(di Carlo Di Stanislao) – La nonna Marie fu la prima donna senatrice del Belgio, una donna risoluta e di sinistra, ma che si vestiva all’antica, con cappellino, nastrino di velluto al collo ed aveva una cameriera personale.
Marie chiamò il figlio Charles, in onore di un operaio che le dipinse una grata arrugginita del vecchio ascensore della casa di Bruxelles, un lavoraccio che nessuno voleva fare.
Da Charles nacque Catherine: una bellezza da far venire i brividi.
Era uno sceneggiatore il padre e lavorava con i maggiori registi francesi, mentre i suoi due zii, gli altri figli della passionaria Marie, erano Paul Henri, statista ideatore del progetto della Comunità Europea, a lungo primo ministro belga e Claude, che scriveva per il teatro.
La madre di Catherine, anche lei attrice, anche se per un tempo brevissimo, era una donna strana, finita anche in manicomio, che ha continuato a fumare e dormire per più di vent’anni.
Lei e sua sorella Agnes crescevano senza un padre (sempre fuori o distratto dal lavoro) e senza madre. Un giorno, l’unico in cui il padre decise di andarla a prendere a scuola, la vide il regista Jacques Backer, che stava girando “Il buco” e le diete una piccola parte.
Il titolo fu profetico per lei: bucò lo schermo e, a soli 15 anni, si ritrovò ad essere la più famosa della famiglia, con foto sui rotocalchi e interviste televisive.
Ma soprattutto con la convinzione, radicata e profonda, che dalla famiglia (la sua soprattutto) era meglio fuggire in fretta.
Sofia Loren, che era in Svizzera, la vide in tv e disse a Carlo Ponti, che produceva “I dolci inganni”, “quella ragazza è perfetta per Lattuada”.
E’ iniziata così la carriera di uno dei miti del cinema degli anni 60 e 70: Catherine Spaak, il sogno erotico di due generazioni di uomini, che, in rapida successione, gira “La voglia matta”, “Il sorpasso” e “La noia”, diventando un’ icona, un simbolo della nuova donna: non più vittima, non più sottomessa, ma intrigante e padrona delle passioni maschili.
E mentre la sua famiglia si frantumava (la madre Claudine diventa una hippy che regala tutto ai barboni e il padre si trasferisce in Costa Azzurra con una donna più giovane, gioca e perde quasi tutto); lei si innamora di Fabrizio Capucci (sposato, poi, da maggiorenne e perché aspettava la figlia Sabrina) e va a vivere con lui, accolta da una grande famiglia romana, con Romano, il fratello del fidanzato che disegna, da grande stilista quale era, i vestiti per i suoi film.
Ma l’idillio finisce e Catherine, con in braccio la piccola di due mesi, prende un treno per la Francia e viene arrestata alla frontiera, a Bardonecchia, su denuncia del marito. “Fui riportata a Roma in manette, attaccata a un carabiniere, un altro aveva in braccio Sabrina. Alla stazione, decine di fotografi. Uno choc, a cui seguì una battaglia legale per l’ affidamento della bambina, che alla fine fu cresciuta dalla nonna paterna. Un grandissimo dolore, un rapporto spezzato per sempre”, ha raccontato al Corriere, anni fa, Catherine in una lunga intervista.
Va meglio (almeno in termini temporali), il secondo matrimonio, durato 15 anni, con Johnny Dorelli, da cui ha un figlio maschio e ancora meglio (gli anni diventano 17), il terzo, con un architetto francese.
In mezzo, nuovi incontri, nuove case, nuove ferite, che cura con intelligenza e da cui guarisce sempre.
Ed anche nel lavoro cambia spesso: canzoni, teatro, televisione, giornali, libri, fino al grande successo di “Harem”, il talk show del sabato che va avanti per 14 anni. Poi una parentesi analoga a tarda notte, sulla neonata La7, con “La notte dell’angelo” e, nel 2001, il debutto in teatro, con l’ultimo compagno, l’ attore Orso Maria Guerrini, con un testo scritto da una donna, Jasmina Reza, e tradotto da lei: “L’ uomo del destino”, uno spettacolo a due, ambientato nel vagone di un treno.
Poi torna al cinema, girando otto film dal 2000, fra cui Joy – Scherzi di gioia di Adriano Wajsko nel 2002 L’uomo privato di Emidio Greco nel 2007 e, quest’anno, II più’ grandi di tutti di Carlo Virzì, fratello di Paolo ed ex cantante e chitarrista del gruppo rock Snaporaz.
E torna in televisione, recitando ne “Il ritorno del piccolo lord” (2000); “Julie, chevalier de Maupin” (2004); “Questa e la mia terra” e “Un posto al sole” (2005); “Zen”, per la BBC (2010).
Ora sta girando, come guest, l’ottava edizione di “Un medico in famiglia”, che dovrebbe vedere la luce nel 2013 e in cui sarà una nonna sui generis, eccessiva, autoreferenziale, ma simpatica e con sentimenti profondi e veri; certo egoista, ma anche fantasiosa e divertente.
In una intervista su www.fattitaliani.it, rilasciata alcune settimane fa, la Spaak è stata, al solito, schietta e diretta e sulla nostra televisione ha detto che è berlusconiana, molto involgarita e impoverita, fatta di mercato, giochi, parolacce, trasmissioni molto superficiali e prive di un minimo di contenuti.
Nell’intervista ha parlato anche di libri, spiritualità e del recente terremoto in Emilia, dal momento che sarà, a Reggio Emilia, la voce recitante del “Piccolo principe” in una nuova versione già presentata il 3 agosto al Fossombrone Teatro Festival e domenica sera riceverà, a Cesenatico, un meritatissimo premio alla carriera.
Alcuni amici, di cui mi fido, che l’hanno ascoltata all’Esedra di Piazza Mazzini, nel ridente paese marchigiano, mi hanno detto che è stata magnifica nel capolavoro di Antoine de Saint Exupéry, accompagnata dalle splendide musiche di Luis Bacalov, eseguite da Massimo Mercelli al flauto e Corrado De Bernart al pianoforte, capace di incantare per più di un’ora, raccontando avventure, paure ed emozioni dei due protagonisti.
D’altre parte, oltre che bella, che era brava, anzi al di sopra della comune bravura, lo si era visto già con “I dolci inganni” di Lattuada (1960), ispirata rappresentazione di materie inerenti verginità e masturbazione, decurtato in censura di ben 305 metri, pari a 11 minuti e 28 secondi e proprio per questo scelto, a giugno scorso, in versione integrale, per aprire la sezione Uncut, dedicata ai film censurati, del Festival Mix di Milano.
Sarebbe bello immaginare di averla ospite dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, per tre serate, con questo, l’altro suo film “La voglia matta” e “Lolita” di Kubrick, per mettere a confronto tre diverse riflessioni (e rappresentazioni) sull’amore al suo nascere, acerbo ed ammiccante, con lunghi primi piani senza parole, in cui però l’espressività corporale è più che eloquente.
E non si pensi ad una asimmetria fra autori, con Salce troppo piccolo fra pesi massimi come Kubrick e Lattuada, perché “La voglia matta”, sotto la scorza di commedia, mostra una vera sostanza tragica, metafora amara di una classe dirigente di rincretiniti, nell’Italia del pieno boom economico, con i valori aggiunti, in un film non meno importante, secondo me, de “La dolce vita”, di un Tognazzi straordinario e delle musiche di Ennio Morricone, che, in quegli anni, iniziava a lavorare per televisione e cinema, pur continuando a suonare e comporre musica classica, arrangiando pop e jazz, lavorando con i grandi nomi come Rascel, Rita Pavone, Morandi e Mina, per la quale, sei anni dopo, nel 1966 comporrà la famosissima “Se telefonando”, con già il piglio e l’originalità che emergeranno nei film del suo ex compagno di scuola Sergio Leone a partire da “Per un pugno di dollari” del 1964.
Fui suo ospite per due volte, nel 1998 e nel ’99, a La7 e fra noi ci fu un certo feeling.
Forse se la chiamassi potrei persuaderla a venire, ma temo un rifiuto, che mi ripiomberebbe nella convinzione che i sogni quasi mai si raggiungono.
Ma forse, se le dicessi che conosco “Il piccolo principe” a memoria e le proponessi, anche, la visione del film che Stanley Donnen ne trasse nel 1974, con un giovanissimo Bob Fosse e che potrei mostrargli alcuni bozzetti della versione d’animazione che Orson Welles voleva farne e si incagliò e che potrei regalargli una “prima copia” della sceneggiatura che Bompiani ripubblicherà in autunno, con prefazione di Enrico Ghezzi, dove i bagliori di certe piccole frasi diventano veri haiku di saggezza, forse potrei convincerla.
E se resistesse ancora, la farei capitolare dicendole che ho letto per tre volte il suo romanzo “L’amore blu”, uscito lo scorso anno, grande storia d’amore tra una donna matura con tanta vita vissuta alle spalle e un ragazzo molto più giovane e di aver capito lo scopo del racconto: dimostrare che la risposta giusta si trova nella zona del cuore ed è lì che parla la vera sapienza.
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