, Erik e Vittorio Ricciardi) e la consegna all’Hotel Excelsior eii premi Kineo:, con tra i vincitori, Carlo Verdone (migliore film e migliore regia) per “Sotto una buona stella”; Sidney Sibilia (migliore Opera Prima Premio CSC centro Sperimentale di Cinematografia) per “Smetto quando voglio”; Paola Cortellesi (migliore attrice protagonista) per “Sotto una buona stella” e Francesco Arca (migliore attore protagonista) per “Allacciate le cinture”.
Sempre domenica, alle 17 e 45, è andato nella sala Casinò, il documentario di Giorgio Treves Gian Luigi Rondi: cinema, passione, inserito in Venezia classici, con dieci giorni di fitte confessioni , ricordi e rivelazioni del critico e le testimonianze di Gilles Jacob, Carlo Lizzani, Ettore Scola, Francesco Rosi, Paolo e Vittorio Taviani, Pupi Avati, Gina Lollobrigida, con il contorno di rari materiali d’archivio.
Venerdì 29, in apertura, Tati Sanguineti aveva portato al Lido Giulia Andreatto – visto da vicino, documentario per fare chiarezza sull’ex Dc, che salvò l’Istituto Luce e riaprì Cinecittà quando “le produzioni americane avrebbero potuto spazzarci via” ma che si è reso colpevole di una reazionaria e bigotta riformulazione della morale sessuale, rivedendo alcune scene di nudo e di sesso e cancellando (o rischiando di farlo) alcuni nostri capolavori cinematografici.
Grande attesa, poi, fuori concorso, per Perez, film di Edoardo De Angelis con Luca Zingaretti, nelle sale dal 2 ottobre, storia di che poteva essere un grande uomo di legge, ma è stato fregato dalla paura e che ha sempre considerato la sua condizione mediocre, un efficace “riparo dall’infelicità”, fino a quando il pericolo si insinua in casa sua e scopre fatalmente che non è così.
Per quanto riguarda le mostre, tre sono particolarmente interessanti quest’anno al Lido. In primis quella della Telecom Italia Future Centre, in campo San Salvador, una rassegna intitolata “A Life for Pictures”, promossa con la rivista Vanity Fair e l’Istituto Luce Cinecittà, dedicata all’opera del fotografo canadese Douglas Kirkland, famoso per aver immortalato star del calibro di Marilyn Monroe e Elizabeth Taylor.
Altri scatti da non perdere quelli nella mostra “Ieri, Oggi, Sophia”, dedicata al fascino intramontabile di un’altra personalità entrata nel club degli ottantenni, Sophia Loren: 27 immagini della diva di origini partenopee rimarranno esposte al Palazzo del Cinema di Venezia fino al 6 settembre .
Infine, con apertura ieri 31 agosto, quella al Belmond Hotel Cipriani , intitolata “Backstage Cinecittà”, curata da Chopard, con la collaborazione di Istituto Luce-Cinecittà e Cinecittà Studios.
Per quanto riguarda la tv, che sta vivendo stagioni molto creative e piene di fermento, sabato su Rai4, la cerimonia registrata della assegnazione degli Emmy 2014, avvenuta come di consueto al Nokia Theatre di Hollywood, il 25 agosto, presentata da Seth Meyers, dopo l’annuncio delle candidature avvenuta il 10 luglio.
La parte del leone l’ha fatta Breaking Bad alla sua stagione finale, riconosciuta per il secondo anno consecutivo miglior serie drammatica, mentre Modern Family è risultata per il quinto anno consecutivo miglior serie commedia, eguagliando così il record di premi consecutivi in tale categoria già detenuto da Frasier. A Sherlock: L’ultimo giuramento, il premio per il miglior film per la televisione, più altri sei premi minori, che l’hanno posto subito dopo Breaking Bad, che di statuette ne ha prese sei, mentre cinque sono andate a Saturday Night Live e True Detective.
Ci è dispiaciuto per “Mad Men”, serie tv ideata da Matthew Weiner,ennesimo capolavoro targato USA, che in passato ha ricevuto grandissimi riscontri di pubblico e di critica vincendo in due edizioni consecutive il Golden Globe per la miglior serie drammatica e 6 Emmy Awards nel 2008, con il protagonista Jon Hamm che ha ottenuto, ma sempre nel 2008, il Golden Globe per il miglior attore in una serie drammatica.
I dialoghi, soprattutto, sono magnifici, con soluzione che sono degne della migliore letteratura in lingua inglese ed un racconto che è un vero e proprio spettacolo nella ricostruzione dei fatti di quegli anni, nonché degli ambienti e dell’abbigliamento, dello stile, delle acconciature , in cui nulla è lasciato al caso e dove, come in una peretta macchina del tempo, siamo catapultati e indietro negli anni senza che nulla lasci trasparire l’inganno.
Adoro questa serie e mi spiace non sia stata premiata quest’anno perché fumare, bere, sognare, tradire e ancora tradire; con in sottofondo la “Manhattan” di Ella Fitzgerald, ci ricorda che tutti, in fondo, almeno ogni tanto, vorremmo essere “mad”, invece che vivere le angoscie di esistenze squallide e alla deriva in un universo atroce.
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