(di Carlo Di Stanislao) – I broker inglesi fanno previsioni su tutto e, da qualche giorno, su Ladbroker (http://sports.ladbrokes.com/en-gb/Awards/Nobel-Literature-PrizeAwards/Nobel-Literature-Prize-t210003519) sono in linea le quotazioni per il prossimo Nobel (atteso a giorni) per la letteratura. Il favorito sembra essere, quest’anno, il giapponese Haruki Murakami quotato 7 a 1, mentre al secondo posto, con 10 a 1, Bob Dylan, la cui presenza nella lista ha già scatenato furenti discussioni.
Terzo in classifica, con 12 a 1, è il cinese Mo Yan, mentre la prima italiana, Dacia Maraini, quest’anno premio Campiello alla Carriera, è ottava con una quotazione di 16 a 1.
In lista anche altri due italiani: Umberto Eco, 25 a 1 e Andrea Camilleri 50 a 1.
Un anno fa circa, usciva in Italia l’ultima opera (e forse il capolavoro) di Murukami: 1Q84 (edito da Einaudi), da molti riconosciuta come il vero capolavoro di Haruki Murakami e da allora, nonostante il successo di critica e di vendite, l’autore giapponese sembrava essere sparito dalle cronache. Ma ecco che da qualche giorno la punta di diamante della letteratura nipponica è ritornato a far parlare di sé e non solo per la candidatura al Nobel.
Annunciato da Einaudi per il prossimo 16 ottobre, infatti, l’uscita, sia in versione cartacea che come E-book, della terza e ultima parte del suo di 1Q84, che si preannuncia sorprendente, con un ponte ancora più evidente tra occidentale e orientale, con uno stile letterario che nasce dal meglio delle due componenti, perfettamente armonizzate tra loro.
Non è la prima volta che il nipponico è candidato e poi battuto e anche quest’anno sono in lizza, a parte il grande Mo Yan, autori di prestigio come Philip Roth, Don De Lillo, Cormac McCarthy, Amos Oz e Tom Stoppard, vincitore de l’ultimo Flaiano.
Di Mo Yan ho particolarmente apprezzato (anche al cinema, con la regia di Zhāng Yìmóu) “Sorgo Rosso”, da alcuni avvicinato a “Cent’anni di solitudine”, insuperabile per la densità del tessuto narrativo, per la potenza espressiva ottenuta senza l’ausilio di complicate od originali strutture sintattiche ma con un periodare semplice e lineare; con una prosa che sgorga limpida e racconta l’immensità’ del paesaggio cinese e delle sue sofferenze umane, insistendo su dettagli e descrizioni minute spinte fino all’esasperazione, attraverso un crudo ed insieme lirico iperrealismo.
Di Don De Lillo ho letto e riletto Cosmopolis (anche questo film grazie a Cronenberg): 180 pagine affilate, luccicanti, caleidoscopiche, scritte con la lucidità del visionario. Con la stessa determinazione mistica con cui il giovane milionario Eric Packer decide che “oggi dobbiamo tagliarci i capelli” a Hell’s Kitchen, dall’altra parte della città, nonostante la misteriosa “attendibile minaccia” da cui le guardie del corpo cercano di difenderlo. Ma il senso di pericolo che si avverte durante il viaggio e il romanzo, piuttosto che atterrirlo, lo eccita. Affina i suoi sensi: Eric si lascia guidare dall’istinto e dalle premonizioni come un veggente. Attraversa New York seduto nella limousine con le sue ossessioni (i check up medici e le oscillazioni dello yen). Esce dall’auto ogni tanto, per entrare in un hotel o in un ristorante, alla ricerca di una liberazione, di una rivelazione.
C’è poi Amos Oz, una delle punte straniere di Feltrinelli, israeliano di Gerusalemme che oggi vive di Arad e insegna letteratura all’Università Ben Gurion del Negev, autore di grandi romanzi, saggi e libri per bambini, vincitore di vari premi come Catalunya e Sandro Onofri nel 2004, Principe de Asturias de Las Letras e Fondazione Carical Grinzane Cavour per la Cultura Euromediterranea nel 2007, Primo Levi e Heinrich Heine nel 2008, Salone Internazionale del Libro nel 2010. I suoi lavori sono tradotti in 41 lingue e il suo ultimo libro, Scene dalla vita di un villaggio, è stato incluso dal “New York Times” nella lista dei migliori libri del 2011.
Quanto a Philip Roth, vincitore del Pulizer nel 1997 (con Pastorale americana), ha ricevuto la National Medal of Arts alla Casa Bianca, e nel 2002 il piú alto riconoscimento dell’American Academy of Arts and Letters, la Gold Medal per la narrativa. Ha vinto due volte il National Book Award e il National Book Critics Circle Award, e tre volte il PEN/Faulkner Award. Nel 2005 Il complotto contro l’America ha ricevuto il premio della Society of American Historians per “il miglior romanzo storico di tematica americana del periodo 2003-2004”.
In più, recentemente, ha ricevuto i due piú prestigiosi premi PEN: il PEN/Nabokov Award del 2006 e il PEN/Saul Bellow Award for Achievement in American Fiction; oltre ad essere l’unico scrittore americano vivente la cui opera viene pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America. Nel 2011 ha ricevuto la National Humanities Medal alla Casa Bianca ed è poi stato dichiarato vincitore della quarta edizione del Man Booker International Prize.
Ma, fra questi grandi nomi, potrebbe spuntarla, alla fine, un outsider, come, ad esempio, il siriano Adonis, nella cui produzione si fonde una profonda conoscenza della poesia classica araba ed una espressione rivoluzionaria, moderna, capace di esplorare in modo inusitato il dolore de l’elisio.
Lo pseudonimo Adonis, adottato sin dalla’inizio della carriera, intende definire l’idea di rinnovamento spirituale, poiché Adone, nella mitologia greca, è un bel giovane, amante di Afrodite e la sua storia include il tema della risurrezione.
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