(di Carlo Di Stanislao) – Con “Il giardiniere tenace-la cospirazione”, continua la rassegna CineMedicine, operazione a due fra Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente della Università de L’Aquila e la Lanterna Magica, istituzione che del cinema usa ogni istanza narrativa e di sviluppo interlocutorio, conscia che un film non è solo intrattenentio ma occasione per visioni più allargate e differenti. La proiezione, come per le due “puntate” precedenti, presso l’aula Paride Stefanini di Coppito, giovedì 22 a partire dalle 17. Un film splendido ed interpretato in maniera meravigliosa. Personaggi pieni di sfumature e complessità che affrontano difficili conflitti interiori e dolorose avventure. Un affresco sul microcosmo Africa, nella sua ingiustizia e sofferenze quotidiane, il suo continuo stupro da parte delle Nazioni occidentali che su di essa fondano molto del loro colpevole benessere. Paesaggi e ritmi maestosi nei quali la piccolezza malvagia e bieca dell’uomo non fa che risaltare nella sua inutile piccolezza.
Una donna forte e determinata come poche ed una storia d’amore bellissima, non a da copertina, senza sciocchezze e stupidaggini romantiche ma vera, intensa, libera. Il tutto innestato in una denuncia storica e sociale fortissima ed efficace per il fatto che proviene dai più deboli e dagli sconfitti. Da coloro i quali amano veramente i diversi e i perseguitati, dimostrandolo con il sacrificio della propria vita. Giustamente premiata con l’oscar l’attrice non protagonista che costruisce il ritratto di una donna scomoda anche per lo spettatore, perchè non scende a compromessi con nessuno nella sua battaglia contro un uomo che ha già perso ai suoi occhi. Un uomo che uccide il suo prossimo ogni giorno senza pietà. Farà l’unica fine possibile in un letamaio che non può ospitare fiori freschi.
Considerato uno dei più bei film del 2006, tratto da un romanzo di John le Carré, liberamente ispirato ad un contenzioso legale che ha vide la multinazionale Pfizer coinvolta in una grave vicenda riferita ad una sperimentazione illegale di un proprio farmaco, caso che è stato per la prima volta sollevato da una nota inchiesta del The Washington Post; il film è stato presentato, fuori concorso e in anteprima mondiale, al Festival di Venezia, girato dal bravissimo Fernando Meirelles, fra tra Londra (Canary Wharf e e nella Tate Modern), Berlino, Sudan e Kenya ( Nairobi, aeroporto di Lokichogio e l Lago Turkana).
Costato 25 milioni di dollari, ne ha incassati 33.565.375 al box office USA e 82.466.670 in tutto il mondo.
Non solo una spy-story, né tanto meno un film d’azione, ma un racconto doloroso sulla corruzione politica ed il cinismo industriale (non solo farmaceutico) che sono i mali endemici di uno dei luoghi più poveri e belli del mondo, con un racconto fatto di iper saturi, movimenti di macchina isterici, dissolvenze in bianco, campo-controcampo mossi e con inserti di montaggio esterni.
C’è molta tecnica nel modo di girare di Meirelles e nella fotografia del fido Cesar Charlone.
Basti pensare alla scena d’amore fra Justin e Tessa (la coppia protagonista), con sfondo bianco e un montaggio frenetico e bellissimo e all’ultimo saluto tra i due prima della morte di lei, con Tessa che si allontana dissolvendo in bianco mentre Justin sventola il fazzoletto; le scene dei bambini e delle baraccopoli, coloratissime e riprese saturando i colori.
Un film di denuncia forte, più visionario che documentaristico, con un amore grande e complesso fra i due protagonisti, avvolto dalla tristezza per lo stato in cui versa il continente africano e l’ottusa noncuranza dei governi occidentali.
Il finale, indimenticabile, ci regala una magnifica redenzione: il diplomatico britannico che per amore di sua moglie, dell’Africa o, semplicemente, per lenire i sensi di colpa, decide che le cose stanno andando nel senso sbagliato e si sacrifica fino in fondo, impartendoci una magnifica lezione.
The Constant Gardener è un film che alterna registri piuttosto diversi, narrativamente ma soprattutto visivamente: oscilla tra momenti più riflessivi e romantici nelle parti dove viene raccontata con fotografia plumbea la storia d’amore (anche e soprattutto postuma) tra i due protagonisti ad altri dove i colori, i suoni ma soprattutto le miserie dell’Africa prendono il sopravvento. Se nella prima delle due tipologie il regista cerca di placare il suo iperattivismo di camera e montaggio, nella seconda esplode in un vortice di tagli, steady, camere a mano, fotografia ipersatura e via dicendo, riuscendo a ruggire contro un mondo in cui il cinismo e la sopraffazione sembrano costantemente trionfare.
Per questo film Rachel Weisz ha vinto il Golden Globe e l’Oscar quale migliore non-protagonista ed è tornata a lavorare con Meirelles lo scorso <nno, nel bellissimo “360”, ennesimo adattamento del testo teatrale “Girotondo” di Arthur Schnitzler, che indaga, appunto a 360 gradi sulla morale sessuale delle diverse personalità che appartengono ai più differenti ceti sociali.
Tornando al tema centrale del film che vedremo giovedì, è noto che nel continente africano le multinazionali dei farmaci possono contare su un numero illimitato di malati da sottoporre ai test clinici ed inoltre, la mancanza di rigidi controlli governativi fa risparmiare alle aziende tempo e denaro. Ma finita la sperimentazione, le medicine spariscono insieme ai ricercatori.
La definizione più recente, e probabilmente più esatta, viene dalla conferenza internazionale sui medicinali anti-microbi che si è tenuta a Johannesburg a fine aprile 2010: “imperialismo etico”. Ed è da lì che si deve partire per fare chiarezza su una delle questioni più ambigue, a volte più sporche e sicuramente più intrise di leggende metropolitane che girano per l’Africa: i farmaci e la loro sperimentazione.
La vicenda raccontata dal film, è avvenuta nel 1996 in Nigeria. Nella città di Kano, nord del Paese, era scoppiata un’epidemia di meningite. Nel momento peggiore si registravano fino a 120 nuovi casi al giorno. Moltissimi erano bambini. Un’equipe di Medici senza frontiere (Msf) era arrivata per aiutare l’ospedale locale a far fronte alla situazione. Ai bambini veniva dato un antibiotico raccomandato dall’organizzazione mondiale della sanità per questi casi. Ma, ad un certo punto, un veloce jet privato aveva scaricato a Kano un’equipe superattrezzata. Erano i medici della Pfizer, grande casa farmaceutica americana, che, saputo quasi per caso dell’epidemia, si erano precipitati con un nuovo prodotto, il Trovan. I medici della Pfizer sapevano di averlo provato, fino a quel momento, su un solo bambino. Il dottor Juan Walterspiel, esperto di malattie infantili della Pfizer, peraltro, era fortemente contrario agli esperimenti sui bambini a Kano e lo aveva anche scritto in una lettera alla società. Che lo licenziò. I medici si installarono nell’ospedale di Kano,indistinguibili – per la gente – da quelli di Msf. Scelsero 200 bambini. Secondo la Pfizer chiesero ad un’infermiera di spiegare, nella lingua locale, che si trattava di una sperimentazione. E, poiché si trattava di persone analfabete – dicono – il consenso venne dato oralmente. Un genitore affermò poi di aver creduto che i medici fossero di Msf e di aver scoperto solo successivamente, controllando la documentazione, che si trattava di un test.
La lettera di approvazione della sperimentazione del comitato etico dell’ospedale sarebbe stata scritta solo un anno dopo i fatti. Dettagli. Per l’esperimento era necessario il gruppo di controllo. A cui veniva dato l’antibiotico classico. Ma, affermano i genitori di trenta bambini che hanno fatto causa alla Pfizer, a questi fu dato un dosaggio più basso. Per dimostrare che il Trovan era più efficace. Ci sono stati undici morti in quell’esperimento. Sei curati col Trovan e cinque del gruppo di controllo. La Pfizer dichiara che il tasso di mortalità in quella situazione è stato più basso della media normale. Potrebbe perfino essere vero. Ci furono in totale 15mila morti nell’epidemia di Kano. Ultimo dettaglio: il Trovan fu approvato nel 1997 dalla Food and Drug Administration, massima autorità americana in materia di controllo dei farmaci. Ma il suo uso venne poi fortemente ristretto nel 1999, dopo che una serie di morti per complicanze epatiche furono fatte risalire al Trovan.
Tornando alla conferenza di Johannesburg, lì la dottoressa Ames Dhai, capo del dipartimento di bioetica dell’università più prestigiosa di Johannesburg, la Witwatersrand, ha dichiarato che gli esperimenti di farmaci sono aumentati di 16 volte negli ultimi anni nei Paesi a basso reddito. Ed ha aggiunto che è in corso una guerra tra gruppi di ricerca per aggiudicarsi i gruppi di pazienti, così da poter dire agli sponsor: “posso mettere in fila 500 pazienti domani”. E le procedure, il rigore dei controlli richiesto in Occidente per le sperimentazioni richiede tempi che è un eufemismo definire lunghi. Non così in Africa. Dove non tutti gli stati, secondo l’Istituto sudafricano di relazioni internazionali, hanno sufficiente sensibilità politica e sufficienti mezzi per impostare ed applicare le procedure. In parole povere il clima è più rilassato. Qui si innesta il concetto di imperialismo etico. Si discute da tempo, nella comunità medica, di cosa voglia dire “consenso informato”.
Gianfranco di Maio, responsabile medico di Msf Italia, cita un esempio molto chiaro. “Negli ultimi anni abbiamo scoperto che esiste un farmaco antiretrovirale che funziona in molti casi come prevenzione per l’Aids. E’ capitato a medici che operando pazienti ammalati si sono feriti e hanno toccato il sangue. L’uso di quel farmaco nelle ore immediatamente successive al contatto ha impedito, nell’80 per cento dei casi, il contagio. Una sorta di pillola del giorno dopo contro l’Aids”.
La casa produttrice del farmaco, l’americana Gilead, ha deciso di provare a farlo funzionare con lo stesso metodo degli antimalarici: finché lo prendi non ti ammali. Ed ha avviato sperimentazioni in quattro diverse situazioni: nella comunità omosessuale di San Francisco, in Cambogia e Camerun su gruppi di prostitute, su pazienti eterosessuali in Nigeria. In questi casi quale pensate sia l’interesse primario dei ricercatori? Premere perchè le prostitute cambogiane prendano tutte le precauzioni possibili, invalidando così di fatto la ricerca? E ancora: fino a che punto i ricercatori si spendono per far capire esattamente alle persone i rischi della sperimentazione, pur se non direttamente collegati al farmaco? Inoltre la casa farmaceutica rifiuta di garantire ai soggetti che sperimentano il farmaco una copertura assicurativa a lungo termine (30 anni) in caso qualcuno di loro si ammali durante la sperimentazione. Secondo la Gilead questa garanzia costituirebbe un indebito incentivo e un inquinamento del loro consenso. Ma, aggiunge, il Paese guadagnerebbe perchè la società farmaceutica lascia in “dono” laboratori, equipaggiamento e persone addestrate. Certo, se le condizioni imposte non sono troppo “rigide”. In Camerun i ricercatori hanno chiesto espressamente alle cavie-umane di avere rapporti sessuali senza preservativo. E su un totale di 400, la metà riceve soltanto un cosiddetto placebo. Perchè i test, per essere accettati internazionalmente, devono avvenire col metodo del “doppio cieco”. La Cambogia ha sospeso i test in agosto 2004. Il Camerun a febbraio 2005. Le sperimentazioni sono riprese l’estate scorsa in Botswana, Ghana e Malawi. Naturalmente, quando il farmaco sarà pronto, il suo prezzo sarà inarrivabile per gli ammalati africani. E questa è l’unica vera certezza.
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