(Di Carlo Di Stanislao) Ad inizio del mese ha vinto il Nastro D’Argento per “Tutti i ritratti di Piera” di Peter Marcias come migliore attrice di documentario e proprio con questo film Piera Degli Esposti apre la XX edizione di “Visioni Italiane”, festival organizzato dalla Cineteca di Bologna, quest’anno da oggi al 2 marzo, dedicato a Carlo Mazzacurati, apripista di un sentiero per il quale sono passati poi in tanti.
Al festival anche autori di successo al botteghino come Luca Miniero di Benvenuti al Sud e registi come Paolo Zucca e Salvatore Mereu, che hanno deciso di tornare al formato breve per festeggiare il ventennale.
Ma sarà soprattutto lei, Piera, attrice non proveniente da accademie, formatasi in gruppi sperimentali, impostasi tra il 1969 e il 1976 al Teatro Stabile de L’Aquila, bolognese di nascita e di temperamento, ad essere al centro della scena.
Premiata con l’Ubu per l’interpretazione di Madre coraggio di Brecht nel 1992, nel 2003 ha ricevuto il David di Donatello come attrice non protagonista per L’ora di religione di Marco Bellocchio, per poi stupire ancora ne La sconosciuta di Tornatore (2006) e ne Il divo (Sorrentino, 2008), dove interpreta Vincenza Enea, la celebre segretaria di Giulio Andreotti.
Lo scorso anno ha ricevuto il Premio Maria Adriana Prolo alla carriera, conferitole dall’Associazione Museo Nazionale del Cinema durante il Festival di Torino e nel 2008 si è dedicata alla regia di opere liriche, firmando le messe in scena di Lodoletta di Pietro Mascagni, La notte di un nevrastenico di Nino Rota e La voce umana di Francis Poulenc.
Con Dacia Maraini ha scritto Storia di Piera (adesso nella Bur), libro con il quale ha messo a nudo la sua infanzia dolorosa, il suo legame fortissimo con una madre fragile e splendente e un padre amatissimo e ancora più fragile, racconto toccante e vibrante portato al cinema da Marco Ferreri, nel 1983.
Dotata di forte personalità e di una sensibilità esasperata, all’origine di uno stile interpretativo viscerale, Piera degli Esposti resta indimenticabile al teatro come al cinema, mas anche in televisione, che in anni recenti l’ha vista impegnata in serie e film quali Tutti pazzi per amore 1 (2008), Tutti pazzi per amore 2 (2010), Mannaggia alla miseria (2010), Atelier Fontana – Le sorelle della moda (2011), Tutti pazzi per amore 3 ( 2011) e Una grande famiglia (2012).
Tornando al festival di Bologna, nel ricordo di Carlo Mazzacurati, saranno presentati 24 corti fra cui numerose animazioni e film realizzati oltre i confini nazionali, con in gara nomi noti come l’ex operaio Simone Massi, che continua a disegnare tutto a mano o l’attrice Lorenza Indovina, regista di “Un uccello molto serio”.
La curatrice Anna Di Martino, in conferenza stampa, si è doluta del fatto che fino a qualche anno fa l’aspirazione di chi passava per “Visioni Italiane” era quella di arrivare a girare un lungometraggio in pellicola.
Ma oggi non è più così, visto che tutto il cinema ha sposato il digitale e i formati sono sempre meno standardizzati.
Di questo si parlerà nella sezione di due giorni “Lo sguardo degli autori”, curata da D.E-R, il 28 febbraio e il primo marzo, dove ci occuperà di distribuzione tra sala e web. Anche il Kinodromo riproporrà i premi speciali dedicati ai mestieri del cinema. Tra “Visioni Ambientali”, “Visioni acquatiche”, la novità “Visioni sarde”, che scommette sulla Sardegna come nuovo serbatoio di talenti, e il premio “Luca De Nigris” per le scuole della regione, nel concorso “Visioni Doc” si ritroveranno anche documentaristi di lungo corso come il duo Conversano – Grignaffini, accanto ad esordienti assoluti, come i 16 allievi che hanno partecipato a un workshop tenuto da Giorgio Diritti e Fredo Valla.
E poi scrittori che il cinema lo hanno frequentato da vicino come Ermanno Cavazzoni con “Vacanze al mare”, già presentato al Festival di Roma, che pesca dagli archivi di film familiari di Home Movies.
Nella sezione “Fare cinema a Bologna” ecco “L’esposizione del lenzuolo” di Liliana Davì e Maria Angela Capossela, sorella del musicista Vinicio, e “Fate come a casa vostra” di Henry Fanfan Latulyp, su un giovane operaio maliano che lavora a Bologna.
Il finale, sempre all’insegna di Mazzacurati e del suo “cinema del reale e della provincia”, vedrà la presentazione di un DVD dedicato a Leonardo Di Costanzo, grande documentarista formatosi i ai corsi di Cinema Documentario presso gli Ateliers Varan, che ha aperto un centro per documentaristi in Cambogia insieme con il regista Rithy Panh e dio cui si ricordano Prove di Stato (1999), che affronta il tema della latitanza dello Stato nel comune di Ercolano, A scuola (2003), spaccato di vita scolastica in un istituto delle medie inferiori di Napoli, presentato alla Mostra di Venezia e, nel 2012, L’intervallo, presentato con favore a Venezia, scritto con Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, prima sua fiction che racconta di un ragazzo e una ragazza rinchiusi in un enorme edificio abbandonato di un quartiere popolare, con l’uno che deve sorvegliare l’altra, con le che è prigioniera,e lui è obbligato dal capo di zona a fare da carceriere. Col passare delle ore le ostilità tra i due si trasforma in un’inevitabile intimità, fatta di scoperte e confessioni reciproche e tra le mura di quel luogo isolato e spaventoso, i due trovano il modo di riaccendere i sogni e le suggestioni di un’adolescenza messa troppo in fretta da parte, vivendo così un improvviso intervallo dalle loro esistenze precocemente adulte, tentati alla fine di trasformare quella fuga fantastica in una vera evasione prima che la banda venga a presentare il proprio verdetto.
Un racconto d’amore spezzato, di poesia calpestata, per narrare la difficoltà di essere adolescenti nella periferia violenta di una metropoli contemporanea.
Un racconto che richiama certamente Mazzacurati, ma anche le storie dure e sublimi cantate da Francesco Di Giacomo con il “Banco del Mutuo Soccorso”, in album indimenticabili come “Metamorfosi, “Il giardino del mago” e “Darwin!”, concept sull’evoluzione delle specie e sulla involuzione dell’uomo, perso dietro alla profittazione e all’egoismo.
Speriamo che qualcuno ricordi Francesco, la sua voce straordinaria che rendeva uniche canzoni con melodie innovative, arrangiamenti complessi, al limite del virtuosismo, ma sempre concentrati suilla realtà dell’uomo e della società.
Ma l’Italia, si sa, è un paese smemorato e dopo qualche trafiletto, in pochi giorni di Francesco Di Giacomo morto il 20 febbraio vicino a Zagarolo per un malore improvviso, non parla più nessuno, anche se è stata la voce del progressive italiano, il simbolo di un’epoca aurea composta dal suo gruppo con altri miti che si consideravano inossidabili: la Premiata Forneria Marconi, gli Area e le Orme, che contribuirono in maniera decisiva a una delle rare stagioni in cui la scena rock italiana era al centro del mondo e riusciva a stare al passo (e spesso sovravanzare) quella anglosassone.
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