(Di Carlo Di Stanislao) Un Festival che si concentra sul buon cinema italiano e premia Carlo Mazzacurati, che presenta il suo ultimo film: “, La sedia della felicità”, variazione (dopo quella celeberrima di Mel Books) del “il mistero delle 12 sedie” di Ilf e Petrov, con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese e Giuseppe Battiston, dover il tatuatore Mastandrea e il prete schiavo del videopoker Battiston vanno a caccia di un misterioso tesoro nascosto nell’imbottitura di una sedia, la cui esistenza è stata loro rivelata, in punto di morte, dalla galeotta Katia Ricciarelli. Il 31° Festival del Cinema di Torino, fra “compassioni” causate dallo spostamento della Festa di Roma e risorse sempre più ridotte, continuare a sostenere ed incentivare il buon cinema italiano e presenta (ieri): “La mafia uccide solo d’estate”, primo titolo nostrano in concorso, esordio nel cinema di un personaggio televisivo popolare: Diliberto,che con lo pseudonimo di Pif è stato per anni una colonna del programma tv Le iene e ci regala un piccolo capolavoro, quasi un miracolo, con un ritmo incalzante (brillantissimo il montaggio di Cristiano Travaglioli) che tiene in equilibrio il difficilissimo mix fra ricordi personali, amori infantili e omicidi di mafia, giocando tutto sul registro della commedia grottesca, apologo che denuncia uno degli aspetti più importanti del fenomeno-mafia: la sua tranquilla coesistenza con la vita delle persone normali, una sorta di fenomeno atmosferico, considerato come il cambio delle stagioni.
Lasciando intatto la struttura dello staff (diretto da Emanuela Martini), il nuovo direttore Paolo Virzì, che ha preso il posto i Gianni Amelio, ha le idee chiare ed il pubblico lo premia con un incremento di partecipazione del 30% già nei primi giorni ed un gradimento considerevole per i film in concorso e le altre sezioni, soprattutto quella dedicata al cinema Usa anni ’70.
Ma, soprattutto, un festival giovane ed aperto alle sperimentazioni, una rassegna in formazione ed una carrellata sulle facce nuove a partire da quella di Greta Gerwig, attrice (ma anche sceneggiatrice e regista) protagonista di “Frances Ha”, film diretto da Noah Baumbach, qui presentato nella sezione Festa Mobile, dove è una weirdo, come si dice Oltreoceano, di ventisette anni che vive con la sua amica del cuore a Brooklyn e studia danza in una compagnia che forse la assumerà, che si racconta in progressione emotiva in un film ancora una volta (come capita sempre più spesso di recente), in bianco e nero, che è un romanzo di formazione per trentenni, un indie nell’anima, che narra soprattutto perché New York rappresenta, per newyorkesi e non, le infinite possibilità di cui la vita è piena, finché si è in tempo per coglierle.
Fra i nuovi, fascinosi volti, quello duro e crudo di Sara Forestier, protagonista di “Suzanne” di Katell Quillévéré (già visto alla Semaine de la Critique di Cannes 2013), con l’attrice che, dopo il debutto con Kechiche ne “La schivata”, si cala nei panni di una ragazza difficile: orfana, padre camionista, sorella più dritta di lei e che rimane incinta.
Fra i maschietti Jonathan Groff, protagonista di uno dei più attesi tra i film in concorso, “C.O.G”.di Kyle Patrick Alvarez, tratto da un romanzo di David Sedaris, dove il rigido studente di Yale, David decide di esplorare la vita e di passare l’estate raccogliendo mele in Oregon. La fidanzata lo molla per uno sconosciuto, il datore di lavoro è bizzarro, un collega vuole sedurlo. Ritratto esilarante, profondo e spietato di un personaggio alla scoperta del mondo, della sessualità, della spiritualità (C.O.G. sta per “Children of God”). Anche questa volta un romanzo di formazione, ma dalle tinte decisamente “queer”.
Altro attesissimo film è lo scandaloso “Pelo malo” di Mariana Rondón, vincitore dell’ultimo Festival di San Sebástian, che affronta il tema della sessualità nell’infanzia, con Junior (Samuel Lange) che ha nove anni ed è ossessionato dalla sua lussureggiante chioma etnica, che tenta di lisciare con i metodi più ingegnosi. Vuole apparire cool come un cantante pop, almeno nell’annuario della scuola, ma si scontra con le ansie della madre, dura, brusca, provata dalla fatica e dalla solitudine, con l’intima scoperta di sé nella Caracas scalcinata dei condomini popolari, dell’intolleranza e dell’isolamento.
Interessante pare anche “Club Sandwich”, di Fernando Eimbcke, con Lucio Gimenez Cacho che è un ragazzino di quindici anni in vacanza con la mamma single in un albergo vicino al mare e mentre giocano,scherzano e si spalmano la crema solare, vedono arrivare Jazmin, una coetanea cicciottella ma molto sveglia con la quale far scattare i pimi, maldestri tentativi sessuali, mentre la madre si trasforma in terzo incomodo.
Ancora sulla adolescenza, ma dio un nerd, è basato il film “C’era una volta un’estate” di Nat Faxon e Jim Rash è dove Liam James, fra un patrigno sgradevole (Steve Carell) e una madre succube (Toni Collette), trova conforto nel solare Owen (Sam Rockwell) e nel suo parco acquatico Water Wizz, che rappresenta l’ingresso nella maturità.
Il film segna l’esordio alla regia degli sceneggiatori di” Paradiso Amaro di Alexander Payne” (prsentato al Tff 2011) ed il cast comprende anche Amanda Peet e Allison Janney.
Tornando al cinema italiano, a Torino, nel segno del cinema che sposa il teatro, ha raccolto consensi ‘Essere Riccardo …e gli altri’, interpretato da Alessandro Gassmann con la regia di Giancarlo Scarchilli, che racconta genesi, prove, messinscena all’interno di una compagnia teatrale, di Riccardo Terzo, messo in scena dallo stesso Gassmann, tragedia fra le più crude di Shakespeare, che torna sullo schermo dopo i film di Olivier, Loncraine, Pacino, ma con una doppia regia ispirata al visionario Tim Burton, con profusione di atmosfere crepuscolari, dark ed humour nero.
E’ piaciuto anche “Il treno va a Mosca” di Federico Ferrone e Michele Manzolini, che racconta un pezzo di storia di un’Italia anche lui in bianco nero, vestita di grigio, ma profondamente buona;; con la visione di un popolo ancora animato da ideologie, da sogni, meno cinico; animato da dilettantismo geniale, come quella di un barbiere cineasta per vocazione, in un contenitore che è un vero e proprio film-documentario, fatto con spezzoni dell’istituto Luce, ma soprattutto dai filmati 8mm del barbiere comunista nato ad Alfonsine, uno dei tanti paesini della Romagna rossa distrutti dalla guerra, uno che insieme ai suoi amici ‘sognano un mondo di pace, fratellanza e uguaglianza’ e sapeva darsi forza e sostanza attraverso i sogni.
Oggi al TIFF la versione restaurata “8 1/2” di Federico Fellini, il giapponese “A Woman and War” di Junichi Inoue, che incrocia i destini di tre personaggi irrimediabilmente segnati dalla Seconda Guerra Mondiale e la proiezione di “Inside Llewyn Davis”, ultimo lavoro dei fratelli Coen, presentato nella sezione “Festa Mobile” e dedicato alla figura di Llewyn Davis, un cantautore folk dei primi anni Sessanta che, a Greenwich Village, cerca di barcamenarsi tra la mancanza di soldi e di una casa.
Nato nel 1982 con il nome di Festival Internazionale Cinema Giovani, il TIFF combatte dal 2011 combatte una guerra contro il Festival di Roma riguardo le date delle due rassegne, troppo ravvicinate, ma comunque resta il primo vero festival metropolitano d’Italia, che coinvolge diverse sale cinematografiche della città, dal 1996 ha inserito i lungometraggi in concorso e, dall’anno dopo, data la sua crescente importanza internazionale, assunto la denominazione di Torino Film Festival o più semplicemente TIFF.
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