(di Carlo Di Stanislao) – In Skyfall l’azione principale si intreccia ad un’azione parallela che le fa da contrappunto o controcanto ironico, con applausi dalle platee (è lo 007 campione d’incassi al debutto in Gran Bretagna) e perfino dall’Osservatore romano, che loda il neo ascetismo del protagonista.
La prima romana del Bond 26, a 50 anni dalla sua prima uscita, convince tutti o quasi, anche i giornalisti irritati per il dover contendersi l’entrata con adolescenti scatenati, con il lato est di Piazza dell’Esedra divenuto caravan serraglio ed il lussuoso porticato semicircolare, il cui accesso è non solo laterale ma soprattutto frontale, divenuto come il circo Orfei, da infilare attraverso un passaggio circolare che incanala i clienti dell’Hotel Boscolo direttamente dall’auto al porticato o attraverso un analogo passaggio cunicolare ad hoc per la “sera della prima”.
La proiezione inizia, con il regista Mendes, Donald Graig e la bond girl Naomie Harris, con un nostalgico montaggio di scene delle precedenti versioni, a cui segue una scena di azione vorticosa di dieci, intensissimi minuti.
Poi parte il film in cui Sam Mendes, con la sua cura maniacale per il dettaglio cromatico, i suoi giochi di luce (perfettamente creati da Roger Deakins) e il suo gusto raffinato per la citazione, ha saputo creare il Bond più realistico, ma al tempo stesso, più esaltante degli ultimi anni, ultimo episodio di una trilogia che, grazie soprattutto a Daniel Graig, ha saputo trasformare la decadenza di un personaggio in una straordinaria narrativa crepuscolare, dove Bond prende sulle sue spalle la morte non solo fisica, ma anche morale e storica di un mondo che – a conti fatti – ha contribuito a costruire.
E come nota acutamente Niccolò Carboni, questo nuovo Bond è un eroe ellenico che passa dal successo, alla caduta, alla resurrezione, con una narrazione omerica che sa dosare, sapientemente, successi e fallimenti, non spaventandosi di fronte alle prove più dure.
Nel film, magnifico, sono rispettati tutti i cliché bondiani, ma il piglio di un grande cineasta rende anche digeribile la presenza di un villain eccentrico, sessualmente ambigua e decisamente sopra le righe come Silva (Bardem, straordinario come sempre) senza scadere nel ridicolo, riuscendo addirittura a inserire uno scontro verbale fra Bond e la sua nemesi, i destinato a rimanere nella storia del personaggio, nonché a entrare nella top ten delle scene cult della saga, insieme alla Lotus subacquea di Roger Moore e al bikini di Ursula Andress.
Una sfida fra il bene e il male, fra Bond ed il suo nuovo nemico, dal sapore tragico ed epico, ambientata sapientemente nelle land scozzesi e che, naturalmente, coinvolge terzi intesi come umani e come oggetti e che finisce per essere un regolamento di conti tra due visioni del ruolo di agente al servizio di Sua Maestà. Bond incrollabile, e per nulla imbarazzato di essere “old style” nel suo patriottismo e persino nei propri gusti (in scena non mancherà di brillare la sua leggendaria Aston Martin DB5 grigia super-accessoriata, simbolo del Bond anni ’60) e Silva, armato di modernità cinica e crudele.
Ecco, il fil rouge che scorre per tutto il film è quello del confronto tra solido passato e dinamico presente che si fa già futuro. Bond e M sono i vecchi agenti sull’orlo del disarmo, ma che sanno ancora dire la loro, mentre intorno il mondo cambia e si fa più impalpabile, meno rassicurante e più minaccioso.
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